25 maggio 2011

la morte di Virginia Splendore

Tredici anni fa ebbi il privilegio di entrare alla corte di Piero Angela, uno dei miei padri spirituali. Era un periodo molto complicato per me: la pessima salute mi stava demolendo, la vita privata era un disastro (mia moglie ancora non "esisteva"), la tesi era imminente ma sempre lontana. In quelle stanze le redazioni erano almeno due, se non spesso tre. Il via vai di gente era comunque avvincente e coinvolgente: conoscevo di tutto e di più; e imparavo. Imparavo moltissimo.
Quando poi mi fu rinnovato il contratto per il successivo Quark (pomeridiano, questa volta) riuscii ancor di più a ritagliarmi uno spazio, a farmi sentire, a conoscere, capire, approfondire. Un'esperienza veramente unica, che mai dimenticherò... 
E proprio lì conobbi Virginia Splendore, schiva e taciturna ma profondamente spirituale. Sotto certi aspetti mi ricordava una delle mie sorelle; quella con cui ho maggiori affinità. Per carità, nessun afflato sentimentale, nessun subdolo interesse fisico: non sono il tipo io; non era il tipo lei. 
Però suonava lo stick, che non è un basso e che tutti confondono con le attitudini del basso. Ed è uno strumento che merita rispetto ed attenzione; uno strumento complesso e ricco di suggerimenti dissimulati, che solo una mente sensibile e aperta può suonare.
Virginia ed io ridevamo sul fatto che pronunciato alla siciliana lo stick significa ben altro, ma soprattutto discutevamo spesso su chi fosse il migliore tra Tony Levin e Trey Gunn (con cui poi ha suonato). In fondo ero la sua ancora di salvezza: in redazione ero l'unico che conosceva quei paesaggi musicali, quello strumento così fascinoso.
Virginia non era "bella", nel senso patinato del termine; ma non era nemmeno "brutta", nel senso maschilista del termine: giocava molto a coprirsi di una maschilità non sua, che però la faceva molto "personaggio"; in realtà, avrebbe potuto dare una pista a certe stratruccate del cavolo che ammorbano ogni dove. Quando sorrideva, cioè - se riuscivi a vederla sorridere, tirava fuori la parte migliore di sé, ricca di tante cose inesplorate e inesplorabili, che forse neanche lei sapeva riconoscere a fondo.
Tecnicamente ineccepibile, musicalmente stimolante, umile e risoluta al tempo stesso, con le dita sempre pronte a servire la sfera della Musica. Una volta che andai a sentirla suonare, guardò immediatamente il suo compagno musicale per variare il pezzo in esecuzione, e mi accolse con il noto passaggio iniziale di Frame By Frame dei miei amati King Crimson. Ero di frettoloso passaggio sul palco, e mi sentii imbarazzatamente onorato di tanta considerazione.
Schiva, pronta a contraddirti per un nonnulla, demolì pezzo per pezzo le mie composizioni, dandomi però dei suggerimenti pertinenti e ricchi di migliorie. Avessi voluto intraprendere la difficilissima carriera di cantante, avrei scelto sicuramente lei come produttore: da una ragazza così schietta ma precisa, non potevi che aspettarti grandi cose.
Ogni tanto ci siamo scritti. Niente di speciale. Niente di originale. Solo il gusto di lanciarci suggestioni musicali. Perché in fondo, in quelle redazioni, ero l'unico che conosceva lo stick, che lo sapeva apprezzare... e che non lo definiva banalmente "basso elettrico".
L'8 maggio scorso, Virginia Splendore è stata trovata morta dentro un'auto, poco fuori Roma: si è suicidata. Preziosa com'era, schiva, ricca di turbamenti delicati e insormontabili, non ha retto alla maleducazione della vita, non ha accettato il privilegio di essere intelligente e capace. 
Se c'è una cosa che non mi perdonerò mai, è di non averla coltivata come amica, di non averle dedicato quel minimo di tempo necessario per spegnere il motore dell'auto che la stava uccidendo, e mostrarle cosa era capace di donare a noi appassionati: la Musica, nostra eterna signora.
So long, Virginia, so long.

1 commento:

arcadio ha detto...

Molto toccante!
Massimo Materni