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21 luglio 2022

salutando Eugenio Scalfari

Quando frequentavo uno dei licei più rigorosi di Roma - frequentato da un certo tipo di borghesia non per forza estremista, di Repubblica compravo spesso due copie: la prima veniva inevitabilmente vandalizzata dagli altri alunni; la seconda la tenevo nascosta per portarla sana e salva a casa.
Quella Repubblica era profondamente diversa da quella attuale. Purtroppo la "mentalità internet" appiattisce le prospettive: il passato viene schiacciato dal presente, e ogni parabola sembra un punto, facendo perdere il senso dell'evoluzione o dell'involuzione di persone, eventi o anche oggetti.
Quella Repubblica era una bandiera, una militanza, un modo di pensare, una visione del futuro, un manifesto della tolleranza, un baluardo dell’antifascismo, un invito al rigore etico e morale che personalmente provo ancora a mantenere dentro di me, nonostante sia ormai cresciuto assediato dal tradimento e dal disincanto, nonostante quel quotidiano non esista più da tempo.
Se penso a un modo di salutare il primissimo Eugenio Scalfari, per come appariva e per come era per noi giovanissimi lettori, mi viene in mente un verso di Rainer Maria Rilke, immenso poeta del Novecento, da lui tanto amato:
«Le parole grandi, dei tempi in cui gli eventi erano ancora visibili, non sono più per noi.
Chi parla di vittorie?
Resistere, oggi, è tutto
»

05 gennaio 2021

quando Scalfari sbaglia una data

Pochi giorni fa, in un'intervista celebrativa per i 45 anni di Repubblica, Scalfari è incappato in un errore storico da penna blu, affermando che Berlinguer sarebbe morto prima di Moro (potete leggerlo qui a sinistra).
Secondo, poi, alcuni esperti, l'altro errore (più veniale, ma storicamente meno noto) è stato il dimenticarsi che a quei tempi proprio Repubblica pubblicò articoli di fuoco contro il leader DC, accusandolo senza mezzi termini addirittura di corruzione; quindi ben lontana dai toni aulici espressi invece da Scalfari nell'intervista.
Ho avvisato prima la redazione, poi l'ho riportato su Twitter, citando sia Maurizio Molinari che l'account ufficiale di Repubblica (entrambi non hanno risposto), aggiungendo come ospite il noto Pazzo Per Repubblica, anche se non amo certi suoi toni sbrigativi (magari mi sbaglio io, ma preferisco approcci più garbati). Si è scatenata una messe di commenti e di retweet, ma anche di tweet con citazione.
Ebbene, da una parte mi sono sentito in colpa per come sia stato trattato il fondatore di Repubblica (apprensione inutile in questo caso, lo so); dall'altra ho constatato con mano (ancora una volta, per carità) quanto un certo pubblico di Twitter, ahimé numeroso, sia troppo aggressivo e inutilmente maleducato.
Non dico che bisogna essere silenti di fronte alle uscite 
di Scalfari, ormai sin troppo frequenti (ricordo che avrebbe intervistato più volte Papa Francesco, quando invece la Santa Sede ha negato almeno due volte), ma almeno tenere conto che se una persona sbaglia così di brutto vuol dire che c'è qualcosa che non va: si chiama vecchiaia.
E tu puoi essere il Male sceso in Terra, ma io "giovane" ho il dovere di lasciarti andare senza che tu ti faccia del male più di quanto non te lo stia facendo la Vita. E parlo con cognizione di causa, credetemi.
Ma mettiamo caso io stia sbagliando a essere compassionevole, questa storia tira fuori molti dubbi, meno personali e credo più concreti:
- ma Molinari dove stava? Se era distratto, vuol dire che l'intervista era proprio di forma e lui pensava ad altro; ma se non era distratto, cosa gli costava far presente questo e altri sfondoni? E tralascio certe malignità che ho letto in rete, dove qualche beota ha affermato che l'avrebbe fatto apposta, oppure che sia ignorante di suo: Molinari non mi piace, ma non ce lo vedo proprio né a usare questi mezzucci né a steccare una simile data
- dove stava la persona che ha trascritto l'intervista? Distratta pure lei, oppure sciatta, oppure incompetente? Non lo accetto da Repubblica, né quella della mia generazione (sicuramente esemplare sotto molti aspetti) né quella attuale (impresentabile nei contenuti che nella sintassi)
- come mai l'errore è stato corretto solo online e non sul pdf?
- come mai la rettifica cartacea del giorno dopo è stata pubblicata nelle pagine culturali anziché in quella dei commenti, come usa fare?
- come funzionano le verifiche a Repubblica?
- come funziona il customer care di Repubblica? Almeno un tweet di scuse, magari paraculo ma almeno che sappia mantenere quel "patto col lettore" che Repubblica ha perso da anni
Io non sopporto Luca Sofri, è noto, ma ha ragione quando denuncia come questo tipo di esempi così lampanti e incontrovertibili mettano in pessima luce tutto il giornalismo di Repubblica.
Per carità, sul suo ilPost racconta l'omicidio Calabresi in maniera "originale" - e in altri contesti confonde mele e pere; ma quando leggo alcune rubriche del suo giornale so che ho di fronte due elementi nodali: verifica a monte e capacità di mettersi in discussione.
Voglio dire che dopo questo tipo di errori, come lettore, ma anche se fossi un detrattore, mi fa gioco facile rivedere da una prospettiva negativa l'intera messe di informazioni che il quotidiano mi ha proposto negli ultimi tot mesi. Viene spontaneo, no?
Del resto, la Storia lo insegna: ci si ricorda solo delle ultime cose che hai fatto, soprattutto di quelle negative. E questo inesorabile declino verso la banalità e l'approssimazione, Repubblica non lo merita; ma non lo meritiamo soprattutto noi lettori.

18 aprile 2015

il mio Mario Pirani

Ci conoscemmo discutendo animosamente tramite un lungo scambio epistolare… già, vent'anni fa non esistevano le mail. Gianna Nannini aveva appena dimostrato platealmente contro Mururoa e Pirani la criticò aspramente. Io non ero certo favorevole all’esagerazione della cantante, ma neanche alle sperimentazioni nucleari dei francesi.
Dopo un paio di lettere, venne fuori che avevamo un comune amico appena scomparso, Tom Carini (il compagno di Elena Croce), e la circostanza trasformò quella discussione scritta in una chiacchierata telefonica, come fossimo vecchi amici (io, che potevo essere tranquillamente suo figlio).
Era un periodo in cui in Rai me ne capitavano di cotte e di crude: non “appartenendo” a nulla, ero obbligato a mendicare contratti e meritocrazia con risultati decisamente offensivi. Quando venne a sapere quali mancanze avevo subito da una comune conoscenza, Pirani prese le mie difese! Capito? Un uomo di tale portata, difendeva un ragazzo qualsiasi!
Credo sia stato uno dei pochi ad aver letto la mia tesi di laurea, oltretutto telefonandomi per ringraziarmi perché l’avevo citato tra le dediche.
Lo so, sono cose formali, facili da fare… ma, proprio perché “facili” da fare, nessuno dalle posizioni come la sua le ha mai fatte.
Grazie a lui ho conosciuto Enzo Siciliano, il quale dopo avermi conosciuto mi chiese il raro privilegio di scrivere nell’Enciclopedia del Cinema della Treccani! Una medaglia nel mio curriculum.
Colpito dalla qualità della mia voce, Pirani spedì il mio curriculum a Santalmassi (senza che gli avessi chiesto nulla), allora direttore delle tre reti radiofoniche della Rai. La cosa andò male solo perché quella comune amica aveva da imporre figli di amici più potenti.
Quando dovetti entrare forzatamente in causa con la Rai, fu l’unico che cercò di farmi entrare a Repubblica, tanto da farmi avere addirittura un colloquio con una dirigente della nascente area multimediale.
I primi tempi in cui ci frequentammo, una volta mi chiamò per invitarmi a colazione. Io, nella mia imbarazzata ingenuità, presi alla lettera l’invito e gli chiesi se preferiva i cornetti o le ciambelle… lui sorrise e mi disse: “preferisco che venga a mezzogiorno”.
Ecco, non posso dire di aver perso un “amico” perché è un termine sicuramente impegnativo, ricco di liturgie e significati profondi. Però sono veramente addolorato per la sua morte.
Non ci siamo mai dati del "tu", neanche so perché. Però, adesso che non ho la soggezione di avere davanti il suo sapido sguardo, posso permettermi di dire: ciao Mario, Arukh atah Adonai Eloheinu melekh ha'olam, dayan ha-emet.

14 novembre 2014

come sembrare razzisti senza esserlo

Oggi su Repubblica è apparsa questa mia lettera


Peccato solo che l'originale fosse leggermente più sofisticato
Caro Augias,
non voglio scomodare situazioni eclatanti e "spettacolari" come gli scontri nelle periferie romane, ma vorrei parlare di momenti di quotidiana sopravvivenza: le biglietterie automatiche della Stazione Termini e delle fermate della metro più turistiche sono presidiate da minacciosi gruppi di zingari che pretendono l'obolo da parte dell'utenza.
Chiunque voglia acquistare un biglietto, viene circondato, spesso minacciato, comunque costretto a pagare quello che tranquillamente possiamo chiamare "pizzo".
Il Comune non fa nulla, le Forze dell'Ordine agiscono quel poco che possono, e intanto la gramigna attecchisce.
Possiamo stare le ore a discettare sul fatto che non sono "zingari e quindi delinquenti" ma "delinquenti e basta", oppure che il disagio delle loro condizioni quotidiane li porta ad agire così.
Il fatto è che tutto questo accade, così come accade che la stessa comunità di zingari rovista nei contenitori dei rifiuti, spargendo ogni possibile schifezza per le strade già provate dall'incuria dei romani e dall'assenza dell'AMA.
Io e Lei sapremmo come cavarcela con le giuste parole di circostanza. Però la gente, il popolo di cui ci si ricorda solo ali limitare delle elezioni, vede solo i fatti.
ritaglio di Repubblica rubato al buon Pazzo per Repubblica

24 giugno 2013

ma Saviano e Messi si sono mai incontrati?

