05 marzo 2014

12 anni schiavo, un'occasione persa

Non sono stati Oscar credibili e riusciti, forse per la qualità mediocre dell'insieme delle pellicole candidate: lo dimostra il premio a 12 anni schiavo, che sa tanto di contentino alla coscienza di un'America ancora incapace di mettere la parola "fine" al razzismo. 
Se, insomma, l'elezione di Obama aveva messo una toppa, 12 anni schiavo poteva rivelarne l'ipocrisia di fondo; e, invece, ha contribuito a mantenere ormai candida la facciata di un paese ancora ricco di palesi contraddizioni (ne sanno qualcosa le vittime di Katrina, ultime in ordine di tempo).
Il film, insomma, non ha sostanza, e dà per scontata la sussistenza di un "messaggio" che secondo me paradossalmente neanche andava pensato. Voglio dire che forse McQueen ha sentito così suo il tema (e vorrei vedere), non pensando però che troppa partecipazione emotiva avrebbe bloccato sul nascere quel suo lavorare in apparente maniera asettica. Ammiccare troppo, indicare troppo, giocare col facile sentimento, sono tutti espedienti che hanno pure un senso, ma che non mi aspettavo da un regista così raffinato.
Certo, salverei la fotografia e la musica: eccellenti entrambe, soddisfano ampiamente il gusto e l'anima. 
Soprattutto la musica sembra un compendio antropologico buttato lì senza strafare, ma che dà l'idea precisa di come siano poi nati il gospel, il blues, il jazz e se vogliamo anche il rock.
Tecnicamente parlando, la regia si muove senza mèta, senza un progetto lineare. McQueen sembra aver stabilito solo pochissimi punti narrativi nodali ben precisi, che però ha collegato con scene dispersive e incoerenti, spesso didascaliche e buttate là alla rinfusa.
I personaggi bianchi, poi, girano dietro una pantomima ammiccante, dove il cattivo è cattivo, il buono è buono, l'indeciso senza redenzione resterà senza redenzione. È un peccato, perché invece i neri vengono proposti con sfumature delicate e raffinate di indiscutibile intensità, che però soffocano in questo insieme così mal congegnato. 
Chiwetel Ejiofor è bravissimo, ma mal sfruttato: per colpa di una mediocre sceneggiatura, non si percepisce in alcun modo la sua mutazione psicologica. Per portare un esempio tra tanti: una delle scene nodali - quando cioè lentamente egli si associa al coro di commiato per un compagno morto - può essere letta tranquillamente in due modi; o che prima resisteva strenuamente e ora capisce di essere schiavo, o che prima si sentiva schiavo e adesso si sente comunque libero nonostante le catene.
Michael Fassbender si conferma in serio calo. E quindi: o le due prove precedenti con McQueen erano una felice eccezione, oppure quanto abbiamo visto in Prometheus, in The Counselor e in questo 12 anni schiavo sono tre incidenti di percorso... consecutivi.
Anche qui, il doppiaggio italiano penalizza moltissimo l'insieme, ma non è l'unica causa della mia sufficienza stiracchiata.
A latere: noi, cristiani bianchi e occidentali, abbiamo deportato in tutto 36 milioni (trentasei mi-lio-ni) di neri; 18 milioni dei quali (diciotto mi-lio-ni) morti durante il tragitto via oceano o per stenti/soprusi/stupri entro i primi mesi dopo l'attracco in America.

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