31 dicembre 2012

#UmbriaJazz Jimi Quintorigo Hendrix

Difficile parlare dell'omaggio a Hendrix da parte dei Quintorigo, per almeno due motivi: lui scrisse musica comunque eccezionale, che difficilmente può essere eseguita male; loro sono uno dei pochissimi complessi italiani che meriterebbe gli spazi di notorietà che in troppi regalano invece a certe nullità.
Stimare quindi entrambi non rende l'approccio serenamente oggettivo.
L'operazione proposta è eccellente, specie tenendo conto che le due voci si sono dimostrate all'altezza delle più esigenti aspettative: Moris Pradella (nero figlio di bianchi), eccellente nel restituire la intenzioni vocali del Jimi più intimista; Eric Mingus (bianco figlio di cotanto nero), spavaldo nel ritrovare l'anima blues dell'Hendrix più aggressivo (con quale estensione, poi!).
Ad essere pignoli, ogni tanto sono mancati i Quintorigo: è come se la devozione verso Hendrix abbia preso il sopravvento nei confronti di un modo tutto loro di stravolgere e ricomporre i brani dei grandi.
Per darvi un'idea: ricordate come fecero la porteriana "Night & Day"? C'erano delle quintorigate di disarmante bellezza.
Ecco, ieri si è percepito questo approccio solo durante il meno noto (ma divenuto classico anche grazie a Pastorius) "Third Stone From The Sun". Lì erano i Quintorigo all'ennesima potenza.
Attenzione, sto parlando di quisquilie, perché il concerto merita - e anche il disco, e loro restano un meritevole faro di musica di qualità e popolare al tempo stesso.
Tutti molto bravi. Due estremi da sottolineare: ottimo Valentino Bianchi al sax; sacrificato Stefano Ricci al contrabasso (quando ha raccontato "Little Wing " con sola campionatura seriale, ha dimostrato tutte le sue doti, piuttosto celate durante il resto dello show).

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