La memoria dei poveri è sempre più denutrita di quella dei ricchi, hanno meno punti di riferimento sia nello spazio, poiché lasciano di rado il luogo in cui vivono, sia nel tempo di una vita grigia e uniforme. Certo c'è la memoria del cuore, e dicono che sia la più sicura, ma il cuore si logora con le sofferenze e il lavoro, e dimentica più in fretta sotto il peso delle fatiche. Il tempo perduto è ricuperabile solo dai ricchi. Per i poveri restano soltanto le orme vaghe del cammino della morte. E poi, per poter sopportare, non bisogna ricordare troppo, bisogna stare appiccicati ai giorni, ora per ora...
Ora, e ovviamente, questo non è il solo perno su cui ruota il bellissimo romanzo di Camus (erroneamente ritenuto "incompiuto"; in realtà il nostro doveva solo rimaneggiarlo), però è uno spunto utile ed interessante per cercare di dirvi dove voglio arrivare.
Io credo che Amelio sia un buon regista, e che il suo buon Ladro di bambini (secondo solo a Colpire al cuore) alla lunga sia risultato scarso solo per colpa del terrificante Lo Verso, veramente un pessimo attore.
Credo anche che non sia tra i favoriti dalle conventicole: quello che fa è quello che è, e caratterialmente non sembra godere o gongolare di questa micidiale critica italiota veramente incompetente e scoraggiante (che poi anche una "e" al posto di una specifica "a" non ci starebbe tanto male).
Certo, qui Amelio punta anche sul Camus politico (andando a ricicciare la sua contraddittoria indole anticolonialista ma non antifrancese), attitudine da "cinema impegnato" tanto cara alle zecche nostrane: ma è una scelta rischiosa e blandamente insistita che lascia il tempo che trova.
Però, se una persona così garbata e di mestiere prova ad avventurarsi dentro il mondo fascinoso di Camus, deve forzatamente abbandonare qualcosa del cinemismo italico.
Intendiamoci, NON si può e NON SI DEVE valutare un film dal libro da cui è tratto (e viceversa): resta, però, necessario restituire un mood, un sentore, un qualcosa che nel riferimento originario era essenziale e/o oggettivamente nodale. Del resto, Il paziente inglese di Minghella si basava su pochissime righe del corposo e omonimo romanzo di Michael Ondaatje: quindi, il busillis non sussiste.
Il problema sta nel fatto che Amelio ha raccontato un Camus frammentato, distante e incongruo rispetto a quel maraviglioso nonsoché che si legge nel romanzo. Sì, possiamo pure accettare che ne abbia stravolto alcune scansioni temporali (il libro inizia con il parto, che nel film, invece, apre alla conclusione... e cose simili), ma perdere quell'esprit, quel mettere al muro il lettore ed accarezzarlo con la terrificante quotidianità della vita, quel sapore di vero ed autentico che permea ogni singola scelta lessicale, quel delizioso giocare con la nostalgia ("che spesso non distingue", come diceva Rilke), quel rendere le cose per come sono senza ricattare il lettore con sentimentalismi da oviesse... insomma, Amelio ha creduto che anche il solo rappresentare il romanzo potesse restituire il sudore, le lacrime e i sorrisi di Camus.
Insomma, e alla fine, non è il migliore Amelio, e non è Il primo uomo di Camus.
Potete vederlo giusto per dire che il cinema italiano ha questi colpi di dignità: ma il voto finale resta scarsetto... e comunque in lingua originale; doppiato è quasi irritante... dopo che sarete usciti dal cinema, rileggete le righe che vi ho proposto in apertura: secondo voi, avete percepito lo stesso sapore?
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti sono possibili, purché debitamente firmati.
Saluti,
Alessandro