08 gennaio 2019

BIRD BOX e la critica cinematografica

Ho visto Bird Box su Netflix e non saprei cosa dire. O meglio: mi è piaciuto "virgola ma", perché è intriso di riferimenti e citazioni e ammiccamenti di ogni tipo. 
Però è un buon film. 
Però sa di già visto. 
Però ha un'ottima fotografia. 
Però è leggermente lento. 
Però ha un finale ben congegnato. 
Però non finisce né bene né male.
Insomma, qual è il vero problema?
È che un critico cinematografico dovrebbe appendere al chiodo penna e taccuino appena ha toccato la somma di due generazioni: una sorta di quota 100 etica, oltre la quale non dovrebbe sputare sentenze. E da lì, poi, trasformarsi in storico puro.
Penserete che non ci sia differenza tra critico e storico, ma vi sbagliate per almeno due motivi: il critico deve saper ascoltare il contesto in cui si esprimono i film, magari lasciandosi anche trasportare dai languori del tempo in cui vive; lo storico, invece, deve allontanarsi dal contesto che analizza, restituendogli dignità o limiti di fronte alle insidie del tempo.

Tant'è che, se ci pensate bene, quando qualcuno parla di Via col vento o di Berretti verdi (presi a caso), aggiunge sempre il canonico "devi rifarti all'epoca".
Ecco, per vedere Bird Box bisogna rifarsi all'epoca, ignorando volutamente tutta la tradizione di film di fantascienza e di horror che lo hanno preceduto. Per me non è stato possibile perché gli allarmi della mia memoria ronzavano continuamente.
Quindi, se siete giovani, scoverete qualcosa giusto da E venne il giorno e da World War Z. Se, invece, siete curiosi come scimmiette - o vecchietti da me in su, allora andiamo nel dettaglio. 
Da qui in poi, spoiler.
Oltre al WWZ citato, la "preparazione" al drammone riprende La città verrà distrutta all'alba di Romero, mentre la donna incinta da salvare è sovrapponibile al suo remake del 2010.
L'idea che le persone si suicidino appena vedono le creature (che noi non vedremo mai: ottimo macguffin!), è decisamente simile al già citato film di Shyamalan.
Il modo di presentare la casa assediata dalla stessa paura dei suoi assediati - quindi più che da un nemico che si manifesti esplicitamente, ricorda molto la Suspense di Clayton (1961).
I "posseduti" che si insidiano tra i buoni, sono una chiara eredità de Il terrore dalla sesta luna, scritto da Heinlein nel 1951 e tradotto in film nel 1994. Sotto altri aspetti, sono anche parenti vicini delle due "Cose", quella da un altro mondo del 1951 e quella di Carpenter del 1982, entrambe tratte da un racconto del 1938.
Sotto altri aspetti ancora, ricordano L'invasione degli ultracorpi di Jack Finney (romanzo del 1954) in tutte le sue successive traduzioni cinematografiche (la seconda più di tutte).
Delizioso il doppio omaggio al supermercato: tra Zombie di Romero (1978) e The mist di King (1982), ce n'è per tutti i gusti.
I pappagalli salvifici ricordano terribilmente quelli buoni buoni nella gabbietta circondati dagli invece cattivissimi Uccelli di Hitchcock (1963): addirittura stessa specie.
Sull'idea del fiume come strada per la salvezza, sento di ricordare qualcosa, ma non riesco proprio a ritrovarmela nel capoccione.
Sul finale, scusate, ma se non siamo di fronte a Il giorno dei trifidi di Wyndham (1951; il film è del 1963), ditemi voi dove siamo. Insomma, dai ciechi la salvezza! Diamine!
Una sola domandona finale, che il film risolve alla carlona con un paio di rapide scene: ma se le creature si manifestano alla luce, perché non siete scappati di notte?

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