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12 settembre 2012

bruciando i miei libri

Càpita. Spesso. E non ci posso fare niente. 
In alcuni casi mi sono pentito; in molti altri, no.
Voglio dire: considerati gli spazi a disposizione (ben superiori alla media italica, va detto), ogni tanto sono costretto a fare una revisione alle mie biblioteche, quella mia e quella minore che occupo abusivamente a casa di mia madre.
Sono e resto un mago degli spazi: ma ogni tanto è necessario fare una visita decisa alle proprie scelte del passato.
Un po' la polvere, un po' l'esperienza acquisita, un (bel) po' la noia di certi autori che in passato ho invece amato, la mia mattanza non conosce confini. E quindi comincio a buttare titoli che in passato mi avevano illuminato o guidato; altri che avevo subito con spirito infantile, e quindi acritico; altri imposti dagli studi; altri ancora, frutto di follia collettiva, condizionata spesso dalle urla dei media o dalla critica seducente (e poi menzoniera)...
Insomma, ormai ho ucciso: tutti i titoli allegati all'Unità veltroniana (traduzioni scadenti, corpo minuscolo, selezioni arbitrarie); saggi politici di monumenti del passato (quando mai leggerò le considerazioni del giovane Berlinguer o di Folena, suo adepto?); quelli del fenomeno Millelire (la demagogia mista a supponenza); tutto Cesare Pavese (du' palle che diventano facilmente quattro); le amarezze di Paolo Milano (ti viene voglia di suicidarti anche e solo guardando la copertina); tutti i titoli di Emil Cioran; tutta la serie DeAgostini (ecco, qui mi sono dispiaciuto) con i titoli di classici che mi hanno accompaganto per 30 anni; saggi istant book su quanti peli nel naso hanno i cattivi del momento; testi che sembravano grandi cose e che poi si sono rivelati una bufala senza mozzarella; ritagli impolveriti e sostituiti dagli archivi online; strenne senza senso; tutto Alessandro Baricco (tranne Oceano mare e Castelli di rabbia); Saviano che parla con Langewiesche (come se io parlassi di relatività con Einstein)...
Insomma, correggere il tiro dei propri gusti è quasi terapeutico, ma anche molto doloroso: strofinando per l'ultima volta certi titoli, mi rendo conto anche delle cazzate che ho fatto intorno al periodo in cui acquistai quel testo, dei limiti che ho avuto o che ho di fronte alla Storia e alla Letteratura, di quanto ancora mi resta da leggere, di quanto tempo ho perso dentro vicoli narrativi oscuri e ottusi.
Sarebbe bello prendere una macchina del tempo e ritrovare il me stesso di tanti anni fa: gli direi di posare quel titolo o quell'autore, di prendere un treno e di farmi un bel viaggio. La perdita del tempo è il torto più grande che si possa fare alla propria anima. E certi autori ne sarebbero più che lieti. 

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Saluti,
Alessandro