20 febbraio 2010

Gaetano Scirea, che non è solo una curva

Stagione calcistica 1974/75, siamo in piena pasqua (e soprattutto in pieno giubileo), e noi la passiamo nella (ormai ex) pineta di Manziana, Hotel degli Etruschi. Il figlio del proprietario fa il filo a una delle mie sorelle: roba da bambini, si sa. Mio nonno materno torna da Roma e mi porta come promesso l'ultimo numero di Hurrà Juventus. Si era da poco disputata Lazio-Juventus, ma ancora non avevo saputo il risultato. Poi nella rivista leggo su una vignetta satirica una domanda a un calciatore: Perché ha fatto autugol?; e lui: Per la GiubiLazione. Quella vignetta derideva affettuosamente Gaetano Scirea, uno dei pochi difensori al mondo a non aver mai subito un cartellino giallo, figuriamoci quello rosso.
Assieme a Zoff rappresentò l'anima civile, riflessiva, etica, di un modo di giocare il calcio che condizionò totalmente la storia della Juventus e della Nazionale.
A differenza di quasi tutti i giocatori silenti che la mia mente ricordi, Scirea non era oscuro, ma profondamente sereno e quindi rasserenante. Il suo era un silenzio quasi esoterico, laicamente esoterico. I miei occhi da bambino lo individuavano subito, e lo seguivano quasi incantati delle sue gesta difensive, perché la sua era la presenza giusta, opportuna, raffinata ma mai indulgente, precisa ma mai spaccona.
Non ho mai capito perché la Juve non abbia ritirato il numero 6 dalle sue maglie.

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