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15 febbraio 2015

radiazioni Vago, distruggete Loppi



Vorrei provare a condividere con voi una potenziale conseguenza del mio aver raccontato l’errore che mi è capitato durante l’ultimo Sanremo. Con una serie di rapide premesse, fondamentali e necessarie per conoscerci meglio (leggermente meglio).
Io adoro le parole, adoro il loro suono, il come cambiano senso a una storia a seconda di dove le collochi e quando le usi. Addirittura, odio ripetere le stesse parole, pure in circostanze leggere. Soprattutto, ho un grande rispetto per il loro significato.
Se in circostanze ponderate, io uso una parola piuttosto che un’altra, una virgola, un accostamento, una sequenza, è perché ci ho ragionato sopra. Poi, è ovvio, c’è sempre il limite del perfezionismo nevrotico; me ne rendo conto.
Alcune persone, per grossolaneria o per ragionata malafede, tendono a stravolgere l’uso delle parole. Tu dici blu, ma loro ti costringono a giustificarti perché avresti detto rosso. Ergo, non riusciamo a chiarire il nostro pensiero, perché costretti a ribadire cosa non si è detto.
Tant’è che alcuni opinionisti/giornalisti abusano di questa mentalità, “raccontando” il pensiero altrui, riassumendolo in maniera comoda oppure indicandone solo una parte, oppure decontestualizzandolo. Certo, si riparano spesso al rimandare all’articolo originale tramite un link; ma in pochi vanno a verificare, si sa.
Come corollario a questo metodo, troviamo il framing. Lo conoscete tutti, ma non con questa definizione apparentemente tecnica. Il framing è il presentare una persona attraverso un solo dettaglio, approfittando del fatto che il nostro interlocutore si fidi più di noi che di chi stiamo indicando. Dato che una parte della gente tende a fare il tifo per l’una o per l’altra parte, se subite il framing non ne uscite più; se, invece, lo attuate, avete vinto in partenza. Comunque, è una tecnica esecrabile.
Se a questi due nodi fondamentali del comunicare, aggiungete la gggente (vera o presunta), la frittata è fatta. Il web ha tolto ogni filtro oggettivo alla lettura e alla scrittura; che sia un bene o un male, non è materia di dibattito, perlomeno in questo post. Resta, però, oggettivo ed inequivocabile che chiunque si sente in diritto (ma anche in dovere) di dire per forza la sua, senza pensare che nel web le parole restano, le sentenze pure, e che l’approssimazionismo di ormai troppi lettori è sempre in agguato.
Veniamo a noi.
Prima, per cortesia, leggete questo testo. Altrimenti non siete miei lettori :-)
Lasciate perdere:
·         i toni
·         quel “caro Alessandro” (poteva scrivere “carino”, come avrebbe detto la Duchessa Vago per disprezzare la plebe)
·         il fatto che Claudia Vago sia ben visibile - e quindi oggettivamente avvantaggiata nel caso di una polemica - dalla “corazzata” dell’Huffington Post (di contrappasso, che dovrei fare? Chiedere spazio al sito della Rai?)
·         il fatto che NON mi abbia scritto prima una mail in privato per approfondire alcuni aspetti (per correttezza umana, direi)
·         il ridondare di quei “dici”, che di fatto mettono in dubbio la mia parola
Lasciamo perdere tutto questo. Claudia Vago commette qualche eRore e sembra NON conoscere l’argomento; oppure, nella fretta, si è dimenticata di conoscerlo. Come? Semplice. Abbiate pazienza, e vedrete.
Primo punto: nel mio post originario, rimandavo al link di un articolo apparentemente scorretto nei confronti di Carlo Conti e del Festival di Sanremo. La notizia per un opinionista (se notizia ci fosse stata) sarebbe potuta essere un’altra: Notate come il quotidiano XY abbia sparato nel mucchio, mentre invece il motivo è più banale”.
Io potevo stare zitto e far sì che la melma restasse sulle spalle del Festival di Sanremo. Ora: dato che conosco chi si fa il mazzo, e quanto me ne faccio io, non riuscivo (e non riesco) a sopportare che un mio tweet sbagliato potesse infangare l’immagine della professionalità di un’intera organizzazione. La cosa divertente è che Claudia Vago non cita mai l’articolo da me riportato, anzi sembra che non se ne sia accorta! Cosa costava a Claudia Vago cliccare sul link esplicitamente collocato nel mio post? Avrebbe scoperto che il tono del mio post era generato da quell’articolo.
Secondo Punto: da quel non citare la mia citazione, Claudia Vago arriva facilmente alla retorica maternalistica. Leggete qui: Perché in questo Paese c’è sempre il bisogno di trovare un colpevole altrove per non doversi mai assumere la responsabilità di niente? Claudia Vago, non ho scaricato la mia colpa su nessuno. Bastava leggere.