Il 15 febbraio del 2009, sulla pagina centrale di Repubblica uscì questo lungo "reportage-racconto" di Roberto Saviano su Lionel Messi, così bello e credibile che lo rilanciai anche io un anno dopo dalle pagine di questo blog.
Venerdì scorso, su Sette (il Magazine del Corriere della sera), esce una lunga intervista di Antonio Stella, sempre a Lionel Messi
Come potete notare nel ritaglio qui a destra, il campione argentino non ricorda di aver mai incontrato l'autore di Gomorra, e oltretutto ridimensiona alcuni suoi passaggi evidentemente esagerati. 
Prevengo qualche vostra obiezione: un giocatore di indole così semplice viene sempre consigliato, e difficilmente scorderebbe di aver incontrato una figura nota; in più, Saviano è sempre sotto scorta, e chiunque ricorderebbe un'intervista con agenti in borghese come contorno...
Ho chiesto conto alla Redazione di Repubblica il perché di questa incongruenza, e non ho ricevuto replica alcuna.
Ho twittato l'incongruenza al diretto interessanto, ma non è accaduto niente.
Ergo, il dubbio resta.
E purtroppo non è la prima volta che Saviano mi regala più dubbi che certezze.
Ricordo la sua acritica presa di posizione in difesa di Riotta (se solo si fosse informato...).
Ricordo il suo dissimulato fanghetto (mai dimostrato limpidamente) su Benedetto Croce, contro cui si scagliò civilmente Marta Herling, che come replica rimediò una causa per diffamazione (e una richiesta danni di quasi 4 milioni di euro!!!).
Ricordo che recentemente è riuscito a perdere una causa contro un giornalista di Liberazione: sembra che nel suo libro La bellezza e l'inferno, Saviano abbia raccontato di aver ricevuto telefonate di sostegno da Felicia Impastato, mentre Paolo Persichetti ne avrebbe dimostrato l'inconsistenza (a conferma di questo, ecco un interessante intervento di Umberto Santino).
Quando racconto queste cose, in molti replicano "scrivi così perché ce l'hai con Saviano". 
No! 
In realtà ce l'ho con il vostro approccio acritico, referenziale, timoroso e misticologico (parola di mia invenzione), che quindi rende irritanti personaggi comunque volubili come Saviano.
Commettiamo tutti degli sbagli. Ogni tanto prendiamo anche delle scorciatoie. Se lo fa un personaggio noto e importante, non c'è niente di male a farglielo notare, e non ci sarebbe niente di male poi se lui ammettesse i propri limiti.
L'irritazione c'è e persiste, invece, quando queste cose non vengono dette o addirittura vengono negate grossolanamente.
Ma poi: se una siffatta nebbia avesse avvolto un qualsiasi giornalista/intellettuale di centrodestra?
 

14 maggio 2013

un clochard salva un forse-suicida

Sono le 14:30 circa di domenica 12 maggio.
Dopo una breve pedalata a ridosso di mia moglie che fa footing, ci mettiamo ai piedi della discesa del Ponte Sublicio per prendere un po' di sole. 
L'acqua del fiume non puzza, nessun malintenzionato all'orizzonte, più giù un gruppo di evanescenti stranierine parlotta in ugrofinnicotardoneozelandese.
Dall'altra parte della riva, la solita teoria di extracomunitari urloni e caciaroni che da sempre lanciano sincopaticamente grida provocatorie alle donne che corrono da questa parte della riva. Ci siamo abituati; eppoi sono innocui. Scendono da qui e bivaccano sempre con birra e tristezza addosso.
Ad un certo punto sentiamo gridare un "oh!", poi un altro, poi uno più forte, finché giriamo lo sguardo. Mentre un uomo sale le scale di corsa in direzione del semaforo del ponte, un altro da sotto continua a urlare... ecco perché: c'è un uomo in acqua!
Non, non è morto, perché si muove; non sembra spaventato, perché non si agita. Più che altro, sembra che se la stia spassando, o che comunque abbia bevuto così tanto da non aver capito esattamente cosa gli stia succedendo. Intanto, lectospirosi ed epatite hanno sicuramente trovato un nuovo cliente.
Mia moglie chiama il 113, con voce calma e impostata. Dopodiché io inforco la bici e cerco di "scortare" con lo sguardo il tipo che galleggia. Dal Gazometro arriva una scarcagnatissima lancia dei pompieri con sopra due uomini muscolosi così. Urlo loro dove sta il tipo. Girano la prua e con un solo-braccio-che-sembra-un-suv uno di loro solleva il quasi affogante, mentre l'altro gli dice "li mortacci tua, che c'hai fatto spaventa'". 
Evidentemente, il tipo o sta bene o fa veramente schifo, perché non gli praticano la respirazione bocca-a-bocca (o forse perché se lo sarebbero mangiato inavvertitamente, grossi com'erano). Arriva mia moglie seguita da una delle turiste vanesie. Tutto ok, tutti a casa: abbiamo qualcosa di cui parlare, dài.
Macché!
Dopo che la cosa è abbondantemente finita, preceduta da un'asfittica sirena, dalla discesa del Ponte Sublicio scende a 3.000 km/h un'auto del 113, inchioda su un francobollo, dà una bella botta sulla ciclabile, scendono due poliziotti che aprendo la porta riversano sulla strada una paletta e chissà cos'altro. 
Non contento di tanto fracasso, uno dei due si dà pure una bella grattata ai coglioni, giusto per darsi un tono.
"Dove sta? Dove sta?"
"Ma guardi che l'hanno già preso i pompieri della Scuola vicino al Gazometro"
"Dove sta? Dove sta?"
"Se lo sono portati già via!"
"Dove sta? Dove sta?"
"Stava laggìu..."
"Dove sta? Dove sta?"
"Lungo la riva, ma dall'altra part...", non riesco a finire la frase: il poliziotto che non si è grattato apre il cofano e tira fuori uno spago e lo lancia al collega che si era grattato; gli urla un "così lo prendiamo", e poi inizia una monovra impossibile pur di far passare l'auto tra il bordo della riva e la parete dell'argine.
Mia moglie ed io iniziamo a ridere come due cretini e ci allontaniamo.
Una volta saliti sul Ponte Sublicio, altro spettacolo: poche persone affacciate (mica "centinaia"), una macchina della Municipale in pizzo in pizzo, un furgone dei Pompieri all'altezza di casa Letta, una Guardia Medica che sireneggia a palla dalla strada dei Cavalieri di Malta, un auto del 112 e una del 113 sfrecciano verso il Gazometro.
Coordinamento zero, vero?
Poi Repubblica l'ha raccontata a modo suo - sbagliando tutto, ovviamente
Ma che importa? Il tipo è salvo grazie a un clochard puzzolente e misero: chissà se lo saprà mai.   

23 dicembre 2012

La regola del silenzio - The company you keep

Non è il migliore Redford, e non è neanche una delle migliori storie che abbia mai visto. Oltretutto, LeBeouf si dimostra il mediocre attore che è, automa contro le macchine, mediocre con gli umani. In più, c'è un finalino di consolazione poco plausibile, perlomeno oltre i confini dell'America più rigorosa. Sicuramente in Italia ci sarebbe stata la vittoria dei codardi, come del resto già ci dimostra la nostra provincialissima realtà.
Mi scuso in anticipo se con questo post mi rivolgo più a chi ha visto il film, piuttosto che sollecitarne la visione: la storia, infatti, scorre troppo a tratti, e gioca molto su conoscenze della storia americana che in molti potremmo non sapere. 
Tenendo conto poi che il linguaggio e lo stile possono non "arrivare" del tutto: gli americani vedono gli Usa con una sacralità che noi ci scordiamo... in effetti, è questo il primo punto all'ordine del giorno: ma noi, un film così lo faremmo mai?
Ne dubito fortemente, per numerosi motivi. Il primo, perché la spregevole biografia dei nostri (ex?) terroristi sta lì a dimostrare che mai si sono presi le responsabilità per i gesti che hanno commesso, i morti che hanno causato o invogliato a causare. 
Il secondo. Mentre negli Usa del periodo vietnamita c'era una cesura netta tra chi diceva no politicamente alla guerra e chi le diceva no violentemente, qui da noi terrorismo e nomenklatura intellettuale (e parlamentare) si conoscevano, si piacevano, si sono frequentati e si sono assolti in più circostanze.
Terzo motivo, corollario del secondo. Paradigmatico (e semplicistico, lo so), l'esempio di questi giorni: due parenti stretti delle vittime del terrorismo, messi lì a rappresentare la società civile (Tobagi e Ambrosoli, consapevoli/colpevoli della propria strumentalizzazione); gli (ex?) terroristi e figliame vario a occupare, invece, le più potenti leve della cultura e dell'informazione. Unica eccezione, Calabresi: ma è un raro caso di dignità storica e intellettuale, cui in molti dovrebbero chiedere scusa, ma non lo faranno mai.
Quarto motivo: da che mondo e mondo, il cinema italiano "impegnato" ha (quasi) sempre rappresentato lo Stato come nemico, e quindi anche come causa del terrorismo. Non è mai passato per l'anticamera del cervello di certi cialtroni che la lotta armata non ha giustificazioni: se è giusta, non è causata dallo Stato; e se è sbagliata, non è vittima dello Stato. Lo Stato è un valore da difendere, non da personalizzare.
Mi fa da supporto la conclusione del monologo di Susan Sarandon: "Abbiamo sbagliato, ma avevamo ragione". Il tempo dei verbi è illuminante. 
Quinto motivo. Anche affrontando un evento delittuoso accaduto 30 anni prima la storia raccontata, questo film dice la sua contro il terrorismo, condannandolo senza alcuna giustificazione. 
Noi oggi facciamo esattamente il contrario: il recente approccio di Benigni contro la diarrea repubblichina, è una variazione sul tema. Cioè: i vivi sbagliano, ma i morti sono uguali. E allora il cinema italico parte dal presupposto contorto che sono  i morti causati da terroristi che vanno perdonati (!). Cioè, non sono i terroristi da biasimare, ma le loro vittime.
Penserete che sono fuori di testa, vero? Eppure non c'è un film italiano che abbia avuto la decente decenza di condannare il terrorismo senza pietà. 
Ancora una volta, purtroppo in un campo più nostro che loro, gli americani ci danno una lezione di dignità, con un personaggio nodale, quello interpretato da un'incartapecorita Julie Christie: era sempre in fuga, consapevole delle proprie colpe; nel momento in cui la storia della Storia le chiede una prova di coerenza e di coraggio, anziché scappare verso l'anarchia, gira il timone verso la propria dignità e paga per le sue colpe.

