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24 marzo 2014

IDA, quando la fotografia salva dall'ovvietà

Ida potrebbe essere un film esemplare, se non fosse per due elementi che ne minano le basi: un montaggio troppo indulgente e una trama esile esile, con un impercettibile sottofondo di moralismo cattolico che potrebbe addirittura irritare. La fotografia è eccellente: vedo film da quarant'anni, e raramente mi ero imbattuto in inquadrature così belle - e anche coraggiose: sfidano più volte la sezione aurea, con momenti di autentica innovazione. Aggiungeteci che quando i movimenti degli attori ne variano le proporzioni, comunque queste inquadrature mantengono dinamismo e fascino. Complimenti, complimenti davvero.
Il montaggio, purtroppo, sembra distrarsi da cotanta bellezza, senza dare il giusto ritmo alle scene, tanto che non si percepiscono né scarti narrativi, né tantomeno una sorta di suddivisione schematica che dilati o riduca i passaggi della trama. 
Quindi, o la sceneggiatura andava sensibilmente ritoccata, oppure il cinema polacco si conferma tale nonostante l'evoluzione dello strumento e le ipotizzabili influenze esterne (complice la Caduta del Muro) che avrebbero dovuto colpire anche Pawel Pawlikowski, il regista.
La storia è suddivisa in tre sottotrame: il percorso della protagonista da Anna ad Ida (cioè: le sue origini e la trista storia della sua famiglia), il rapporto con la zia (una bravissima Agata Kulesza), il percorso religioso di Ida.
E, nonostante le potenzialità, anziché amalgamarsi, queste tre opportunità narrative sembrano appiccicate, con tanto di esiti scontati e prevedibili. A questa fragilità aggiungerei: una petulante inespressività della protagonista (Agata Trzebuchowska) incapace di restituire le giuste sfumature; un sottofondo di moralismo cattolico che si affretta a dare lezioni di vita con una scelta finale addirittura precipitosa.
E già: nonostante tutto il film abbia tenuto sempre lo stesso ritmo, il finale accelera troppo velocemente, dando una sensazione di frettolosità a livello produttivo anziché estetico.
In conclusione, scelte musicali eterogenee e significative: si va dallo Jupiter di Mozart a 24mila baci, passando per Naima ed Equinox di Coltrane... incredibile ma vero, e gustoso.
Un film da 7 - che poteva decisamente raggiungere la perfezione

23 febbraio 2010

memorie dal calabozo

Ho ricevuto in prestito questo libro.È una guida all'inferno più assoluto, quando cioè la viltà umana e la pochezza dei potenti raggiungono livelli di efferatezza che superano di gran lunga ogni più perfida immaginazione.
È la storia di due intellettuali uruguagi (come evrebbe detto Gianni Brera) costretti per tredici anni (13 anni!) a vivere dentro un buco, una profonda fossa, senza neanche avere il sottile privilegio di sgranchirsi le braccia, senza nemmeno potersi pulire il culo o pisciare in santa pace.
Tutto questo solo perché pensavano, ma non come i potenti dell'Uruguay, o come il Vaticano che silente osservava compiacente (aspettate qualche santo in merito), o come tutto il mondo occidentale che sapeva e assisteva senza muovere un dito.
Essere privati della propria dignità è l'abominio più basso che si possa subire. Ma evidentemente i due protagonisti di questo libro, Mauricio Rosencof e Eleuterio Fernández Huidobro, ne avevano così tanta che ancor oggi gli avanza per indicarci con entusiasmo strade di onorabile senso della dignità che neanche sappiamo immaginarci.


