14 settembre 2015

Alla periferia, ovvero: parlicchiare di David Sylvian uccidendo l'italiano

Un libro inutilmente lungo, circonvoluto, con interpretazioni dei testi arbitrarie e presuntuose (supera di gran lunga questo scempio; il che è tutto dire). 
Parte storica cosparsa da imprecisioni musicali (cosa costava al curatore italiano fare un bel fact checking?).
Totalmente carente di una benché minima parte tecnica o di un abbozzo di indice analitico.
Toni da agiografia che sconfinano nel ridicolo della mitizzazione esasperata (ed esasperante).
L'edizione italiana, poi, presenta refusi in quantità imbarazzante, accompagnati da errori grammaticali, sintassi da penna blu, traduzioni approssimative, tempi verbali buttati alla rinfusa, punteggiatura alla Totò e Peppino, periodare faticoso e sconnesso. O si è passati per Google Translator o il traduttore non è stato all'altezza del compito preposto.
Insomma, questa presunta biografia su David Sylvian è un disastro totale, che merita di essere cestinata immantinente.
E guardatevi bene dai critici che ne parlano con entusiasmo, perché evidentemente non l'hanno letta (sempre che si riesca a leggerla, intendiamoci).
E sono sicuro che a queste mie critiche qualcuno reagirà con la solita scenetta all'italiana: visto che è frutto di un lavoro amatoriale bisogna parlarne bene, essere indulgenti e addirittura complimentarsi con gli autori del massacro lessicale (e musicale). 
Ma per favore...

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