11 giugno 2012

Saviano e la perdita dell'innocenza; la sua

La figura costruita intorno a Saviano mi ricorda un po' quella forzata delle mamme romane masticose-a-bocca-aperta-di-chewing-gum che attraversano la strada fuori dalle strisce pedonali, ponendo però prima la carrozzina col figlio innocente dentro. Il mesaggio è chiaro: faccio leva su un principio sacrosanto, per fare quello che voglio io.
Ho sempre pensato che Saviano fosse così innocente ed immaturo (molto immaturo) da non aver capito quanta gente se ne sia approfittata e se ne stia approfittando di lui, Fazio in testa. E se ne approfitta ponendo come ricatto antidibattito il fatto doloroso che Saviano vive sotto costante minaccia. Non gli puoi dire nulla contro, perché lui è un eroe di default. E contro siffatti eroi non c'è storia o polemica che tenga.
Devo ammettere, però, che non sopportando io gli ipocriti, ovviamente non ho mai sopportato la sua di ipocrisia (tipicamente sterotiponapoletana, va aggiunto), che lo vedeva con quella vocina studiato-tremante giustificare artificiosamente il fatto oggettivo ed inequivocabile che è un dipendente di Berlusconi (tramite Mondadori ed Endemol); il che cozza col suo petulante fare la morale al mondo tutto per ogni microscopica perdità di verginità altrui. Un'ipocrisia irritante che però in Italia non è mai esplosa come doveva, anche perché buona parte degli antiberlusconiani arrivati ragiona come lui.
Certo è che non si può parlare di Saviano se non come fanno tutti. È vietato uscire dal coro. Vietatissimo. Attenzione: io non sono Sciascia (che poi...), che condannò e isolò moralmente Borsellino e Falcone prima che la Mafia li facesse a pezzi (e prim'ancora che Sinistra e Destra li isolassero entrambi). Né tantomeno ho ascendenze mafiose o "dimenticanze" mafiose
Però ho trovato arrogante la sua causa contro Marta Herling (4 milioni e rotti di danni, si dice). Come forse ricorderete, Saviano gettò una fanghettina niente male contro Benedetto Croce (in maniera subdolicchia), senza dimostrare e mostrare le esatte e credibili fonti che certificavano un simile gesto (ribadito dalla recente edizione Feltrinelli). Giustamente la di lui nipote s'è risentita e gliene ha dette quattro, in maniera civile e risoluta, come farebbe chiunque. E allora, Saviano, per colpire quel Corriere del Mezzogiorno che lo bastona da anni - e che ha ospitato la prolusione della Herling, ha fatto un tutt'uno e li ha querelati entrambi.
Del resto non è la prima volta che Saviano sbaglia contesto (guardate qui cos'ha scritto su di lui Giornalettismo militante): solo che questa volta ha colpito la libertà di critica; niente male, eh?
Se Saviano fosse quello che abbiamo ammirato agli inizi, magari avrebbe prima verificato le sue fonti, poi forse avrebbe raccontato la cosa in maniera meno subdola, poi forse avrebbe accettato le rimostranze documentate della Herling, poi forse avrebbe ritirato le sue battute su Croce, poi forse non avrebbe mai fatto causa a chicchessia. 
Se Saviano, cioè, fosse quell'ideale di scrittore che si autocelebra continuamente (imbarazzante quest'intervista su l'espresso, che ovviamente non cita il fattaccio), nulla di quant'è accaduto sarebbe accaduto.
E, invece, Saviano, da bimbo della carrozzina è diventato la mamma che spinge la culla del suo mito intoccabile. 
E allora, scusate, la sua innocenza è ben che andata a farsi benedire. Magari, alla fine, farà causa anche a me... ma se nessuno dei fighetti si è levato in difesa della Herling (o meglio della libertà di critica), figuriamoci se lo farebbe per me. Preparate le arance, insomma.

07 giugno 2012

#Bradbury sbagliò solo arma: tablet invece del fuoco

Parte della mia biblioteca è ammucchiata a casa di mia madre. Giorni fa, mia moglie mi ha detto che voleva dare un'occhiata a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.
Ci ho messo dieci minuti per ritrovare la mia copia, accastonata com'era tra decine di volumi stropicciati, da leggere, da rileggere, da odiare, che non leggerò mai ma che posso dire di avere e fortissimamente volli... una libreria è sempre un viaggio emotivo, bello o brutto che sia.
Ho trovato la mia copia e l'ho data religiosamente a mia moglie. Curioso che non è quella che lessi da giovane, un Garzanti verde-vomito-di-cinghiale, con quello sfondo arancione-da-aula-scolastica-di-periferia, e quella scritta con carattere nazionalpopolare ma autorevole. La mia copia, invece, è figlia della biblioteca di Repubblica che a volte ha banalizzato autori eccellenti ed altre volte ha enfatizzato emeriti cretini. Però, e appunto, la comprai perché anche se avevo già letto il lavoro di Gadda, dovevo possedere le sue righe.
Mia moglie i libri li mangiucchia, ci fa gli angolini come segnalibro, strappicchia le sovracoperte, li ammucchia senz'ordine alfabetico, ci lascia tracce di crema solare e di olio; trasmette a loro quella deliziosa impudenza e impertienza che me la fa comunque adorare. Glielo faccio fare anche ai miei libri. Gli unici intoccabili, però (e lo sa), sono quelli di foto o di fumetti, che io tratto veramente coi guanti (di cotone: stanno nel cassetto dei calzini).
Bradbury queste cose le sapeva. 
Tutte. 
E forse noi lettori del suo libro (o spettatori del bellissimo film di Truffaut... fateci caso: i titoli di testa sono detti e non scritti) ci sentiamo colpiti dalla trama più per quello che rappresentano i libri che per i libri stessi. Vedere bruciato un libro, significa perdere una parte densa e consistente della nostra anima.
Io i miei 600 libri persi o distrutti durante un trasloco li ricordo tutti, uno per uno, titolo su titolo. Ancora oggi li rivedo con la mente, li accarezzo con l'immaginazione.
Ebbene, nel mondo dei tablet tutto quello che ho scritto non avrebbe senso. Anzi: non avrei mai scritto questo post, neanche una riga.
Nel mondo dei tablet, l'unico lampo di memoria e suggestione che mi avvolgerebbe per pochissimi secondi sarebbe una strana nostalgia del non vissuto, scrutando magari macchie di crema solare e di olio sullo schermo capacitivo.
Ma ancora non ho comprato un tablet; per un bel po' non lo farò: altrimenti, come farà mia moglie a fargli gli angolini come segnalibro? 

28 maggio 2012

questo papa così solo

Come ateo non militante (anche perché la “militanza” sarebbe una contraddizione in termini), provo una profonda pena per questo papa, perlomeno per la figura che sta uscendo dalle interviste e dalle inchieste portate avanti da Repubblica.
Non ho una grande simpatia per questo papa, né tantomeno per il precedente (di cui brutalmente si potrebbe dire che Ratzinger fosse il suo braccio ortodosso, quasi “armato” direi): però vedere che in Vaticano regnano quelle stesse piccinerie umane, quella brama di potere così prepotente, questa lontananza dalla freschezza del Vangelo e della figura di Gesù, mi fa sorridere amaramente. Mi passa la voglia di dire “l’avevo detto io”.
A me piacerebbe “sfidare” la Chiesa Cattolica in ambiti più consoni: della filosofia, della morale, dell’ingerenza continua nelle nostre umane quotidianità.
Non è divertente né rassicurante assistere, invece, a queste contraddizioni terrene e poco edificanti: ci restituisce un’idea di Chiesa in crisi di identità da più tempo di quanto non appaia, di mancanza di forza e di strategia, di disattenzione totale per il ruolo di guida spirituale che inevitabilmente ha o dovrebbe avere.
Non vorrei incorrere nell’errore sciocco e banale che in fondo è questa la vera Chiesa che un ateo si aspetta e che biasima, che brandisce una croce che non le appartiene e che strumentalizza da sin troppo tempo con i risultati che vediamo e subiamo.
Però è uno sbraco così imbarazzante, che alla fine mi viene voglia di pregare per questo uomo così solo e ridicolizzato. Non so come si prega, è ovvio, né tantomeno ne riconosco l’utilità interiore: però, e alla fine, mi sembra l’unica soluzione praticabile.
Davvero ci siamo ridotti a questo?