FAVOLA PER ADULTI
Uruguay 1973 - 1985: questi il luogo e il tempo del racconto scritto da Mauricio Rosencof e Eleuterio Fernández Huidobro, autori ma anche protagonisti di quella tragica parentesi storica che ha visto contrapposti i guerriglieri del Min (Movimento di liberazione nazionale) alla dittatura militare uruguayana. Tredici anni sottoterra, una prigionia lunga e disumana all'interno dei calabozos, celle d'isolamento alte 180 centimetri e profonde 60, di cui Mauricio Rosencof ed Eleuterio Fernández Huidobro evocano la memoria e il terrore; torture fisiche e psicologiche, alienazione e delirio sono il leitmotiv dei loro giorni e delle loro notti. Non c'è speranza per chi si oppone al regime. Finché una notte i due, relegati in calabozos contigui, riescono a squarciare il muro del silenzio creando un canale di comunicazione "altro" basato sul codice Morse: riattivare una qualsiasi forma di linguaggio significa per loro ritornare alla vita. Così Memorie dal calabozo, che è la prima traduzione italiana dell'opera, ripercorre con sarcasmo e ironia la storia dell'Uruguay, dall'apogeo al declino della dittatura fino alla liberazione, attraverso la selezione di 154 testi sui 200 dell'edizione originale, diventando un vero e proprio canto alla vita contro tutte le barbarie.





Mauricio Rosencof
nasce a Florida, Uruguay, nel 1933 da una famiglia di immigrati ebreo-polacchi. Scrittore, drammaturgo e giornalista, attualmente è assessore alla cultura nel comune di Montevideo. Numerosi testi di Rosencof sono stati tradotti in tedesco, inglese, francese, olandese e turco, ma solo nel 2008 appare la prima traduzione italiana di una sua opera, Le lettere mai arrivate, edizioni Le Lettere di Firenze.

Eleuterio Fernádez Huidobro
nasce a Montevideo nel 1942, ex guerrillero del Movimento di liberazione nazionale, nonchè uno dei 9 ostaggi della dittatura dal 1973 al 1985, è giornalista, scrittore e attualmente politico. Riveste l'incarico di senatore della Repubblica uruguayana dal 1999.
Mauricio Rosencof
Eleuterio Fernádez Huidobro
Memorie dal calabozo
13 anni sottoterra


07 settembre 2009

SBB

I preconcetti avvolgono anche noi presuntuosi e moralisti.
Questa primavera avevo degli operai polacchi in casa, e figuriamoci se potevo immaginarli interessati a qualsiasi altra cosa che non fossero martelli, stucchi e vernici.
Un bel giorno il capomastro mi consegna un dvd di rock progressivo... polacco! Dall'alto della mia boria lo prendo promettendogli che appena avrò casa a posto gli darò un'ascoltata.
Ma ovviamente avevo già pronto il mio giudizio negativo. E, invece, accidenti: e chi poteva mai immaginare che gli
SBB
fossero così interessanti!
Tenendo conto poi che il concerto è del 1979, e che quindi da quelle parti non si navigava certo in buone acque (e non credo che la musica occidentale arrivasse facilmente e in maniera eterogenea), sono rimasto fortemente impressionato sia dalla tecnica che dalle idee musicali.
A fare i pignoli mancava un buon produttore che sapesse sia contenere certe inutili lungaggini egocentriche (oltre che qualche citazionismo di troppo), come anche imporre scelte estetiche più incisive. Ma in linea generale la cosa conferma che il nostro eurocentrismo è duro a morire. Veramente duro.
Complimenti quindi a Józef Skrzek (il leader), Jerzy Piotrowski, Apostolis Anthimos, Sławomir Piwowar, Andrzej Rusek, Mirosław Muzykant, Paul Wertico (dico: già nella Pat Metheny Band!), Gabor Nemeth.


