16 aprile 2007

My song

Svegliarsi la mattina presto ha un suo fascino. Certo, quando si trasforma in un monotono ed eterno ritmo di lavoro, la cosa ti svuota inesorabilmente... però io ho avuto la "fortuna" di viverlo per soli tre anni.
Prendevo la prima metro, quella che alle 5,15 mi ghermiva dalla fermata Giulio Agricola: mentre preparavo l'esame universitario del momento, venivo assalito da terrificanti odori di varechina-aglio-sudore, e poi arrivavo a via Asiago verso le 6,00, accompagnato dalle prime note di Keith Jarrett.
A quei tempi, Radio Tre usava il suo struggente Country come "riempitivo" (dal cd che porta il titolo My song, un'altra ballata strepitosa); pensate voi che qualità poteva avere quest'emittente, da poter usare questa meravigliosa ballata come musichetta buttata sornionamente là. Erano sicuramente altri tempi.
Ma io allora stravedevo per Corea e per Rea (nessuna parentela...). Certo, restai colpito da come Moretti (a me antipatico) abusò il Primo Concerto di Colonia per raccontare il monumento a Pasolini, affogato nell'immondizia dell'idroscalo di Ostia; ma in generale non sopportavo la stucchevole perfezione di Keith Jarrett. Troppo di moda, troppo esatto.
Da anni, ormai, ho fatto pace con questo genio, e quando voglio riassaporare quel modo di fare radio, quei sapori di esami rubati al sonno, quella mia incoscienza di dormire pochissimo e vivere ogni singolo secondo dei miei primi anni di lavoro, prendo una fiaschetta di varechina, un ciuffo d'aglio, un libro universitario e mi sparo quell'intero cd.


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