20 gennaio 2012

Sofri libero, l'Italia in galera

L’altro giorno un collega mi ha fermato chiedendomi: “Come l’hai presa la liberazione di Sofri?”. E io, serafico quanto spontaneo: “Ah, perché è stato in galera?”.
Se la battuta fa storcere il naso a qualcuno, è perché forse non ci si rende conto della dimensione storica che si cela dietro un personaggio così irritante - per forma e sostanza - e tutt’altro che esemplare per le nuove generazioni.
In Italia, insomma, non manca la Memoria: la "mancanza di Memoria", infatti, significa che comunque c'è qualcosa da ricordare, e che però non si ha - o non si vuole avere - la coscienza per farlo. In Italia, invece e infatti, non esiste neanche la Storia - la madre della Memoria: è un'attitudine più grave e dolorosa. La storia con la "s" minuscola è solo merce di scambio e di opportunismi, non scientifica e costante verifica dell'esistito. E il panorama multiforme che attornia il "fenomeno Sofri" ne è un esempio piùcchelampante.
Che Sofri, cioè, sia oggettivamente (al di là, quindi, della sentenza) il mandante dell’omicidio di un poliziotto, di un servitore dello Stato, che quindi sia (stato) anche un delinquente che ha reso vedova una donna e orfani dei bambini... l’Italia neanche lo immagina o sa.
Che i compagni di salotto di Sofri abbiamo preventivamente condannato pubblicamente questo poliziotto (quando ancora era in vita), con una raccolta di 757 firme di quegli stessi intellettuali che - mai pentiti, però - oggi se la tirano contro altre gogne mediatiche (ben più innocue) e che di fatto hanno bloccato la nostra crescita culturale... l'Italia neanche lo immagina o sa.
Figuriamoci se l'Italia immagina tutto il resto, i danni maggiori perché impalpabili che il pensiero (e il pensare) di Sofri ha causato alla causa della sinistra, alla cultura italiana, persino al futuro del web (per interposto figlio, s'intende).
Il messaggio che arriva da una così deprimente figura, è che comunque se in passato hai azzeccato la stanza giusta e ti sei mosso bene, puoi essere stato quello che vuoi, aver fatto il peggio del peggio, ma poi avrai il futuro assicurato: potrai scrivere su numerosi mass media (Panorama, Il Foglio e Repubblica), vivere la detenzione come fosse un torto subito di cui farsi scudo (anziché una sacrosanta e scomoda sentenza che altri sconosciuti scontano in bel altro modo), dimenticare di aver annientato culturalmente perlomeno una generazione, godere della protezione dei tuoi simili (in maniera a volte arrogante: cfr le note dichiarazione di Erri De Luca), sopravvivere alla tua devastante devastazione culturale, perché oltre alla tua persona ci sono comunque solo le oggettive convenienze delle timorose conventicole che ti garantiscono un’innocenza a priori.
Quello che insomma non sa la gente, soprattutto quella che acriticamente lo esalta, è che Sofri e il suo codazzo sono il sintomo di una malattia italiana, incapace di vivere nella meritocrazia, nella giusta parsimonia culturale, nelle belle cose che dovrebbero sussistere nel paese. L'arte e l'intelletto sono ormai marchetta massmediatica di pura convenienza: nuove facce e nuovi volti mai avranno spazio e/o considerazione, a meno che non rientrino in parametri ben delineati (come anche ben dissimulati).
Sopravvivere col ricatto dell’“io so” (non certo di pasoliniana memoria, perché Pasolini a Sofri lo disprezzava, si sa) e goderne dei benefici, com'è accaduto a Sofri, non è glorioso, ma solo un modo sotterfugioso di allontanarsi dalle proprie responsabilità.
Sofri, insomma, rappresenta l’italiano medio, quello da tinello, quello che prima sentenzia e poi fa finta di argomentare, che pretende che il mondo sia a sua immagine e somiglianza (come del resto scrisse il figlietto: prima che il mondo diventasse a mia immagine ed accoglienza), che rifugge ogni tentativo di verifica e di ammissione - non dico delle proprie colpe ma di una certa possibilità di errore; un margine che fa parte invece degli uomini onorevoli.
Sofri è il tipico personaggio che una volta trovata/inventata la giusta e preventivamente ineluttabile possibilità, ci si tuffa dentro, ma sempre con le dovute accortezze, sempre con una possibilità di fuga, di poter alzare le mani e dichiararsi innocente.
Sofri, quindi, rappresenta l’Italia che ho sempre combattuto e combatterò: l’Italia che non ha regole se non le proprie convenienze, che non combatte per gli ideali ma approfitta delle altrui debolezze, che non vive di gioie ma di algidi opportunismi.
In realtà, ed è questa l’unica verità, non solo Sofri non è stato mai in galera, non solo non è stato condannato: ma quando stava dietro le sbarre, eravamo noi a essere imprigionati; adesso che è libero, però, basta!

22 settembre 2010

fare sesso per un esame universitario

Il 19 settembre scorso, su Repubblica appare questa lettera che ha dell'incredibile (qui per l'originale): una lettrice confessa di aver fatto sesso con un professore per passare un esame universitario... anche se poi mal gliene incolse, perché dovette sostenerlo con un assistente.
Vale però il doppio principio che da una parte la tipa ha ceduto a un ricatto senza alcuna forza coercitiva che la costringesse a farlo - quindi ha scelto di farlo; dall'altra c'è in giro un prof che usa la sua posizione per proporre schifezze simili, e sarebbe ora che qualcuno lo denunciasse.
Sono certo, certissimo, che le lettrici e i lettori di questo blog mai si abbasserebbero a mezzucci simili (da ambedue le prospettive, ovviamente), e che comunque il vostro sdegno non è dettato da sentimenti moralisticheggianti, quanto invece da una posizione che ho cercato di riassumere come segue, e che sinteticamente - molto sinteticamente - Augias ha riportato stamattina.
Su Repubblica trovate il mio brevissimo passaggio, qui ve lo regalo per intero.
A dispetto dei diffusi canoni moralisti ipocriti in salsa cattolica, la lettrice che ha fatto sesso col prof per superare un esame universitario non è una "prostituta", ma una ladra.
Una ladra perché ha scavalcato i colleghi studenti con l'astuzia anziché con il doveroso studio; una ladra perché ha ottenuto un conseguente lavoro anche grazie la macchia di questo furto, magari togliendo spazio a chi quel posto lo avrebbe ottenuto rispettando però le regole.
Sicuramente la sua coscienza (sempre che ne abbia una) le ha suggerito che pur vantandosi in maniera così patetica era meglio non firmarsi. Non si preoccupi la tipa: questo è un paese in cui i ladri sono ben che noti ed evidenti. La prossima volta che scriverà, osi firmarsi: sarà solo un'altra ladra nella lunga lista degli stranoti.
Alessandro Loppi

23 agosto 2010

l'ipocrisia di Vito Mancuso, solita salsa all'italiana

Caro Direttore,
Caro Augias,
Spettabile Redazione,


ho trovato perlomeno specioso, se non addirittura offensivo nei confronti dei lettori, l'intervento odierno di Vito Mancuso: anziché prendere una posizione netta, nitida e precisa riguardo il lavorare o no per la Mondadori berlusconiana, ha chiamato in una sorta di correità di massa altri prestigiosi intellettuali "non berlusconidi" che - appunto - con il loro intelletto sono il fiore all'occhiello di un'industaria culturale che di culturale non ha più niente, né tantomeno un vestito così sofisticato da meritare cotanti fiori.

Questo continuare a gigionare intorno a una decisione che andava presa da tempo è un modo furbo per cercare di risultare ai posteri perlomeno neutri nella scrivenda Storia dell'Italia prossima post berlusconiana (ma non post berlusconizzata) che si sta presentando all'orizzonte.

Non approfondisco più di tanto due fatti estremi che in parte mi riguardano, ma tengo però almeno a precisarli sommariamente: tutti si lavora per un principe - è pacifico e ovvio; e il dipendente mondadoriano certo non ha il privilegio del potersi sottrarre al padrone con la stessa facilità con cui può e dovrebbe un intellettuale che gli presta nome e doti; io nel mio piccolo ho detto il mio bel "no" chiaro e forte alla Mediolanum, perdendo di fatto l'opportunità di percepire il triplo di quanto guadagno adesso, ma guadagnandone in limpidezza e credibilità perlomeno ai miei occhi molto esigenti (che non è poco) o "intransingenti" (come ebbe a scrivermi una volta proprio lo stimato Ezio Mauro).

È facile, cioè, rigirare intorno all'argomento e trovare sempre una fuga comoda per non dirsi e sentirsi dire che da tempo gli intellettuali DOVEVANO abbandonare il Berlusconi editore, perché la situazione era facilmente compatibile (quasi comparabile) a quella sorta di giuramento obbligatorio cui furono sottoposti i professori universitari ai tempi del Fascismo. Lì era cosa palese, ma anche più difficile da combattere; qui era ed è impalpabile, ma le possibilità di sottrarsi a un simile equivoco c'erano, ed esprimersi attraverso un gesto così eclatante e eticamente doveroso avrebbe significato anticipare di molto tempo la crisi del modello berlusconiano che invece sta vacillando solo grazie a opportunistiche fronde interne.

Ma se volessimo restare nelle argomentazioni più spicciole, il romanesco che è in me esce con foga dallo stomaco e si chiede: ma questa Repubblica sempre così attenta e specifica nel cogliere in fallo la moralità altrui, che cosa sa dire ai suoi lettori quando metà dei suoi intellettuali lavora anche per la controparte? Non è forse un po' troppo facile fare le pulci agli altri e ignorare le proprie?

È un discorso che ho affrontato in parte anche con Michele Serra a proposito della Rai (dove peraltro lavoro), che prima ha accettato la tenzone e poi si è dileguato: siamo così pronti e forti nel denunciare la distruzione di una cultura assoluta per mano dei "berlusconidi", quando sotto sotto in realtà stiamo difendendo solo la nostra di cultura, e i componenti la nostra "cricca" di intellettuali - e di potenti che li proteggono - che, per restare nella mia esperienza diretta, di vittime ne hanno fatte in Rai tante quante il berlusconismo imperante.

