Adoro questo tipo di film, perché sono l'esempio di come si possa fare cinema senza palle al piede. Un cinema serio, ma non serioso; che omaggia senza fare il paraculo; che s'immerge nel dolore senza farne scempio o speculazioni; che fa ironia senza essere crasso.
Insomma, il cinema che vorresti vedere ogni santo giorno, ma che almeno in Italia non esiste più, se non nell'armadio dei ricordi di chi adora questo mondo dalle viscere.
La storia è vera, e ancor più veri sono i protagonisti (ottimi sceneggiatori insieme; lei sola alla regia), considerando che hanno vissuto veramente quanto raccontano, stemperandolo in un finale che sa molto di Truffaut (senza adagiarcisi sopra, però).
C'è ritmo, ironia, un ottimo montaggio, una scelta delle musiche veramente azzeccata (si va da Vivaldi a Laurie Anderson, passando per Delerue e Offenbach, o per Von Pohel e Bach), una coreografia di personaggi e di stili eterogenei, intriganti e ricchi di sapore.
Ma, soprattutto, c'è un elemento cui penserete distrattamente quando uscirete col sorriso da ebeti stampato in fronte (ATTENZIONE! SPOILER!): il film inizia con la fine, e quindi siete già preparati all'evoluzione della storia, già siete rasserenati che tutto andrà bene; eppure, i nostri riescono a darvi mazzate e sorrisi in egual misura, a farvi trepidare, a subire/vivere insieme a loro ogni singolo passo di dolore e speranza... eppoi, diciamolo chiaramente, cari maschietti: lui è proprio un uomo. Un uomo vero. Altroché!
Insomma: un gran bel film!
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Saluti,
Alessandro