29 gennaio 2010

a single man

Che Tom Ford sia un figo pazzesco è fuori discussione (come forse direbbe la Soncini). Che sia un uomo baciato dalla fortuna è addirittura riduttivo. Che poi sia anche intelligente e bravo fa quasi morire d'invidia. Eppure le cose stanno così. Punto e basta.
Sono andato a vedere il suo unico/ultimo film A Single Man, e ne sono uscito con due sentimenti letteralmente opposti. Giriamoci un po' intorno, e poi li vedrete sbocciare all'improvviso.
La storia è abbastanza ovvia, e catturata dall'omonimo romanzo che Christopher Isherwood dedicò a Gore Vidal. Devo ammettere che non l'ho letto, ma ho apprezzato altri suoi testi: non ho alcuna difficoltà a dire che ogni tanto Ford riesce a restituire il sapore, lo stile, certe cose impalpabili di Isherwood che proprio perché tali non saprei spiegare meglio se non con frasi sospese e senza senso.
Chi si aspettava una sfilata di moda resterà in parte deluso, ma non perché non ci sia, anzi; semplicemente Ford non ammicca più di tanto. Tutto il film è un continuo rispettare ed esaltare l'estetica, l'eleganza, il saper indossare la vita senza arroganza alcuna.
Certo, Colin Firth è un po' imbolsito, ma riesce benissimo nel personaggio, anche se la sua omosessualità è di maniera; non sentita quindi, ma recitata. Molto più interessante l'insospettabile stile di Matthew Goode (il fidanzato, per intenderci), che lavora molto sul quasi detto, sull'imprecisione, sulla misura.
Voglio dire che generalmente il paradosso di un film è che concentra molto/troppo l'attenzione su tutto. È inevitabile quindi "aspettarsi" qualcosa di preciso quando si presume di conoscere un argomento invece composito come l'omosessualità. E quindi se un attore "scheccheggia" troppo, alla fine fa ridere e diventa stucchevole. I due attori, invece, hanno evitato questo "rischio" antipoetico, e con due strade diverse hanno reso comunque credibili i rispettivi personaggi.
L'ambientazione storica e gli impercettibili cambi di colore e viraggio - a seconda dei contesti narrativi - sono i due aspetti eccellenti dell'operazione (oltre che, permetettemelo, le scarpe, i vestiti e l'incredibile accappatoio che il protagonista indossa durante la sequenza finale).La musica, invece, ammicca troppo a Nyman e Glass.
Il vero problema del film è il ritmo, troppo incoerente e privo di un disegno generale. Sembra più che Ford non abbia girato per 24 frame al secondo, ma per 25. Come se in alcuni momenti avesse titubato nel taglio, lasciandosi andare all'autocompiacimento per cose che poi alla fine erano secondarie.
E mi sfugge come non si sia accorto delle proporzioni di alcune inquadrature: campo con viso a destra, controcampo con viso a sinistra, campo con viso a... sinistra! Roba da pivelli, insomma. Per tacere della sequenza in cui Firth e la semprebbrava Julianne Moore stanno seduti sul divano. La domanda sorge spontanea: quante braccia ha Colin Firth?
Battute a parte, è un film manierato che può essere visto, se non altro per il piacere di gustare la prima ottima mezzora e per godersi poi un po' di sana estetica buttata là con malcelata distrazione.
Unica nota per i nostri omofobici: il film si svolge nel 1962. Ad un certo punto a Colin Firth viene proibita una cosa essenziale, di quelle che non si vietano neanche al proprio nemico. E questo solo perché i due sono gay. Certe cose le possono pensare solo le bestie, ma neanche loro...

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