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23 dicembre 2024

REMAIN IN LOVE di Chris Frantz (HarperCollins)

Io e Tina abbiamo vissuto insieme tante belle avventure e di questo sarò sempre grato. Quando la gente dice: «È ora di andare avanti», io non sono d'accordo. Quando si parla della mia famiglia, dei miei amici e della mia band, non sono una persona che "va avanti". Io rimango, e resto innamorato
Libro godibile, a tratti irresistibile, sulle imprese non solo musicali di un gruppo che ha segnato la musica più del successo effettivo ottenuto: i Talking Heads (e, in parallelo, i Tom Tom Club). 
Una penna disinvolta, sempre a disposizione del lettore, capace di guizzi insospettabili come anche di una ricercata capacità di parlare dei grandi della musica senza enfasi ma con grande rispetto.
Chris Frantz si dimostra un buon scrittore che esplora il proprio passato con una misurata umiltà, di quelle che non fanno finta di essere umili. 
Incontrerete leggende della musica, momenti storici e quotidianità ormai dimenticate, sempre avendo bene in mente che è una biografia, e quindi raccontata da un punto di vista parziale.
È anche un compendio sul variegato movimento post-punk, generato dai Ramones, preceduto da Patti Smith, sviluppato dai Clash, venerato da una generazione che non amava essere rappresentata, ma che nel contempo aveva bisogno di qualcuno che parlasse di essa, delle sue contraddizioni, della sua paura di vivere la normalità.
Elegantissimi e mai polemici i riferimenti alla sgradevole personalità di David Byrne: ottimo cantante, eccellente compositore, ma compagno di viaggio inaffidabile, scorretto e incline al totale egoismo egocentrico. E non ci fa una bella figura neanche Brian Eno, tanto bravo a produrre e inventare, quando piccino al di fuori della sala d'incisione. 
È un libro che corre via, senza dogmi o insegnamenti, o particolari fissazioni, se non quando si parla della vera protagonista, Tina Weymouth, amica, amante, moglie, anima gemella non solo musicale, descritta sempre con amorevole amore e una stima che vanno ben al di là dell'"obbligo" matrimoniale. Bassista donna, forse tra le prime degli anni '70, si avvicinò allo strumento letteralmente da zero per poi imporre uno stile ancora oggi imitato ma inimitabile.
Non so quanto possa piacere questo libro ai "non addetti ai lavori": sicuramente, non è cattedratico come altre biografie di genere; tocca, però, al lettore, superare ogni indugio e leggerlo con spirito accogliente.
A me è piaciuto molto

31 dicembre 2012

#UmbriaJazz Giovanni Guidi Trio, algida gioventù

Le malelingue vogliono che il giovanissimo pianista goda di tanta attenzione perché figlio di un componente l'entourage di Super Rava.
Che sia vero o no, Giovanni Guidi ha molta strada da fare, forse tanta. Una mano sinistra quasi assente, timidi jarrettismi senza l'arroganza necessaria, mani troppo vicine e nascoste nelle due ottave centrali, schemi audaci ma senza guizzo decisivo.
No, non vuole essere solo una feroce stroncatura senza speranza. Semmai una stoccata irritata per un inizio poco rispettoso verso il pubblico: non si parte, cioè, con un pezzo di un quarto d'ora abbondante di jazz freddo alla Ecm (mitica etichetta che lo ha cooptato per un'imminente uscita su cd); non si fa, specie quando si deve raccontare (e raccontarsi) qualcosa a un pubblico smaliziato quale è quello di Umbria Jazz.
È vero che quando si è giovani si tende a strafare. Ma chi lo produce dovrebbe suggerire un minimo di umiltà e di senso della misura.
Tra gli standard proposti, buona lettura della "By This River" di Brian Eno (la conoscete grazie anche alla "Stanza del figlio" di Moretti), molto simile a quella del Martin Gore di "Counterfeit 2". In più, deliziosa versione del classico "Qui sas qui sas qui sas".
Concerto interessante, quindi, ma niente di più. Da segnalare solo l'ottima prova di Joao Lobo, batterista riflessivo, puntuale e raffinato, di quelli che sanno quando parlare e quando stare in disparte.

22 febbraio 2010

amabili resti (per appunti e divagazioni)

Questo film si apre con uno dei brani più interessanti di tutta la discografia di Brian Eno: 1/1 dal sottovalutato Ambient 1: Music for Airports (gli appassionati riconosceranno tra i brani non originali anche la quasi frippiana Third Uncle da Taking Tiger Mountain By Strategy). E di questa atmosfera conserva moltissimi aspetti.
Forse non è un film eccellente, ma eccelle in molte cose, specie se teniamo conto che per mandare in frantumi il regno di Lucas e Spielberg, finora Peter Jackson aveva badato solo agli effetti e poco alla storia (in fondo il Signore degli anelli va avanti da solo).

