25 gennaio 2015

Hamburg '72, un brutto cd di jazz

Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto, ma lo speravo lontano e ben oltre l'orizzonte. E, invece, quel giorno è arrivato: parlerò male di un lavoro di Jarrett, datato 1972 ma uscito dalla sapiente produzione di Eicher solo alla fine dello scorso anno.
Insomma, è un po' come quando Fonzie doveva dire "ho sbagliato" ma non ci riusciva. Eppure, fatemelo dire prima che ci ripensi: questo Hamburg '72 è brutto forte. 
Pretenzioso, serioso, allusivo, senza alcun afflato innovativo, vecchio nell'anima e anziano nell'ascolto, è un'opera senza capo né coda che ammicca al futuro senza entusiasmo e coraggio. 
Un'opera, insomma, che se fosse uscita dalla penna di un qualsiasi altro musicista sarebbe stata stroncata di netto come solo meritano opere così pretenziose.
Keith Jarrett strimpella il piano, sofficchia sul sax soprano e sul flauto, prendendosi la libertà di contribuire ad alcune (inutili) percussioni. L'ombra di Charlie Haden smanazza il contrabbasso quel tanto che basta. Paul Motian riesce ad essere più "motian" del solito, senza cioè dare un senso a un batterismo già di suo poco felice (conosco la discografia migliore del tipo, e non mi ha mai detto un granché; lo preferisco come session man silente). 
Si sentono chiaramente la devozione e i rimandi a Ornette Coleman, ma nella sua parte strutturale e non artistica. Voglio dire che non si buttano note in caotica caciara se non c'è anima; altrimenti, è tutto molto pungente e noioso.
Qua e là sguscia via il Bill Evans più sperimentale. Ma sono fuochi fatui di un Jarrett decisamente fuori registro.
E dire che le ultime finestre dal passato remoto di Jarrett mi erano piaciute, sia da solo che in trio: ma qui mi sono sentito preso in giro, quasi mortificato, specie perché la critica lo ha incensato senza difficoltà alcuna. Forse ci vorrebbe un po' più di coraggio e di onestà intellettuale: se un'opera è brutta, tanto vale dirlo. E questa è un'opera da non comprare.

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