05 settembre 2009

i bei discorsi:
Angela Merkel

IL MIRACOLO DELLA PACE

da Repubblica - 2 settembre 2009

COMINCIÒ sessant' anni fa con l' aggressione tedesca alla Polonia il capitolo più tragico della storia europea. La guerra scatenata dalla Germania portò dolore e sofferenza incommensurabili a molti popoli, anni di totale privazione dei diritti, anni di umiliazione e distruzione. Nessun paese ha sofferto cosìa lungo dell' occupazione tedesca come la Polonia. Proprio nei tempi bui, di cui parliamo oggi, il Paese fu raso al suolo. Cittàe villaggi vennero distrutti. Nella capitale, dopo che l' insurrezione del 1944 fu soffocata nel sangue, non fu lasciata in piedi nemmeno una pietra. Potere arbitrario e violenza segnarono in quegli anni la vita quotidiana di ogni famiglia polacca. Oggi qui, sulla Westerplatte di Danzica, io, cancelliera federale, ricordo con rispetto profondo tutti i polacchi a cui fu arrecato dolore inenarrabile sotto i crimini dell' occupazione tedesca. Gli orrori del ventesimo secolo ebbero il loro culmine nell' Olocausto, la sistematica persecuzionee sterminio degli ebrei d' Europa. Io ricordo con rispetto profondo i sei milioni di ebrei e tutti gli altri che trovarono una morte atroce nei campi di concentramento e di sterminio tedeschi. Io ricordo con rispetto profondo i molti milioni di uomini che dovettero sacrificare la loro vita nella guerra e nella Resistenza contro la Germania. Io ricordo con rispetto profondo tutti gli innocenti che dovettero morire di fame, freddo o malattia a causa della violenza di quella guerra e delle sue conseguenze. Io ricordo con rispetto profondo i 60 milioni di esseri umani che persero la vita a causa di questa guerra che fu scatenata dalla Germania. Non ci sono parole che possano restituire il dolore atroce di questa guerra e dell' Olocausto. Io m' inchino davanti alle vittime. Lo sappiamo bene: non possiamo cancellare l' orrore della seconda guerra mondiale o fare come se non fosse accaduto. Le cicatrici resteranno a lungo visibili. Il nostro compito è costruire il futuro con la consapevolezza sempre presente della nostra responsabilità. L' Europa siè trasformata da continente d' orrore e violenza in un continente di libertà e pace. Il fatto che ciò sia stato possibile è né più né meno che un miracolo. Noi tedeschi non lo abbiamo mai dimenticato: gli amici della Germania all' Est e all' Ovest hanno aperto questa strada con la loro prontezza alla riconciliazione. Hanno teso a noi tedeschi la mano della riconciliazione e noi l' abbiamo afferrata, colmi di gratitudine. Sì, è un miracolo il fatto che noi quest' anno non dobbiamo ricordare solo gli abissi d' infamia della storia europea avvenuti settant' anni fa. È un miracolo che possiamo anche ricordare quei giorni felicie fortunati che vent' anni fa portarono alla caduta del Muro di Berlino, alla riunificazione della Germania e all' unità dell' Europa. Perché solo con la caduta della cortina di ferro il cammino dell' Europa verso la libertà poté dirsi compiuto. Nella tradizione di Solidarnosc in Polonia, la gente allora aprì ovunque con coraggio le porte verso la libertà. Noi tedeschi non lo dimenticheremo mai. Non dimenticheremo il ruolo dei nostri amici in Polonia, in Ungheria e nell' allora Cecoslovacchia. Non dimenticheremo il ruolo di Mikhail Gorbaciov e dei nostri amici e alleati occidentali. Non dimenticheremo il ruolo della forza morale della Verità che nessuno incarnò in modo così convincente e credibile come Papa Giovanni Paolo II. Anche per questo noi tedeschi ci siamo impegnati ad aprire alla Polonia e agli altri Stati dell' Europa centrale e orientale la strada verso l' ingresso nell' Unione Europea e nella Nato e a stare al loro fianco. Sì, è un miracolo, una grazia, il fatto che noi europei oggi possiamo vivere in libertà e in pace. Non c' è nulla che possa rappresentare la grande differenza tra il 1939e oggi meglio della stretta e fiduciosa collaborazione tra Germania e Polonia e delle molteplici relazioni d' amicizia tra i nostri due Paesi. L' unità dell' Europa e l' amicizia della Germania coni suoi vicini trovano forza nel fatto che noi non chiudiamo gli occhi sulla nostra storia. Lo hanno ben colto i presidenti delle conferenze episcopali tedesca e polacca nella loro ultima dichiarazione congiunta: «Insieme dobbiamo guardare al futuro senza dimenticare o minimizzare la realtà storica in tutti i suoi aspetti». Se nel mio Paese pensiamo anche al destino dei tedeschi che, in seguito alla guerra, persero la loro patria, lo facciamo sempre nel senso indicato da queste parole dei vescovi. Lo facciamo con piena consapevolezza della responsabilità della Germania. Lo facciamo senza voler riscrivere il capitolo che riguarda la responsabilità storica della Germania. Questo non accadrà mai. Proprio consapevole di tutto ciò, settant' anni dopo io sono venuta qui a Danzica, in questa città segnata dal dolore, ma splendidamente restaurata. Signor Presidente, signor Primo ministro, mi commuove profondamente il fatto che mi abbiate invitato alla cerimonia di oggi in qualità di cancelliera tedesca. Vedo in questa vostra scelta un segno del nostro rapporto di fiducia, della nostra stretta cooperazione e dell' autentica amicizia tra i nostri due Paesi, tra la gente in Germania e in Polonia. E per questo voglio ringraziarvi. - ANGELA MERKEL