A dispetto di quanto scrive David Denby sul New Yorker (qui in lingua e qui tradotto dai ragazzi di Internazionale) sia il libro che il film non sono un lavoro da "artigiani capaci e opportunisti". Come purtroppo si sa - si dovrebbe sapere (perlomeno tra giornalisti) - la Sebold fu veramente violentata, e Jackson è stato già ampiamente rivestito d'oro per mettersi poi lì a giochicchiare con un argomento così devastante come la pedofilia.


Ad un certo punto i tempi diventano il lato debole dell'intera operazione. Da metà film in poi è come se mancasse un'idea d'insieme: l'intera macchina narrativa tentenna, quasi sbanda, per poi riprendere percorsi diversi a volte incoerenti. Credo forse che la paura di descrivere male il male assoluto, il terrore di scendere nel banale in questa rappresentazione di limbo per anime incomplete, il rischio di diventare noioso o moralistico, abbiano costretto Jackson a continui ripensamenti di sceneggiatura. E il ritmo ne risente. Tanto che è in agguato un quasi triplo finale.


Facendo finta di non aver visto l'inutile pre-epilogo in stile Ghost tra la bimba defunta e il quasi ex fidanzato, va detto che non è una storia di fantasmi. O meglio: non come li intendiamo noi. I loro differenti mondi si sfiorano ma non si toccano, si intuiscono ma non si vedono, si cercano ma non si trovano. E in fondo è più un problema per la defunta che per i vivi, non solo per l'iniziale angoscia della sofferta consapevolezza di essere morta (resa perfettamente sia dall'attrice che dalla regia), ma perché non può far sapere chi sia l'autore dell'omicidio.


Più in generale, Jackson mette la tecnologia al puro servizio della storia, regalandoci momenti veramente incredibili, come quando il padre distrugge le navi in bottiglia e contemporaneamente lei le vede frantumarsi in quei fantomatici scogli, oppure quando l'ambiente reagisce visivamente all'intimità dei suoi stati d'animo più profondi.Certo l'alberello parabiblico disturbicchia (come anche il campo di grano in stile Ade da Gladiatore), ma l'insieme del mondo "altro" ha spessore, oltre che visiva maraviglia. Fa soffrire e sorridere, sperare e anche meditare... e un po' anche diverte, diciamolo.


E nel reale? Anche qui Jackson lavora abbastanza bene: non esagera con le situazioni standard che devono farti affezionare al personaggio e/o alla sua famiglia e/o alla vita da sogno che solo i fanciulli possono vivere. È tutto abbastanza equilibrato, per nulla borghese o leccato o da famiija de' poracci: sembra credibile e vero, proprio perché normale; e normale purtroppo è l'assedio del Male. La sequenza della violenza subita è una perla di rara eleganza e di misuratissima angoscia.


Senza scomodare Viale del tramonto e American beauty (per citarne due) da cui Jackson e la Sebold hanno preso l'idea di una trama che parte dalla fine, dove cioè sappiamo già chi morirà e seguiamo a ritroso gli eventi che hanno portato alla sua fine, di citazioni raffinate (su cui si indugia quel tanto che basta) ce ne sono, eccome: prima di concepire l'ultimo figlio, la sempre brava Rachel Weisz legge L'Exil et le royaume di Albert Camus, attuale e preziosa raccolta di racconti (tradotta in pellicola due anni fa).

La protagonista viene soprannominata Suzie Q, come l'omonima canzone resa famosa dai Creedence Clearwater Revival (e danzicchiata da un paio di ragazzine francesi dall'elicottero di Apocalypse now!).
E poi c'è l' immancabile Der Wanderer über dem Nebelmeer di Caspar David Friedrich (qui a destra) che campeggia su una parete della casa.
E come non dimenticare lo scespiriano Othello nell'allusa interpretazione cinematografica di Laurence Olivier...
Non credo che siano citazionismi saccenti o di converso buttati là; semplicemente fanno parte della storia, e magari artificiosamente dimostrano come Jackson abbia più ciccia in testa di quanto i suoi precedenti lavori non lasciassero intravedere.

Due cose sono certe: la prima, è un film da vedere; la seconda, tale è la rabbia che vi crescerà dentro contro la pedofilia, che all'uscita della sala vi verranno in mente cose terribili pur di punire questi bastardi.

E il bello è che il film non fa mai vedere nulla, quasi neanche intuire. La gaiezza di certe sequenze, l'innocenza di certi dialoghi, la totale assenza di simbolismi sessuali più o meno dissimulati, hanno - però e appunto - l'esatto effetto opposto: creano indignazione, rabbia e sofferenza per uno dei mali più ributtanti che un uomo possa mai concepire.


