13 gennaio 2011

hereafter, perché io il cappello me lo tengo

L'argomento non è poi così spinoso: o si crede agli asini che volano, o si crede alle cose concrete; la via di mezzo si chiama religione, che allontana il mondo dei morti con sgradevoli ricatti che iniziano appena siamo nati.
Fatto sta che Eastwood è uomo pratico, pragmatico e anche (molto) laicamente spirituale, e ha buttato dentro a questo film (potenzialmente incline alle ridicolitudini) qualcosa di diverso dall'ovvio, riuscendo a far dimenticare certe ingenuità stilistiche e anche una certa fretta nel non incorrere nella frettolosità (quando vedrete il film, capirete cosa intendo).
Insomma, Hereafter è un film straordinario, leggero e potente, dolce e elegante; privo forse di quella maschia potenza che avevo ammirato nell'ottimo Gran Torino, ma pur sempre film da riporre tra le pieghe della nostra memoria migliore, per conservarne a lungo languori e sensazioni.
Un film in cui Eastwood non gioca con il suo essere vicino a una possibile fine (effettivamente lo è... a 80 anni suonati) come blaterano certi critici frettolosi e menagrami; semmai si diverte a dirci quanto possa essere unica una vita vissuta con coraggio e dedizione, con volontà e coerenza, con sorriso e determinazione.
Hereafter è un film sospeso... che va rigorosamente visto in lingua originale (ci sono i sottotitoli, a volte però su campo bianco - complimenti!), per assaporare meglio le intensità recitative, come anche le differenze tra americani, inglesi, francesi e i loro modi di esprimere sentimenti così comuni ma così individuali.
Un film che evita tutte le scempiaggini del caso, da contemplare in compagnia di pochi fortunati, con il solo rumore del proiettore, e la luce dell'uscita d'emergenza che ci ricorda che alla fine torneremo alla realtà. Purtroppo, forse. Ma sicuramente pieni di qualcosa di nuovo.

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