02 settembre 2009

le belle persone:
Dino Zoff e Gaetano Scirea

Zoff e vent'anni senza Scirea
"Mi manca il suo silenzio"


(da
Repubblica - 1 settembre 2009 pagina 54)


Zoff, sono già vent' anni. «Tornavamo da Verona in pullman, la Juve aveva vinto 4-1, il casellante disse che era successo qualcosa a Scirea, io risposi è impossibile, a quest' ora sarà già a casa che dorme». Invece era morto su una strada polacca. «Allenavo la Juve, Gaetano era il mio vice. Era andato a vedere i nostri avversari di Coppa, lui non era convinto che fosse necessario, nemmeno io lo ero, ma Boniperti aveva insistito ed era giusto così. Il destino è invisibile». Chi era Gaetano Scirea? Cos' era? «Un uomo. Era il suo stile. Non la forma, lo stile. Era serenità, chiarezza e pulizia. Era convincente anche quando si arrabbiava così di rado, non perdeva mai il controllo. Una persona sempre misurata e tranquilla. Diceva solo cose autentiche, ponderate». Ricorda quando lo conobbe? «Arrivava dall' Atalanta, un ragazzone taciturno, buonissimo. All' inizio mi sembrava troppo perfetto per essere vero: a volte i timidi appaiono meglio di quello che sono, vale anche per me. Invece era così sincero e puro, senza sovrastrutture. Aveva il pudore delle parole, così raro sempre e di più adesso, in mezzo a questo boato». In campo, inarrivabile. «Perché era sempre lui, era la sua continuazione. Dicono che in partita ti trasformi: fesserie, in partita sei tu e basta. E conta l' istinto, lì non esiste il freno dell' intelligenza, viene fuori il profondo. E il profondo di Scirea era Scirea». Mai un' espulsione, eppure giocava in difesa. «Gli bastavano la classe e la pulizia del gioco. Mai visto uno così elegante, con la testa così alta. E la purezza del tocco era purezza morale. Questi sono uomini importanti, che magari non segnano un' epoca perché non gridano. Ma quanta ricchezza». Eravate sempre insieme: chissà che silenzi. «Invece parlavamo tanto, anche se per capirci non c' era bisogno di dire cose. Ci assomigliavamo, però lui era incomparabilmente migliore di me: io non sono così buono, né accomodante. Dividevamo la stanza d' albergo nella Juve e in nazionale, leggevamo, giocavamo a carte, robe semplici. Tra noi c' era una goliardia da ragazzini. Gaetano non era un musone, amava gli scherzi, ci stava, anche se era così delicato». Come visse il tumultuoso mundial ' 82? «La nostra camera la chiamavano "la Svizzera", era stato Tardelli a inventare il nome perché cercava rifugio da noi nelle sue notti insonni». Gaetano voleva fare l' allenatore: ci sarebbe riuscito? «Sì, perché era intelligente e convincente. In campo, un leader senza bisogno di urlare e sapeva farsi seguire. Aveva carattere, si era diplomato alle magistrali giocando e studiando anche di notte. Al calcio italiano è molto mancato uno come lui: forse, per carattere non avrebbe avuto troppe prime pagine ma non sarebbe cambiato, non l' avrebbero mai cambiato. Neppure in questo ambiente, dove fa notizia solo il rumore». Cosa accadde, dopo la vittoria di Madrid? «Ero rimasto allo stadio più degli altri per le interviste e tornai in albergo non con le guardie del corpo, come succede oggi, ma sul furgoncino del magazziniere. Gaetano mi aspettava. Mangiammo un boccone, bevemmo un bicchiere, ci sembrava sciocco festeggiare in modo clamoroso: mica si poteva andare a ballare, sarebbe stato come sporcare il momento. Tornammo in camera e ci sdraiammo sul letto, sfiniti da troppa felicità. Però la degustammo fino all' ultima goccia, niente come lo sport sa dare gioie pazzesche che durano un attimo, e bisogna farlo durare nel cuore. Eravamo estasiati da quella gioia, inebetiti». Cosa ricorda della sera in cui morì? «Rientrando da Verona, eravamo andati a cena dalle parti di Ponte sull' Oglio. I cellulari non esistevano. Arrivatia Torino, il casellante ci disse quella cosa, non volevo crederci. Il pullman raggiunse lo stadio, dove avevamo lasciato le auto. Era pieno di giornalisti. Diedi un calcio fortissimo alla fiancata». Dino Zoff, lei pensa spesso al suo amico? «Gaetano torna sempre. Lo penso a ogni esagerazione di qualcuno, a ogni urlo senza senso. L' esasperazione dei toni mi fa sentire ancora più profondamente il vuoto della perdita. Gaetano mi manca nel caos delle parole inutili, dei valori assurdi, delle menate, in questo frastuono di cose vecchie col vestito nuovo, come canta Guccini. Mi manca tanto il suo silenzio». - MAURIZIO CROSETTI