Terzo punto: con tecnica del framing a go-go, Claudia Vago definisce “tentativo di giustificazione” il mio post che raccontava l’accaduto. Attenzione: tentativo. Poi: giustificazione. Due definizioni false e tendenziose in una sola riga.
Quarto punto: Claudia Vago implicitamente critica l’aver cancellato il tweet. L’ho cancellato perché se io calpesto una merda, mi pulisco i piedi; se la merda fosse finita sotto le scarpe di tutti i miei colleghi, sarebbe stato molto peggio. Inoltre, come ben si sa, se sbagli un tweet e lo cancelli anche subito, è comunque facilissimo stamparlo o ritrovarlo.
Quinto punto: Claudia Vago attacca la Rai per interposta persona, usando addirittura il mio nome e cognome dallo scranno di Huffington Post, chiedendosi come mai un solo social manager possa seguire un festival di quella portata, postando/twittando su 5 account contemporaneamente. Il problema è la Rai o il mio errore? Quante cose abbiamo sul piatto di Claudia Vago?
Sesto punto E poi, esistono strumenti nel web che consentono di gestire un numero pressoché illimitato di social. Una sola persona potrebbe seguire più account. Lo sappiamo noi addetti ai lavori, cui Claudia Vago è annoverata. Parlarne fuori dal nostro contesto, significa solo costruire una ragione che non ha una base corretta. O spieghi accuratamente come si possa fare, o non usi impropriamente questa apparente follia di saper usare numerosi social contemporaneamente.
Settimo punto, gravissimo: un sindacalista magari non addentro alle meccaniche illustrate nel sesto punto, legge il post di Claudia Vago; decide allora di andare dall’Ufficio Personale della Rai e pretende spiegazioni sul perché una sola persona lavori ai social; l’Ufficio Personale della Rai - che a sua volta può non conoscere l’intero contesto - si spaventa e riprende il mio dirigente, che a sua volta mi toglie dal mio ruolo e al minimo mi demansiona, al massimo mi sospende per quattro giorni. Claudia Vago, vedo che sei di sinistra, o pretendi di esserlo: per colpire un gigante che neanche scalfirai, colpisci un dipendente peraltro corretto perché ammette un errore?
Ottavo punto: Claudia Vago lamenta una certa asetticità del mio live twitting (pensando addirittura che qualcuno me l’abbia ordinato). Gioco scorretto in partenza, mi vien da pensare. Secondo Claudia Vago, durante un Festival avrei dovuto commentare le performance dei cantanti in gara? Ripeto: in gara? Io mi sono lasciato andare con gli ospiti. Ma con i cantanti, no! E se Claudia Vago fosse la persona che sembra essere, doveva saperlo e quindi evitare di aggiungere legna al fuoco.
Nono punto: dal suo account Facebook personale, Claudia Vago scrive che il giorno dopo l’incidente mi sarei arrampicato sugli specchi dal mio account Twitter privato (persino retwittando numerosi tweet a mio favore; ma dài). Ora: non solo non è vero; ma ha approfittato del fatto che pochi dei suoi lettori andranno a controllare la mia timeline. Andate a verificare la mia timeline e non troverete specchio alcuno, figuriamoci delle arrampicate.
Decimo punto: nel suo articolo, Claudia Vago scrive che io cerco un colpevole senza assumermi le mie responsabilità. Dico: ma i suoi lettori l’hanno letta? Ricapitolando: senza che nessuno gliel’abbia richiesto, Alessandro Loppi dice “ragazzi, quella cazzata di ieri è opera mia”... e cosa fa Claudia Vago? Prende il mio post - dove ammetto l’errore - e dice che non mi sono assunto la responsabilità dell’errore!?! “Cara” Claudia, ma ce ffai o cce sei? Almeno: hai controllato cos’hai scritto, sì o no? Ma chi ti legge e segue, perché non se ne accorge? Perché non ti fa notare questa specifica contraddizione? Possibile che tu debba usare simili mezzucci retorici? Non mi sembri la tipa.
Insulto finale, a corollario di tutto questo ambaradam, dal suo account Facebook personale Claudia Vago scrive: “Io volevo dirvi che però con soggetti così perdo le speranze che il mondo possa migliorare”. E questi sono i metodi che usa Claudia Vago senza conoscere la storia personale di chi aggredisce? Ma Claudia Vago è sicura di sapere la mia storia umana e professionale?
Il tutto per un tweet sbagliato e ammesso.
La prossima volta, me ne resto a casa a sentire Keith Jarrett.

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Saluti,
Alessandro