Insomma, e concludo, la decisione di dire "no" al berlusconismo anche abbandonando la Mondadori (e i suoi simpatici corridoi così ben descritti dal Mancuso nostalgico) era cosa da prendere da tempo, quando ancora il mare era in tempesta. Adesso sa tanto di una solo verbale proclamazione di una fuga (sempre che anche gli altri facciano la stessa "scenetta") da una barca che non solo non affonderà ma che nonostante tutto sopravviverà proprio grazie alle leggi furbe del padrone.

Tutto questo dalle mie parti si chiama "ipocrisia".

Un caro saluto,
Alessandro Loppi

12 luglio 2010

il venerdì e mamma Rai

Carissimo Michele Serra,
due premesse.
La prima: sono di sinistra. Ma trovo odioso specificare questo tipo di cose perché un argomento dovrebbe avere valore indipendentemente da chi lo enuncia.
La seconda: appartengo alla rarissima categoria di persone entrate in Rai senza raccomandazioni, segnalazioni o mezzucci simili. Mi si aprì un varco, ci entrai a capofitto, feci le mia bella gavetta e adesso sono interno solo grazie a una causa di lavoro vinta già due volte (e che la Rai ha comunque mandato in Cassazione).
Sul Venerdì di questa settimana piangete la terrificante sequenza di conduttori/trici radiofonici (area "nostra") messi alla porta senza alcun civile avviso, senza alcuna ragionevole motivazione aziendale.
Perdonami: ma vi svegliate solo adesso?
Ma quando queste cose le faceva il centrosinistra, voi dove eravate?
Io ne ho visti di simpatici colpi di mano da parte dei "nostri", e non per forza solo ai danni dei "loro", pur di dare spazio ad altri componenti le "conventicole" di castellittiana memoria.
Ma se tutti i partiti e tutte le conventicole si togliessero dalla Rai, e qui dentro entrassero solo e veramente le persone che meritano? Come la vedi?
Nell'amaca del 21 maggio 2010 lamentavi il presunto silenzio di noi dipendenti di fronte al continuo affogare senza affondare di questa straordinaria e inestimabile azienda (che darebbe le piste a tutti, altroché).
Anche qui: scendi dal tuo maniero salottiero. I dipendenti si lamentano, eccome !, e non solo quelli noti (tipo Busi o Santoro); e sono i primi a non volere i partiti tra i piedi, a volere dirigenti competenti e liberi da lacci politici e lacciuoli conventicolari. Il miglior servizio che poteva fare il Venerdì era invece puntare a una moratoria assoluta e non svegliarsi perché il vento ha spazzato via la "roba" di sinistra.
Ciao,
--
Alessandro

13 gennaio 2010

fighetti all'opera

In questi giorni si parla di Craxi, tra una via da (NON) dovergli dedicare e letture più o meno storiche. Un "fenomeno" va analizzato per quello che suscita, per quelli che lo suscitano, per quelli che lo hanno suscitato, per quello che ha suscitato. E Craxi è un "fenomeno" molto complesso e complicato.
I tempi sono ancora prematuri per affrontare la sua figura in toto, ne sono convintissimo (anche se l'unico che ci ha capito qualcosa resterà sempre Giorgio Bocca), ma già Augias si era mosso con troppa prudenza, elegante ma fuori luogo; ora i soliti tre (due figli di papà e un bambino petulante) giocano a chi armeggia meglio con le pinze dell'occorrenza e della convenienza (argomenti zero, of course), insultando più o meno implicitamente chiunque non la pensi come loro (as usual). Meno male che il '77 è fuoco passato, altrimenti chissà come avrebbero difeso le loro idee...

16 dicembre 2009

ateismo è libertà

Mi sfugge come sia sfuggito il 10 dicembre scorso il lungo intervento di Vito Mancuso su Repubblica. Scritto a ridosso di un convegno internazionale promosso dal Progetto Culturale della Cei con il patrocinio del Comune di Roma, ripassa la lezione del difficile rapporto che la Chiesa ha con il progresso.
Tra le premesse della lunga prolusione, il compagno di libri di Augias scrive:
La sfida della postmodernità alla fede in Dio non è più l'ateismo materialista. Tale era l'impresa della modernità, caratterizzata dal porre l'assoluto nello stato-partito o nel positivismo scientista, ma questi ideali sono crollati e oggi gli uomini sono sempre più lontani dall'ateismo teoreticamente impegnato. Gli odierni alfieri dell'ateismo vogliono distruggere la religione proprio mentre si connota il presente come "rivincita di Dio", anzi la vogliono distruggere proprio perché ne percepiscono il ritorno, ma i loro stessi libri anti-religiosi, trattando a piene mani di religione, finiscono per alimentare la rivincita di Dio.
Non immaginavo si potessero scrivere tante sciocchezze in così poche righe, credetemi.
Andiamo per brevi punti:
  • confondere l'ateismo materialista tipico del sovietismo con le ragioni di chi non crede in dio, è un'operazione furba e maliziosa, che relega le antiche motivazioni degli atei solo dentro al ristretto fulcro della dittatura stalinista
  • confondere la modernità con l'afflato negativo del sovietismo materialista è un'altra scorrettezza dialettica e storica. Ateismo e stalinismo e modernità si saranno pure incontrati, ma ridurre tutti e tre nella stessa stanza, in spazi storici limitati e limitanti, è addirittura ipocrita
  • a latere: modernità e modernismo (brechtianamente parlando) sono due cose diverse. La confusione di Mancuso è sinonimo o di povertà di argomenti o di scorrettezza in nuce, voluta e ricercata (e quindi dialetticamente o giornalisticamente immorale, fate voi)
  • l'"ateismo teoricamente impegnato" NON è l'ateismo vero e proprio che il signor Mancuso butta in caciara alla grande. L'ateismo se è "impegnato" non può essere ateismo, perché l'ateo non si impegna ad imporre niente a nessuno, e vuole/pretende/ha-diritto che anche le religioni facciano lo stesso (cioè che non entrino nelle nostre case a giudicarci di continuo)
  • "Impegnarsi" significherebbe, insomma, il voler stabilire dei parametri di idoneità e priorità morale che l'ateo non può praticare: sconfesserebbe il suo non voler vivere sotto credenze (o non credenze) e di conseguenza il suo non volerle imporre
  • "Gli odierni alfieri dell'ateismo" NON vogliono "distruggere la religione", caro il nostro Mancuso. La religione è cosa nobile e rispettabile: il cattolicesimo, invece, è un'ipocrisia che di religioso ha ben poco, anzi (e di popoli ne ha distrutti, haivoglia)
  • e comunque l'ateo non vuole neanche "distruggere" il cattolicesimo. Riportiamo l'Italia ai tempi sociali di Federico II, e Mancuso vedrà come sia possibile una civile convivenza tra le varie religioni, e anche con atei, sufisti e agnostici. L'ateismo è una scelta privata come privata dovrebbe essere la scelta religiosa. Solo che i religiosi s'impongono al mondo; gli atei non fanno nient'altro che difendere i propri spazi (peraltro in ordine sparso e senza fare i furbetti con l'otto per mille dei cittadini)
  • questa religione cattolica non è certo la "rivincita di dio", anzi: la chiesa è in crisi, il Vaticano è in crisi. Non solo per questioni pedofile (che sarebbe facile tirare in ballo), ma per un'incongruenza visibilissima tra ciò che esiste e ciò che dovrebbe esistere: in mezzo c'è un papa troppo dotto per capire la quotidianità, troppo chiuso per saperla interpretare, troppo arrogante per capire che sarebbe ora di dare spazio alle diversità (non solo quelle omosessuali, s'intende)
  • e se Mancuso vuole vedere invece tra i soli credenti la presunta "rivincita di dio", sbaglia della grossa: politicamente, eticamente e geopoliticamente i paesi con il più alto tasso di credenti dichiarati, sono anche i più retrogadi scientificamente, socialmente e legislativamente... e poco attenti alla moralità (vere e necessarie, s'intende) dei propri governanti
  • gli atei vorrebbero "distruggere la rivincita di dio" proprio perché ne percepiscono il ritorno? E quando mai! L'ateo spera anche nella spiritualità e nella religione, perché l'ateismo è una forma di sperimentazione continua, di viaggiare infinito, di porsi continuamente dubbi, di approfondire ogni singolo atomo delle cose esistenti e di quelle che potranno esistere. Più religiosità c'è nel mondo, e più sarà possibile frequentare i cuori e le menti di chi non conosciamo; più invece i granitici monoteismi continueranno la loro strada verso l'arroganza e la protervia, e con più facilità la povertà spirituale spargerà il proprio sale tra le menti delle persone
  • i "libri anti-religiosi, trattando a piene mani di religione, finiscono per alimentare la rivincita di dio"?!? Vorrei scomodare Bombolo, se premettete (tanto è la profondità dell'argomentare di Mancuso): se mi documento me meni, se non mi documento mi meni; allora menami e la facciamo finita. La prima sciocchezza che mi dicono le persone quando scoprono che sono ateo è "prima devi leggere la Bibbia; poi dopo puoi dire di essere ateo". Al che ci si chiede se loro l'abbiano già fatto... In realtà a me sembra che i libri usciti in questi anni non abbiamo mai attaccato la religione ma gli abusi e l'arroganza del Vaticano (c'è un libretto sui rapporti tra Mafia e chiesa, tra Nazismo e chiesa, tra speculazioni finanziarie (e non solo) e chiesa, tra Berlusconi e chiesa). La domanda è: dov'è l'"attacco" alla religione? Dov'è la "rivincita di dio"? Eppoi: quantunque e qualora fossero veri i deliri di Mancuso, se dio è forte, se una religione è forte, se i suoi credenti sono forti, perché scomodarsi a denunciare un attacco che non potrebbe sortire effetto alcuno? 
  • al di là di queste considerazioni, Mancuso crede che parlare di qualcosa significhi attribuirle una "rivincita"? E allora gli ebrei che parlano della Shoah fanno "rivincere" Hitler? Ma che razza di argomentazioni di partenza usa, signor Mancuso?
Il resto del testo lo trovate qui. Vivaddio (è il caso di dirlo) ci sono meno fesserie di queste di partenza. Ma se questa è la profondità delle persone che devono parlare di fede e ateismo, siamo veramente messi male. Certo, c'è il citato equivoco che per farlo bisogna esserne competenti. Due allora sono le considerazioni: Mancuso non conosce l'"altra sponda"; l'"altra sponda" sa perfettamente che la stretta competenza, il teologismo bibliotecario, la polverosità della dottrina, non hanno lo stesso sapore delle strade e delle genti.
A volte le istruzioni pr l'uso della spiritualità sono così strumentalmente complesse e complicate, che viene voglia di ridere in chiesa durante la funzione.
Ancora una volta Repubblica ha dato fiato a chi poteva dire la sua: avessi scritto io certe cose, o voi, Ezio Mauro ci avrebbe sbattuto la porta in faccia.
E se dio esistesse, in questo preciso istante farebbe saltare la corrente per qualche minuto a casa di Vito Mancuso. Così s'impara.

