La notizia è doppiamente dolorosa, sia per il fatto in sé che per il motivo: il 3 agosto scorso, Robert Fripp ha annunciato il suo ritiro.
Partiamo dal secondo motivo: il tentativo (eroico e disperato) da parte di Robert Fripp di tutelare le sue creazioni, di stabilire l'esatto significato di diritto e di autore, di riconoscere agli artisti il pregio del loro impegno, si è scontrato con una major non di poco conto: la Universal Music Group, che di fatto detiene i diritti di pubblicazione di buona parte del suo corpus discografico, e che fa un (bel po') di testa sua.
Da tempo, ormai, Fripp non si sente più vicino alla musica: l'impegno psicologico e fisico profusi contro questa lotta non solo giudiziaria, lo hanno allontanato dal gusto e dalla passione. Il passo è stato quasi una naturale conseguenza.
E il fatto che abbia rilasciato un'intervista (cosa già eccezionale) al Financial Times piuttosto che a riviste specializzate, dimostra sia la mentalità aperta della rivista che le intenzioni concrete del nostro piccolo eroe della chitarra.
Lo so, adesso vi aspettate la battuta contro i fighetti nostrani. Be', va detto che hanno sottovalutato la notizia, ridicolizzandola, sia perché non conoscono la Storia della Musica, sia perché il mondo che sta uccidendo l'arte è anche il mondo che dà spazio ai mediocri.
È in gioco non solo un destino di un singolo musicista/compositore, ma la mentalità che dovrebbe riconoscere agli artisti i giusti meriti: invece di pretendere tutto (e gratis), bisogna sempre ricordare che dietro un brano musicale bello (quindi Allevi è fuori) c'è un impegno che va premiato e riconosciuto.
Robert Fripp ha sempre lottato per i singoli diritti dei singoli musicisti che hanno lavorato per/con lui. Tant'è che buona parte dei brani dei King Crimson (nelle loro differenti line-up) segnava come autori i singoli musicisti che avevano contribuito anche con una minima idea alla riuscita del brano. Attenzione, non un mero stratagemma per evitare liti interne (usato dai Pink Floyd e dai Queen con modalità differenti), ma un modo pragmatico (e romantico) di riconoscere i meriti dei singoli.
Per quanto Bruford si sia sforzato di "parlar male" di Fripp (le virgolette sono volute, perché sono stato grossolano), nella sua autobiografia gli riconosce sempre questo disperato tentativo di rispettare la musica e i suoi musicisti.
Il (mio) dolore per motivi artistici, invece, parte da mille rivoli della mia memoria di musicista e/o di amante della musica.
Devo chiarire che amo Fripp non per afflato isterico o da fan senza ratio: chi mi legge da sempre sa che non amo gli ultimi King Crimson (almeno da The ConstruKction of Light in poi, Scarcity incluso), e che mai ho sopportato certe scelte musicali di stanca routine.
Io amo Fripp perché "dice" le cose esattamente come avrei voluto dirle io. E usa esattamente quel suono e quelle note che avrei usato io, se solo fossi stato alla sua incomparabile altezza (la caccoletta che è in me sta ridendo per queste frasi in stile CarmeloBeneappareallaMadonna).
In più, la sua poliedricità, il suo continuo sperimentare, il suo sapere esattamente quando stare zitto (Islands è un suo brano, e non c'è traccia di chitarra), quando accennare (Book of Saturday) e quando sublimare (The Night Watch), quando corcare di botte (Fracture) e quando ridere (tutto Beat, se vogliamo), quando sperimentare in maniera oscura (frippertronics, prima; soundscapes, poi) e quando in maniera diretta (i vari Lark's)...
E le collobarazioni? Sylvian, Bowie, Gabriel, Byrne, Eno, Porcupine Tree, No-Man. Non esiste stanza musicale che Fripp non abbia perlomeno visitato in questi ultimi 40 anni. Non esiste genere, musicista, complesso, giornalista, che non debbano qualcosa alla sua inventiva e alle sue idee.
E l'approccio? Fripp ha scritto tonnellate di parole. Ma a me restano sempre impresse due pietre miliari del suo pensiero. La prima ("Discipline is never an end in itself, only a means to an end"), è un aforisma laico e potente. La seconda (i King Crimson sono "un modo di fare le cose"), cozza inevitabilmente con i superficiali che lo ricordano solo per l'ellepì con il faccione, dimenticando che la Storia della Musica dice molto altro.
Ragionando fuori da ogni schema, avrei preferito una dipartita drastica, piuttosto che saperlo lì, seduto davanti alla sua chitarra, in solitaria meditazione.
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