15 novembre 2007

diverso ad ogni costo

I due principi enunciati qui a destra sono di un uomo di colore e di un omosessuale. La piattaforma che ospita questo blog nasce dall'intuizione di un ebreo. Le prime idee sulla programmazione appartengono a una donna dell'800.
Le mie origini vanno divise in quattro: da parte di mio padre, il cognome può essere riferito o ad antiche origini marrano/spagnole/ebraiche oppure a recondite origini slave; da parte di mia madre, metà è siciliana - con sensibili influssi arabi e svevi, l'altra metà può tranquillamente reputarsi romana.
I miei scrittori preferiti sono un inglese bisessuale (Byron), un alcolizzato fanfarone (Hemingway), un portoghese impotente (Pessoa), un mercenario greco (Senofonte), un giapponese ultranazionalista nonché morto suicida (Mishima), un tossicodipendente uxoricida (Burroughs), un buddista anarchico (Salinger), un fascista convinto (Celine) e un comunista intelligente (Camus)... e altri simpatici amici che ora non ricordo.
Ascolto musiche di vario genere: il rock, strumento del demonio per eccellenza; il jazz, anarchico ed individualista; la classica, il canone ormai per pochi eletti; la contemporanea, la logica dei furbi.
I miei registi preferiti sono o ebrei, o gay o conservatori.
Il mio cellulare è finlandese, il mio pc è taiwanese, la mia macchina fotografica è giapponese con lenti tedesche, le mie scarpe spagnole, il mio cappotto newyorchese, parte dei miei orologi svizzera, magliette cinesi...
La mia donna di servizio moldava, l'operaio di fiducia polacco, il commercialista e l'avvocato romanisti, il cognato napoletano, l'unico amico non gay è laziale... e una moglie femminista, anarchica, in carriera, con un cuore e due occhi verdi grandi così.
Insomma: sono un maschio italiano eterosessuale di sinistra - ahimé persino cresimato - di razza bianca, puramente doc. Qualcosa da ridire?



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