28 maggio 2009

la mia lettera su Repubblica (la sporcizia di Roma)

Oggi nella rubrica dei commenti di Repubblica appare un'altra mia contumelia sulla sporcizia di Roma, cui Augias dà una risposta comunque interessante.

Intanto vi propongo la mia lettera (nella sua versione integrale); appena il sito rende disponibile la risposta di Augias, aggiornerò questo post (citando la fonte, come uso fare sempre):

Caro Augias,
a me piacerebbe - mi creda: con affetto - che Repubblica ammettesse di essere stata un po’ di parte nei confronti della sporcizia romana. Ho girato TUTTE le principali capitali europee (anche quelle dell’est) e mai ho riscontrato lo schifo che viviamo noi romani da almeno vent’anni. I romani sono zozzoni, senza tanti giochi di parole. Però le responsabilità morali e istituzionali sono anche di Rutelli e Veltroni, ammettiamolo una buona volta!
È inutile tirar fuori la complicata gestione di un’area urbana enorme o un indotto quotidiano di 600.000 pendolari perché Berlino e Parigi vivono problemi analoghi e certe schifezze lì non accadono. Non parliamo di indebitamento che limiterebbe certi rimedi, perché sempre Berlino come anche l’”anarchica” Barcellona lo sono, ma hanno un rigore e una freschezza imbarazzanti.
Non c’è scusa che tenga, ecchediamine.
Il discorso semmai va rivolto alle costanti reazioni ufficiali che si registrano ogni volta che qualcuno propone(va) un rimedio. Scritte sui muri e sui monumenti? Veltroni propose aree di sfogo (qui sì, lì no… come se un ragazzino sappia fare distinzioni); un giornalista dell’Unità scrisse “ma che sporchino, che poi ripuliamo”! Non si è credibili così!
Moto sui marciapiedi? De Carlo propose di toglierle seduta stante, ma poi qualcuno gli disse che avremmo perso voti! Come sarebbe a dire: se un politico propone cose simili, poi non viene votato?!
Deiezioni canine? Qui siamo al paradosso: Veltroni aprì aree per cani… tra cui tutto il Circo Massimo! Un monumento adibito a canile?! Poi sparò l’idea delle kamoto. Poi multe rigorose. Tutte favole mai concretizzate.
Schiamazzi notturni. Anziché scoraggiarli RutelVeltroni perpetuarono un festival cinematografico estivo a ridosso delle mura di un ospedale! Che razza di esempio è questo?
Gli invalidi vengono derubati dei posti e della dignità. E come risposero i due RutelVeltroni? Con quattro-scivoli-quattro così in pendenza che neanche Armstrong riuscirebbe a risalirli!
Queste cose io le ho scoperte vivendole, e non perché Repubblica le abbia documentate. Solo ora si fanno corpose inchieste sulle buche. Solo ora si parla concitatamente di queste cose. Perché c’è Alemanno il fantasmone? Quale ipocrisia.
Vogliamo Roma all’altezza di TUTTE le capitali europee? Bene, iniziamo con l’essere credibili politicamente e giornalisticamente.
Sempre con affetto e stima,
Alessandro L.

update

ROMA PULITA RESTERÀ UN MIRAGGIO

Caro Augias, ho girato molte capitali europee (anche all' est) e mai ho riscontrato lo schifo che viviamo noi romani da anni. I romani sono zozzoni (gergalismo), è vero. Però le responsabilità morali e istituzionali sono anche di Rutelli e Veltroni, ammettiamolo! E inutile tirar fuori la complicata gestione di un' area urbana enorme o i 600 mila pendolari al giorno perché Berlino e Parigi vivono problemi analoghi e certe schifezze lì non accadono. Non parliamo di debiti che limiterebbero i mezzi, perché sempre Berlino come anche "l' anarchica" Barcellona li hanno, ma hanno un rigore e una freschezza imbarazzanti. Il discorso semmai va rivolto alle reazioni ufficiali che si registrano ogni volta che qualcuno propone un rimedio. Scritte sui muri e sui monumenti? Veltroni propose aree di sfogo (qui sì, lì no. Come se un ragazzino potesse distinguere); un giornalista dell' Unità scrisse «ma che sporchino, che poi ripuliamo»! Non si è credibili così! Deiezioni canine? Qui siamo al paradosso: Veltroni aprì aree per cani. tra cui tutto il Circo Massimo! Un monumento adibito a canile?! Poi l' idea delle kamoto. Poi multe rigorose. Tutte favole. Alessandro Loppi

Faccio con il lettore Loppi e con i lettori una scommessa: Alemanno amministra questa città da un anno e Roma, come assicura il presidente del Consiglio, sembra una città africana. Ammettiamo per comodità che le città africane siano sporche e sciatte come Roma. La scommessa è questa: avendo concesso ad Alemanno che un anno è poco per valutare un' amministrazione, diamoci appuntamento tra altri due anni. Scommettiamo che nel maggio 2011 Roma sarà sporca e sciatta proprio come ora? Chi conosce il centro della città sa che ci sono lastre di marmo murate qua e là che minacciano multe salate di ' scudi dieci' e perfino punizioni corporali a chi «farà monnezzaro in questa via». Risalgono al XVII al XVIII secolo ma potrebbero essere state messe ieri, la loro attualità è perenne. Il presidente del Consiglio dopo aver scagliato la sua giusta invettiva ha subito aggiunto una stupidaggine: Roma è sporca per colpa della sinistra. Non è questione di destra o sinistra, è proprio questione di Roma, anzi dei romani. A Roma, e comunque dal Lazio, comincia il Mezzogiorno d' Italia dove gli spazi pubblici sono spazi non di tutti ma di nessuno, dove si possono lasciare dove capita la cacche dei cani e i vecchi frigoriferi rotti, si possono imbrattare monumenti vecchi di trenta o quaranta secoli e nessuno dice niente. Per esempio il venerando obelisco egiziano di piazza del Popolo, deturpato anche giorni fa con scritte fesse per festeggiare la vittoria della Lazio.

09 maggio 2009

mi sfugge qualcosa
(aggiornato)

Naturalmente, e scorrettamente, in occasione della Giornata dedicata alle Vittime del Terrorismo tutti i periodici parlano dell'incontro della vedova Pinelli con Napolitano, di Gemma Calabresi e di Piazza Fontana, schivando con malafede i nomi di chi uccise il Commissario Calabresi.
E fin qui è prevedibile.
Del resto Adriano Sofri ha recentemente (ri)ricordato maliziosamente i nomi dei 757 tra intellettuali e giornalisti che condannarono il Commissario a parole, ben prima che Sofri, Pietrostefani e Bompressi eseguìssero praticamente quella sentenza, ciascuno per la sua parte - come dichiarato nella nota sentenza definitiva.

Questi periodici, però, si dimostrano ancor più ipocriti quando parlano genericamente di una "stagione d'odio e rancore". Scusate, ma chi la fomentò?
Da una parte le cosiddette "parti deviate" di uno Stato comunque informe, anche nella sua versione ufficiale.
Dall'altra anche Sofri e tutti quelli che firmarono quell'appello immorale e portatore di una violenza verbale pericolosa, senza confini e incontrollabile.
Violenza che poi - indipendentemente da quell'appello - trasfigurò anche nelle Bierre.
In mezzo, Pinelli e quella lunga di morti innocenti, nel nome di gente comunque irresponsabile e che ancora oggi condiziona tutto il panorama intellettuale e politico italiano, specie nel centrosinistra.


Eccovi l'lenco completo dei 757 firmatari in rigoroso ordine alfabetico.
Leggetelo e meravigliatevi: di questi solo in 3 hanno ritrattato.

