04 settembre 2014

Doctor 3, il ritorno

Un'opera solida, ben fatta, dove vale l'idea del gruppo in ogni minima nota, dove l'ego dei singoli si amalgama in maniera elegante, senza fronzoli e senza ammiccamenti. 
Nonostante la scelta dei brani faccia presagire chissà quali virtuosismi, non esistono momenti solistici evidenti, ma una chiara intenzione di muoversi tutti insieme dentro brani più o meno noti del vasto panorama pop/rock/jazz.
Insomma, è come se i tre dottori avessero deciso di accompagnarci in una loro improvvisata passeggiata musicale, indicandoci note e silenzi di brani più o meno riconoscibili, a volte ricamando intorno a linee immediate, spesso scovando tra le pause delle partiture originali alcuni cenni di possibili "note altre" che magari ci erano sfuggite.
Ad essere petulanti, trovo meno riuscite Life on Mars (Bowie) e How Deep Is Your Love (Bee Gees), guarda caso già rivoltate come un pedalino dai Bad Plus col cui batterista il buon Rea sta per collaborare.
Quasi da Doctor 3 prima maniera, invece, la (ri)lettura di The Nearness of You (Carmichael) e di Ain't No Sunshine (Withers). 
Sicuramente avvolgenti i (nuovi) misteri sonori di Will You Still Love Me Tomorrow (Goffin e King), Light My Fire (Doors), Moon River (Mercer e Mancini) e Unchained Melody (North e Zaret). 
Strepitosa la versione di Hallelujah (Cohen, ma in fondo è anche di Buckley) che secondo me potrebbe diventare una nuova frontiera sonora in cui i tre potrebbero avventurarsi.
Il pianoforte di Danilo Rea si mantiene uguale a se stesso: eccellente, ma ormai stabile in quella sua tecnica molto italiana, attenta alla melodia e all'insieme. Il contrabbasso di Enzo Pietropaoli è come il vino: invecchiando migliora, dimostrando una serenità espositiva in costante stato di grazia. Fabrizio Sferra si conferma tra i migliori batteristi italiani del momento.

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