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30 dicembre 2012

#UmbriaJazz Jonathan Batiste, una meraviglia tra noi

Concerto memorabile, questo di Jonathan Batiste, di quelli che porti nel cuore e racconterai ai nipoti con languore e nostalgia.
Piano moderno e tradizionale, avventuroso ma mai esagerato, coinvolgente ma mai ammiccante. E poi un uso affettuoso del clavinet per far partecipare anche il pubblico quel tanto che basta.
Apre con un classico di Chopin cui lega avventurosamente una centellinata "Blackbird" dei Beatles. Ancora non canta.
Dopodiché arriva un classico di Morton, roboante ma spolverato di quegli inutili e cinematografici mississippismi.
Poi, silenzio. C'è "Summertime", nella versione più bella che abbia mai sentito in vita mia. Roba da brividi, veramente da brividi. Con un momento solista dodecafonico (!), e gli schiavi che aleggiano tra il pubblico, testimoni sorridenti di torti mai emendati.
E la voce? Perfetta.
Dopo altri maestrismi veramente di qualità, arriva una "St. James Infirmary" che non dà scampo, ricca di riferimenti antichi e moderni che si intrecciano.
Grande spolvero, poi, di "God Bless The Child" con un solista ai limiti dell'inverosimile: mano sinistra che cita Liszt, la destra che esegue Chopin/Beethoven, una cadenza alla Varese, e - udite - un fraseggio che rimanda a Cab Calloway.
Insomma, Batiste è il faro dell'oltre Jarrett. Per fortuna meno autoreferenziale, ma proprio per questo da frequentare.

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Saluti,
Alessandro