A

* Ezio Adami
* Mario Agatoni
* Clelia Agnini
* Nando Agnini
* Enzo Enriques Agnoletti
* Giorgio Agosti
* Alberto Ajello
* Nello Ajello
* Gianmario Albani
* Vando Aldovrandi
* Elio Aloisio
* Marina Altichieri
* Anselmo Amadigi
* Laura Ambesi
* Giorgio Amendola
* Sergio Amidei
* Luigi Anderlini
* Antonio Andreini
* Franco Antonicelli
* Filippo Arcuri
* Giulio Carlo Argan
* Giorgio Ariorio
* Annamaria Arisi
* Anna Arnati
* Aldo Assetta
* Gae Aulenti
* Orietta Avernati
* Ferruccio Azzani

B

* Giorgio Backaus
* Franco Baiello
* Anna Baldazzi
* Nanni Balestrini
* Aurelio Balich
* Carlo Ballicu
* Aldo Ballo
* Pietro Banas
* Julja Banfi
* Arialdo Banfi
* Marcello Baraghini
* Mario Baratto
* Andrea Barbato
* Mario Bardella
* Giovanna Bartesaghi Campanari
* Ada Bartolotti
* Mirella Bartolotti
* Carla Bartolucci
* Franco Basaglia
* Vittorio Basaglia
* Andrea Basili
* Eugenia Bassani
* Aldo Bassetti
* Marisa Bassi
* Emanuele Battain
* Giovanni Battigi
* Betty Bavastro
* Renato Bazzoni
* Marco Bellocchio
* Piergiorgio Bellocchio
* Aroldo Benini
* Giorgio Benvenuto
* Marino Berengo
* Gualtiero Bertelli
* Giorgio Bertemo
* Alberto Berti
* Bernardo Bertolucci
* Mario Besana
* Laura Betti
* Alberto Bevilacqua
* Bruno Bianchi
* Luciano Bianciardi
* Mario Biason
* Walter Binni
* Renzo Biondo
* Mercedes Bo
* Norberto Bobbio (ha ritrattato successivamente)
* Giorgio Bocca
* Gaetano Boccafine
* Cini Boeri
* Renato Boeri
* Rodolfo Bollini
* Pietro Bolognesi
* Ermanna Bombonati
* Laura Bonagiunti
* Agostino Bonalumi
* Angela Bonanomi
* Giuseppe Bonazzi
* Mario Boneschi
* Luciana Bonetti
* Arrigo Bongiorno
* Vittorio Borachia
* Giuliana Borda
* Giampiero Borella
* Angelo Borghi
* Giampaolo Borghi
* Sergio Borsi
* Carlo Bosoni
* Angela Braga
* Aldo Braibanti
* Rina Bramè in Zanetti
* Tinto Brass
* Claudio Brazzola
* Nerina Breccia
* Maria Luisa Brenner
* Fulvia Breschi
* Anna Maria Brizio
* Vanna Brocca
* Laura Bruno
* Franco Brusati
* Giampaolo Bultrini

C

* Giorgio Cabibbe
* Corrado Cagli
* Mauro Calamandrei
* Alba Cella Calamida
* Leonida Calamida
* Giuseppe Caldarola
* Giacomo Calì
* Vittoria Calvan
* Maurizio Calvesi
* Floriano Calvino
* Riccardo Calzeroni
* Valeria Calzeroni
* Giovanna Campi
* Nino Cannata
* Michele Canonica
* Teodolinda Caorlin
* Elena Caporaso
* Ettore Capriolo
* Umberto Carabella
* Cosmo Carabellese
* Giulia Carabellese
* Tommaso Caraceni
* Tullio Cardia
* Pierre Carniti
* Tommaso Carnuto
* Fabio Carpi
* Armando Carpignano
* Dino Cartia
* Bruno Caruso
* Paolo Caruso
* Amedeo Casavecchia
* Andrea Cascella
* Alessandro Casillin
* Lucia Casolini
* Giorgio Catalano
* Giuseppe Catalano
* Liliana Cavani
* Paolo Cavara
* Camilla Cederna
* Giamprimo Cella
* Carla Cerati
* Roberto Cerati
* Mario Ceroli
* Lorenzo Certaldi
* Miriam Certi
* Bianca Ceva
* Sandra Cheinov
* Francia Chemollo
* Alfredo Chiappoli
* Francesco Ciafaloni
* Vincenzo Ciaffi
* Lidia Ciani
* Umberto Cinti
* Mariella Codignola
* Ezio Cogliati
* Lucio Colletti
* Enrica Collotti Pischel
* Furio Colombo
* Luigi Comencini
* Franco Contorbia
* Gianni Corbi
* Sergio Corbucci
* Elisabetta Corona
* Teresa Corsi
* Luigi Cortesi
* Giulio Cortini
* Giuseppe Cosentino
* Luigi Cosenza
* Radames Costa
* Gastone Cottino
* Gabriella Covagna
* Bruno Crimi
* Paolo Crivelli
* Virgilio Crocco

D

* Roberto D'Agostino
* Sandra Dal Pozzo
* Enzo D'Amore
* Guido Davico Bonino
* Maria Teresa De Laurentis
* Fausto De Luca
* Giorgio De Luca
* Giorgio De Marchis
* Giorgio De Maria
* Giovanni De Martini
* Tullio De Mauro
* Stefano De Seta
* Vincenzo De Toma
* Stefano De Vecchi
* Sergio De Vio
* Vittoria De Vio
* Giuseppe Del Bo
* Giuseppe Della Rocca
* Giampiero Dell'Acqua
* Luigi Dell'Oro
* Anna Maria Demartini
* Bibi Dentale
* Fabrizio Dentice
* Luca D'Eramo
* Stefano Di Donato
* Sara Di Salvo
* Tommaso Di Salvo
* Luciano Doddoli
* Delia Dominella
* Piero Dorazio
* Gillo Dorfles
* Umberto Dragone
* Guglielmo Dri
* Susan Dubiner
* Antonio Duca

E

* Umberto Eco
* Giulio Einaudi
* Ingrid Enbom
* Angelo Ephrikian
* Maria Concetta Epifani
* Sergio Erede
* Bruno Ermini
* Franco Ermini
* Vincenzo Eulisse

F

* Gianni Fabbri
* Marisa Fabbri
* Bruno Fabretto
* Mario Fabretto
* Elvio Fachinelli
* Vittorio Fagone
* Carlo Falconi
* Annagiulia Fani
* Teresa Fanigarda
* Alberto Farassino
* Luciana Farinella
* Franco Fayenz
* Federico Fellini
* Inge Feltrinelli
* Marina Feraci
* Mario Ferrantelli
* Alberto Ferrari
* Ernesto Ferrero
* Arnaldo Ferroni
* Pierluigi Ficoneri
* Gaetana Filippi
* Giampaolo Filotico
* Piero Filotico
* Marco Fini
* Paola Fini
* Roberto Finzi
* Milva Fiorani
* Elio Fiore
* Leonardo Fiori
* Giosuè Fittipaldi
* Dario Fo
* Luciano Foà
* Domenico Foderaro
* Carla Fontana
* Manuele Fontana
* Massimiliano Fontana
* Ada Fonzi
* Bruno Fonzi
* Franco Fornari
* Carla Forta
* Franco Fortini
* Paolo Fossati
* Gennaro Fradusco
* Bruna Franci
* Aldo Franco
* Giuseppe Franco
* Bice Fubini
* Marisetta Fubini
* Alberto Fuga
* Mario Fumero
* Maria Grazia Furlani Marchi
* Floriana Fusco

G

* Benedetta Galassi Beria
* Giancarlo Galassi Beria
* Silvia Galaverni
* Aldo Galbiati
* Virginia Galimberti
* Mario Gallo
* Severino Gambato
* Lucio Gambi
* Renato Gambier
* Antonio Gambino
* Maria Teresa Gardella
* Edoardo Garrone
* Emilio Garroni
* Giustino Gasbarri
* Cristiano Gasparetto
* Maria Gasparetto Schiavon
* Luciano Gaspari
* Bruna Gasparini
* Nuccia Gasparotto
* Mario Gatti
* Anna Gattinoni
* Camillo Gattinoni
* Emilio Gavazzotti
* Ugo Gazzini
* Mariella Genta
* Mauro Gentili
* Alessandro Gerbi
* Francesco Ghiretti
* Anna Ghiretti Magaldi
* Bona Ghisalberti
* Giobattista Gianquinto
* Natalia Ginzburg
* Giovanni Giolitti
* Vincenzo Giordano
* Fabio Giovagnoli
* Giovanni Giudici
* Marinella Giusti
* Enzo Golino
* Letizia Gonzales
* Vittorio Gorresio
* Delia Grà
* Romano Stefano Granata
* Paola Grano
* Franco Graziosi
* Armando Greco
* Carlo Gregoretti
* Ugo Gregoretti
* Augusta Gregorini
* Laura Grisi
* Laura Griziotti
* Anna Gualtieri
* Franca Gualtieri
* Luciano Guardigli
* Pierluciano Guardigli
* Ruggero Guarini
* Augusto Guerra
* Salvatore Guglielmino
* Armanda Guiducci
* Roberto Guiducci
* Renato Guttuso

H

* Margherita Hack

I

* Ulrica Imi
* Delfino Insolera
* Gabriele Invernizzi
* Renato Izozzi

J

* Alberto Jacometti
* Lino Jannuzzi
* Emilio Jona

L

* Pietro La Gioiosa
* Vittorio La Gioiosa
* Rosamaria La Gioiosa in Giovagnoli
* Oliviero La Stella
* Riccardo Landau
* Liliana Landi
* Giuseppe Lanza
* Marina Laterza
* Vito Laterza
* Gustavo Latis
* Marta Latis
* Giorgio Lattes
* Giuliana Lattes
* Felice Laudadio
* Marcella Laurenzi
* Mario Lazzaroni
* Giorgio Leandro
* Franco Lefevre
* Ettore Lenzini
* Marcello Lenzini
* Franco Leonardi
* Irene Leonardi
* Rita Leonardi
* Francesco Leonetti
* Isabella Leonetti
* Ugo Leonzio
* Laura Lepetit
* Carlo Levi
* Primo Levi
* Bruno Libello
* Laura Lilli
* Claudio Lillini
* Marino Livolsi
* Carlo Lizzani
* Daniela Lizzi
* Maurizio Lizzi
* Germano Lombardi
* Riccardo Lombardi
* Giordano Loprieno
* Mariella Loriga
* Giuseppe Loy
* Nanni Loy
* Nico Luciani
* Franca Lurati
* Clara Lurig