11 giugno 2009

trilogia berlinese

Di tutti i libri dedicati alla storia della musica, questo è quello che più stavo aspettando. Ed è un ottimo testo.
La storia della musica, di tutta la Musica, passa per questo particolare periodo storico (anni '70 o giù di lì), quando cioè David Bowie, gonfio di coca e di manie varie, decide di rintanarsi nell'allora divisa capitale tedesca, per scappare dai suoi incubi e per inventare qualcosa di diverso, di insolito.
Bowie compie un'operazione incredibile, perché riesce a fondere le grandi tradizioni soul, pop e rock insieme alle novità elettroniche portate avanti dai Tangerine Dream (allora molto cerebrali), dai Popol Vuh (i più "coerenti") e dai Kraftwerk (i più rivoluzionari).
Ne nasce un trittico di (capo)lavori che ancora oggi si dimostra moderno e ricco di spunti per il futuro. Tra i collaboratori, si sa, figura l'immarcescibile Brian Eno. Mentre tra i collaboratori registriamo il monumento Robert Fripp.
Che poi parlare di trittico è forse inappropriato, visto che l'ultimo, Lodger, è il meno berlinese dei tre (anche se risente delle sperimentazioni lasciate a metà durante la lavorazione di Low e Heroes).
L'autore del testo si dimostra ben documentato e molto acuto, oltreché capace di saper raccontare il tutto con profonda semplicità e delicata ironia. Oltretutto va ben oltre altri testi e interviste già noti, riuscendo a regalarci un documento imprenscindibile anche per chi non fosse poi così interessato all'argomento.

07 dicembre 2007

passeggiando

Questa mattina ho fatto una pazzia, che per chi conosce Roma ha un senso tutto particolare: ho fatto a piedi da Testaccio fino al quartiere Della Vittoria. Il problema sta tutto nel fatto che purtroppo il Tevere è storto, mica come i fiumi americani che vanno dritti dritti e tracimano a comando.
Comunque provi a farli, questi 5 chilometri in linea d'aria diventano almeno 6 e qualcosa, se non addirittura 7; ci son pure tutti 'sti palazzi in mezzo... e per evitare il puzzo delle benzine verdi devi per forza passare all'interno.
Passi per Trastevere, per viuzze che sembrano uscire dal nulla, per case e chiese che sembrano ai confini del Medioevo, per finestre che nascondono immense librerie o panni da stendere, con i ladri che vanno a dormire e i netturbini che spazzano sbadatamente birre e preservativi della notte che si è appena chiusa, cani che portano i padroni a spasso... costeggi la Casa di Dante, accanto c'è il cinema che odora di vecchi film di quand'ero bambino, e poi più giù l'Alcazar, altra sala in cui Alessandro ci fa sempre pagare di meno (e dove l'altro ieri ho visto il bellissimo La valle di Elah), poi c'è una serie di piazze e piazzette con l'odore di caffé e ciambelle, con lo zucchero che ti stimola spese folli per saziare uno stomaco sempre vuoto, c'è quel bellissimo palazzo di cui non ricordo il nome che visitiamo solo una volta l'anno quando espone i vincitori di non so quale prestigiosissimo concorso fotografico internazionale, accanto c'è una comunità di tossici veramente linda e pinta che ti fa rimpiangere di non esserti fatto almeno una pera in vita tua, c'è il cinema Intrastevere che ci delizia sempre con proiezioni strepitose, più giù ci son delle cantine ricavate da antiche case romane dove hanno girato Cuore Sacro, poi arrivi accanto all'Orto Botanico dove ere fa ammirai un'installazione da brividi di Brian Eno, l'Accademia dei Lincei cui da ragazzino attribuivo un ruolo esoterico che immagino non abbia mai avuto, il Carcere Regina Coeli (non sei un vero romano sei almeno una volta non hai fatto i tre scalini... tradotto: se non sei stato in galera), l'immenso negozio di Hi Fi il cui responsabile porta il mio stesso cognome ma non siamo parenti neanche a cannonate nonostante suo padre sia morto lo stesso giorno in cui morì il mio, Santo Spirito, Borgo Pio dove son nato poco più giù con l'ambasciatore della Costa D'Avorio come dirimpettaio immenso e elegantissimo... e di là c'e il Tevere, il "ponte Ozpetek" (lo chiamo così perché c'hanno girato La Finestra di Fronte e il video di Giorgia che l'accompagnava), il Monte di Pietà, Campo de' Fiori con Giordano Bruno e il cinema Farnese di fronte al quale conobbi la mia signora e otto anni dopo sempre lì le chiesi di sposarmi con valletto il compianto Mauro che non riuscì ad arrivare vivo alla data del matrimonio, Corso Vittorio dove da ragazzo giocavo con alcuni amici a fare gli scherzi ai passanti, ancor più giù Piazza Navona dove c'è un negozione con incredibili animali di peloche, e Palazzo Braschi e via Zanardelli e il Palazzaccio e Piazza Cavour e il Cinema Adriano... sì, sembra stia girando male: è che in realtà, mentre camminavo da questa parte, mi divertivo a camminare mentalmente anche dall'altra.
Che città, mamma mia, che città...


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