06 agosto 2014

quando la Grimaud incontrò Rachmaninov

Non prendetemi per un maschilista, ma io sono convinto che alcuni strumenti musicali non siano adatti a una donna. Ma non per motivi meccanici, quanto per la resa.
Per dire: per quanto sia (stata) bbbona e brava, la Mutter ha sempre suonato ai limiti del fastidio, perché il violino non può essere solo acquetta buttata là, ma anche birra e vino, superalcolici e lava. Le sue dita, invece, campicchiavano di una buona diteggiatura ma con una mediocre resa artistica.
Oddio, alcuni strumenti musicali non potrebbero mai passare per mano maschile... ma il ragionamento è troppo lungo e ardimentoso.
Tra gli strumenti che io reputo maschili c'è anche il pianoforte. Certo, c'è la Argerich che fa eccezione. Ma è un caso isolato di un mondo femminile, invece, pervaso di zuccherini e melensità.
Eppure, da qualche giorno ho scoperto Hélène Grimaud. E l'ho messa alla mia prova tutta personale con un classico di Rachmaninov, il fatidico secondo concerto per pianoforte, che qualcuno ricorda allbaimaiselfato da Eric Carmen, e qualcun altro come "sigla" di apertura dell'ormai conclusa La Storia siamo noi.
Incredibile ma vero, la Grimaud fa l'operazione opposta, che proprio non ti aspetti: taglia di netto certi languori troppo Russia-sofferente-in-salsa-taiga, per buttarsi invece dentro un'austera visione della vaga ispirazione anche ottomana della partitura, là dove l'oriente uralico e quello mediorientale si fondono e confondono.
Insomma, vale la pena concentrarsi su questa non più ragazza, fenomeno dei tempi andati, poi sparita e quindi ritornata.


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