M

* Giulio A. Maccacaro
* Marisa Macerollo
* Mario Macola
* Manuela Magro
* Carlo Mainoldi
* Giancarlo Maiorino
* Susjanna Majella
* Carlo Majer
* Thomas Maldonado
* Maria Vittoria Malvano
* Piero Malvezzi
* Mauro Mancia
* Bruno Manghi
* Eleonora Mantese
* Manlio Maradei
* Adriana Marafioti
* Dacia Maraini
* Elio Maraone
* Laura Marasso Paladina
* Aldo Marchi
* Enzo Mari
* Giovanni Mariotti
* Giancarlo Marmori
* Lilly E. Marx
* Carlo Mascetti
* Francesco Maselli
* Vitilio Masiello
* Ennio Mattias
* Augusto Mattioli
* Clara Maturi Egidi
* Achille Mauri
* Fabio Mauri
* Carlo Mazzarella
* Giovanna Mazzetti
* Lorenza Mazzetti
* Cosimo Marco Mazzoni
* Alceste Mazzotti
* Carmine Mecca
* Marina Meltzer
* Lodovico Meneghetti
* Mino Menegozzi
* Giorgio Menghi
* Giuliano Merlo
* Aldo Messasso
* Giuseppe Mezzera
* Lidya Micheli
* Paolo Mieli (ha ritrattato successivamente)
* Mieke Mijnlieff
* Paolo Milano
* Carla Milgiarini
* Giovanna Minotti
* Annabella Miscuglio
* Enrico Mistretta
* Ludovica Modugno
* Paolo Modugno
* Franco Mogari
* Franco Mogni
* Davide Moisio
* Francesco Moisio
* Maria Vittoria Molinari
* Francesco Molone
* Arnaldo Momo
* Cecilia Moneti
* Furio Monicelli
* Mino Monicelli
* Giuliano Montaldo
* Adolfo Montefusco
* Grazia Montesi
* Pio Montesi
* Maria Monti
* Morando Morandini
* Alberto Moravia
* Guido Morello
* Diego Moreno
* Salvatore Morgia
* Alba Morino
* Berto Morucchio
* Salvatore Morvillo
* Franco Mulas
* Mimi Mulas
* Adriana Mulassano
* Ezio Muraro
* Paolo Murialdi
* Cesare Musatti
* Mariuccia Musazzi
* Sergio Muscetta
* Carlo Mussa Ivaldi
* Franca Mussa Ivaldi

N

* Gianna Navoni
* Benedetto Negri
* Toni Negri
* Grazia Neri
* Annamaria Nicora Hribar
* Riccardo Nobile
* Luigi Nono
* Mimma Noriglia
* Guido Nozzoli

O

* Luigi Odone
* Annamaria Olivi
* Pietro Omodeo
* Giulio Onici
* Fabrizio Onofri
* Valentino Orsini
* Silvana Ottieri

P

* Giulio Pace
* Enzo Paci
* Luciano Pacino
* Zulma Paggi
* Walter Pagliero
* Giancarlo Pajetta
* Aldo Paladini
* Giannantonio Paladini
* Luciana Paladini Conti
* Salvatore Palladino
* Ettore Pancini
* Pietro Pandiani
* Francesco Panichi
* Alcide Paolini
* Piergiorgio Paoloni
* Letizia Paolucci
* Ivo Papadia
* Luca Paranelli
* Roberto Paris
* Silvia Parmeggiani Scatturin
* Ferruccio Parri
* Giordano Pascali
* Pier Paolo Pasolini
* Daniela Pasquali
* Ernesto Pasquali
* Luca Pavolini
* Giorgio Pecorini
* Rossana Pelà
* Alessandro Pellegrini
* Baldo Pellegrini
* Carla Pellegrini
* Lorenzo Pellizzari
* Dario Penne
* Andrea Penso
* Giovanni Pericoli
* Maria Pericoli
* Paolo Pernici
* Irene Peroni
* Mario Perosillo
* Nicola Perrone
* Romano Perusini
* Carla Petrali
* Elio Petri
* Domenico Pezzinga
* Leopoldo Piccardi
* Mario Picchi
* Cristina Piccioli
* Giuseppe Picone
* Ugo Pierato
* Maria Novella Pierini
* Piero Pierotti
* Ettore Pietriboni
* Bice Pinnacoli
* Elsa Piperno
* Giosuè Pirola
* Ida Pirola
* Ugo Pirro
* Ugo Pisani
* Paola Pitagora
* Fernanda Pivano
* Luciano Pizzo
* Giovanna Platone Garroni
* Franco Pluchino
* Giancarlo Polo
* Giò Pomodoro
* Gillo Pontecorvo
* Antonio Porta
* Paolo Portoghesi
* Domenico Porzio
* Umberto Pozzana
* Emilio Pozzi
* Silvio Pozzi
* Claudio Pozzoli
* Serafino Pozzoni
* Pasquale Prunas
* Silvio Puccio
* Giulia Putotto

Q

* Franco Quadri
* Massimo Quaini
* Sofia Quaroni
* Guido Quazza
* Folco Quilici (ha ritrattato successivamente)


R

* Giovanni Raboni
* Emilia Raineri
* Franca Rame
* Dino Rausi
* Carlo Ravasini
* Luciano Redaelli
* Enrico Regazzoni
* Aloisio Rendi
* Nelly Rettmeyer
* Enzo Riboni
* Tina Riccaldone
* Aldo Ricci
* Carlo Ripa di Meana (ha ritrattato successivamente)
* Vittorio Ripa di Meana
* Angelo Maria Ripellino
* Claudio Risè
* Nello Risi
* Giuseppe Riva
* Carlo Rivelli
* Françoise Marie Rizzi
* Oreste Rizzini
* Giulia Rodelli
* Luigi Rodelli
* Carlo Rognoni
* Piero Rognoni
* Lalla Romano
* Marco Romano
* Gabriella Roncali
* Guido Roncali
* Maria Roncali
* Luisa Ronchini
* Roberto Ronchini
* Alberto Ronelli
* Gianluigi Rosa
* Carlo Rossella
* Giovanna Rosselli
* Mario Rossello
* Enrico Rossetti
* Serena Rossetti
* Gaetano Rossi
* Orazio Rossi
* Pietro Rossi
* Ettore Rotelli
* Maria Luisa Rotondi
* Irene Rovero
* Giovanni Rubino
* Maria Ruggieri
* Luigi Ruggiu
* Marisa Rusconi
* Francesco Russo

S

* Luisa Saba
* Adele Saccavini
* Giancarlo Sacconi
* Carlo Salinari
* Pietro Salmoiraghi
* Alberto Samonà
* Giuseppe Samonà
* Salvatore Samperi
* Carlo Santi
* Natalino Sapegno
* Carla Sartorello
* Sergio Saviane
* Angelica Savinio
* Ruggero Savinio
* Marina Saviotto
* Claudio Scaccabarozzi
* Eugenio Scalfari
* Nino Scanni
* Carlo Scardulla
* Luigi Scatturin
* Vladimiro Scatturin
* Mario Scialoja
* Toti Scialoja
* Antonio Scoccimarro
* Gino Scotti
* Giuliana Segre Giorgi
* Marialivia Serini
* Enzo Siciliano
* Luigi Simone
* Ulderico Sintini
* Mario Soldati
* Sergio Solimi
* Franco Solinas
* Sandro Somarè
* Romano Sorella
* Libero Sosio
* Corrado Sozia
* Rosalba Spagnoletti
* Sergio Spina
* Mario Spinella
* Nadia Spreia
* Paolo Spriano
* Pasquale Squitieri
* Giancarlo Staffolani
* Brunilde Storti
* Antonino Suarato
* Giuseppe Surrenti

T

* Silvana Tacchio
* Manfredo Tafuri
* Aldo Tagliaferri
* Carlo Taviani
* Paolo Taviani
* Vittorio Taviani
* Marisa Tavola
* Wladimir Tchertkoff
* Giorgio Tecce
* Rubens Tedeschi
* Maria Adele Teodori
* Massimo Teodori
* Umberto Terracini
* Angela Terzani
* Tiziano Terzani
* Duccio Tessari
* Nazario Sauro Tiberi
* Giovanni Tochet
* Rorò Toro
* Emanuela Tortoreto
* Fedele Toscani
* Oliviero Toscani
* Marirosa Toscani Ballo
* Rita Trasei
* Julienne Travers
* Ernesto Treccani
* Renato Treccani
* Bruno Trentin
* Giorgio Trentin
* Picci Trentin
* Giuseppe Turani
* Saverio Tutino

U

* Filomena Uda
* Flavia Urbani

V

* Marina Valente
* Francesco Valentini
* Giovanna Valeri De Santis
* Aldo Valia
* Laura Valia
* Bernardo Valli
* Nanny Van Velsen
* Guido Vanzetti
* Paolo Vascon
* Luciano Vasconi
* Domenica Vasi
* Sergio Vazzoler
* Emilio Vedova
* Maria Venturini
* Virgilio Vercelloni
* Lea Vergine
* Maura Vespini
* Carlo Augusto Viano
* Vittorio Vidali
* Lucio Villari
* Sandro Viola
* Giovanni Virgadaula
* Aldo Visalberghi
* Massimo Vitali
* Corrado Vivanti
* Alessandra Volante
* Giuseppe Voltolini
* Gregor Von Rezzori
* Joachim Von Schweinichen

Z

* Annapaola Zaccaria
* Livio Zanetti
* Antonio Zanuso
* Francesco Zanuso
* Marco Zanuso
* Ornella Zanuso
* Domenico Zappettini
* Marvi Zappettini
* Cesare Zavattini
* Giorgio Zecchi
* Sandro Zen
* Alfredo Zennaro
* Bruno Zevi
* Alberto Zillocchi
* Carla Zillocchi
* Mario Zoppelli
* Fulvio Zoppi
* Nicoletta Zoppi
* Giovan Battista Zorzoli