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29 aprile 2015

gli eroi di iiro rantala

Fossimo finlandesi non avrei dovuto scrivere tutto minuscolo il titolo di questo post: da quelle parti, infatti, sanno che Iiro si legge "iiro" e non "liro". Fatta questa premessa - stupida ma essenziale, passiamo oltre.
Parliamo di pianisti: ne conosco così tanti che trovo perlomeno ingiusto stilare una classifica. Se, però, insistete, possiamo pensare che il mondo del pianoforte jazz sia un po' come una piramide, la cui punta è Keith Jarrett e tutto il resto scende giù... Allevi? Nessun problema: non è un pianista.
Ebbene, dove andrebbe collocato Rantala? Eh, è una bella domanda. Perché se dovessimo basarci solo sul singolo ascolto di questo Lost Heroes ci verrebbe istintivo collocarlo vicino all'entrata dei visitatori di questa ipotetica piramide.
Certo, alcuni brani sono comunque - e chiaramente - complessi o tendenti al complesso: però, poi, è chiaro che Rantala tenti più di comunicare qualcosa direttamente e senza fronzoli, piuttosto che restare pervicacemente rinchiuso in se stesso, costringendo l'ascoltatore ad entrare chissà in quale antro mistico. Del resto, nell'intervista che trovate alla fine di questo post, il nostro amico dichiara esplicitamente questa attitudine.
Il cd è un evidente omaggio ai compositori (o amici) più amati da Rantala. Molti sono noti: Bill Evans (il pianista, ovviamente), Toots Thielemans, Michel Petrucciani, Jaco Pastorius, Errol Garner, Art Tatum, Oscar Peterson. Un paio sono "classici": Sibelius e Pavarotti; un altro paio di nicchia: Pekka Pohjola e Esbjörn Svensson.
L'etichetta che lo rappresenta ne decanta la misura e l'eleganza: e in effetti sono due pregi che si sentono e si vivono con dolce intensità; soprattutto colpisce l'esattezza delle note, che è un'attitudine che a me piace moltissimo.
Ebbene, non sono riuscito ad appassionarmi totalmente a questo lavoro, finché non ho incrociato il secondo video che trovate qui sotto: è l'elegia dedicata a(l mio amatissimo bassista) Pekka Pohjola, riproposta dal vivo con l'intrigante chitarra di Marzi Nyman e... il beatbox di Felix Zenger. Surreale quanto eccezionale.



22 maggio 2008

quando uno pekka... (Pekka Pohjola, intendo)

Non avendo mai avuto soldini, e soprattutto un impianto stereo decente, ho imparato ad ascoltare la musica o dal Brionvega di mia madre (tipo quello a sinistra), o dall'Allocchio Bacchini di mio nonno (quasi come quello qui a destra)... oppure attraverso centinaia di nastri, macerati con un radiomangianastri mono della Realtone (evito di proporvene una testimonianza fotografica, per non muovervi troppo a pietà).
Intendiamoci: non quelli registrati (una sorta di pirateria ante litteram, che comunque accettavo di buon grado), ma quelli che ciclicamente i negozi davano in saldo.
Anche qui, altra attenzione: allora i nastri in saldo erano veramente in saldo.
Una volta m'imbattei in un nastro intitolato Bubble Gum. Dentro c'era una sorta di raffinatissimo rock progressive stracontaminato da jazz e sperimentalismo. Ci suonava Mike Oldfield. Ma il padrone del progetto era Pekka Pohjola, pregevolissimo bassista, nonché polistrumentista attento e rigoroso.
Poco conosciuto in Italia, è considerato un piccolo genio in molte altre parti dell'Universo Musicale, là dove magari uno come Morgan sarebbe Presidente della Repubblica, e Berlusconi un anonimo travet delle Poste.
Fatto sta che per decenni ho cercato questo lavoro, senza neanche sapere che titolo avesse. Cerca oggi, cerca domani, son passati 22 anni, ma soprattutto è arrivato internet. E così sono risalisciuto (si dice?) a tutto quello che poteva riguardare il tipo.

Dopodiché due mesi fa una mia collega è andata in Finlandia, casa natale del nostro Pekka, e ne è ritornata con questo capolavoro.


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