Mare. Fa caldo. E il vento che tira, scaglia brezza di sabbia calda, che inumidisce ogni cosa. Devo dire che è irritante, e ricorda quel dolce elenco di venti del Paziente Inglese.
Un ragazzo nuota in circolo, col solo braccio destro; quello sinistro, lo agita quando gli gira. È calvo. Prestante. Sembra divertirsi. E gira in tondo. Però vicino ci sono gli scogli, quei pochi scogli che teniamo sulle spiagge di Ostia per vantarci con l’Universo che gli scogli li abbiamo anche noi.
Il bagnino si avvicina alla riva. Dinoccola dei cenni al tipo che nuota, intimandogli di allontanarsi da quel pericolo, peraltro stranamente segnalato. Il papà del tipo gli si avvicina, capisce la situazione e fa ampi cenni al figlio di allontanarsi.
Questi riprende a nuotare più in là, lasciando il bagnino in compagnia della sua sigaretta fatta a mano, e il papà con
Dio, come si diverte. Si atteggia da gran nuotatore, facendo i gesti che i campioni compiono nevroticamente sulle vasche olimpiche. Avrà 35 anni. Si bea delle romanissime onde (basse e scoglionate, insomma). E poi si gira intorno cercando l’approvazione del padre.
Io lo guardo, e mi commuovo. La sua naturale naturalezza, quel suo essere così semplice, senza sovrastrutture, senza preoccupazioni, senza borghesismi di sorta. Lui è il campione della spiaggia, e nulla più.
E io penso a quanto sia ingiusta la vita,
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