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30 novembre 2007

tassisti e buoi
dei paesi tuoi

I post su commissione sono stimolanti e impegnativi al tempo stesso: mentre Benigni mi deliziava col suo irrefrenabile Quinto Canto dantesco, Andrea D. mi manda un sms chiedendomi un post sui tassisti nostrani.
Be', innanzitutto la parola taxi mi rimanda irrimediabilmente a Rilke, uno dei miei poeti preferiti. Le sue mirabili elegie duinesi furono intarsiate durante i soggiorni in quel della magione di Duino, di proprietà della principessa Marie Hohenlohe von Thurn und Taxis. Non ci vuole un genio per intuire che i tassisti di tutto il pianeta prendono il nome da una felice intuizione di quei nobili, ancor oggi una delle casate più raffinate e ammirate d'Europa.
Già, che noi invece li chiamiamo tassinari perché spesso sa più di insulto classista che di riconoscimento professionale. Non voglio fare la mia solita polemica trasversale contro i vari sofrimillescalfarotti, perché tanto non sortisce l'effetto voluto/dovuto: ho notato, però, che nessuno di questi accoliti veltroniani ha speso una parola una su come Valter stia permettendo a questi figuri di comportarsi come si comportano. Se siamo arrivati all'assedio fascistoide è perché finora Veltroni si è dimostrato non credibile. Silenzio per malafede, ipocrisia o censura? Fate voi.
Arrivate a Fiumicino e venite accolti da loschi figuri che impongono cifre scandalose. Alla Stazione Termini è ancor peggio... eppoi fumano, blaterano contro tutto e contro tutti, non rispettano il codice della strada. E dire che hanno sulle portiere il simbolo del Comune di Roma (dico: Roma!).
Ricordate Il collezionista di ossa, film che fece conoscere ai più le michelin di Angelina Jolie? In una scena di raccordo, un tassista taglia impercettibilmente la strada a un'auto. Immediatamente gli si accosta un tipo col tesserino comunale per multarlo; una sorta di poliziotto dei tassisti. Poi si scopre che l'altro è l'assassino... ma l'idea culturale resta, e fa impressione. A New York, infatti, i tassisti rispettano le regole in maniera direi paranoica. Non rompono le scatole coi loro deliri, rilasciano la ricevuta fiscale senza che tu debba chiedergliela; fantascienza forse, ma New York è mille volte più grande di Roma, quindi certi giustificazionismi sinistrorsi nostrani sono indecenti.
Ad Amsterdam era saltata la corrente elettrica: il trenino per l'aeroporto non poteva partire. Nel giro di pochi minuti, decine di taxi hanno prelevato gli appiedati per portarli di corsa alla mèta. Sempre rispettando i limiti di velocità, le strisce pedonali e... il tariffario, visibile e vincolato.
Ad Anversa un tipo silmil Camus si è prodigato a spiegarci i posti più attraenti e quelli più pericolosi dell'intera città. Nessuna ricevuta, ma il tarrifario è regolarmente segnalato da un cartellone grande così dentro la splendida stazione ferroviaria.
A Barbados le cifre/tragitto sono regolamentate da tabelle governative. L'isola è microscopica, non puoi metterti certo a fare il furbacchione. Va detto che anche a Roma ci sarebbero cifre/base su alcuni tragitti ben precisi. Inutile chiedersi quanto vengano rispettate.
A Barcellona il servizio è sobrio, senza pretese, ma preciso e puntuale. Diciamo che litigano col codice della strada, ma quel poco che basta. Comunque impongono tariffe bassissime.
Da Bergen dovevo andare in un hotel disperso tra i boschi norvegesi. Prima di servirmi, il tassista mi ha indicato la cifra approssimativa e la durata del tragitto (così eventualmente potevo prendere il pullmann), offendendosi quando gli ho chiesto se mi avrebbe rilasciato la ricevuta per il mio ufficio. Lì è cosa naturale, con tanto di segnalazione scritta del tragitto e delle aree tariffarie.
A Berlino, codice della strada puntigliosamente rispettato, perfetto inglese, cortesia di circostanza ma ineccepibile.
A Dublino il tipo quasi si scusò per aver rivolto la parola a me e mia moglie. Il bello è che non si è mai permesso di guardarla o di rivolgersi direttamente a lei; passava sempre per il mio sguardo. Uomo di popolo, ma attento al suo ruolo istituzionale.
Nell'alto Egitto (che poi è nel sud, lo sapete) sono gli stessi tassisti ad autotutelarsi, limitando lo spazio ai furbi e agli illegali.
In Kenia i tassisti cattivelli vengono filtrati. A meno che uno non sia un imbecille, è pressoché impossibile farsi raggirare, perlomeno all'uscita dell'aeroporto.
A Lisbona il tassista ci ha portati in loco senza fiatare, guidando civilmente e depositandoci esattamente all'entrata del nostro settore. Ricevuta fiscale e sorriso sbiadito.
A Miami i quattro taxi che abbiamo preso si son comportati egregiamente, rilasciando ricevuta fiscale e abbassando la musica senza che noi lo chiedessimo.
A Toronto nessun problema di sorta. Tassisti discreti e attenti, osservano meticolosamente il codice della strada, tariffario rispettato e nessuna confidenza.
Vi dirò, a Creta ho incontrato l'unico tassinaro veramente cretino: guidava con le ginocchia, contromano in curva, a 130 km orari, agitando il telefonino e guardando dallo specchietto le scollature della mia signora e della sorella... sembrava di stare a Roma.

27 marzo 2007

la salvezza in un flash:
Barbados (4)

Mangiare in certi luoghi vacanzieri è sempre un rischio, a Barbados no. Costa veramente poco ed è di ottima qualità. Tenente conto poi che un dollaro barbados vale la metà di un dollaro statunitense, cui è "agganciato" secondo meccanismi borsistici che non vi sto a dire.
Ogni sera facevamo gli autentici signori, scegliendo tra i locali più in segnalati nelle guide o da persone del posto. Bisognava per forza prendere il taxi, ma anche in questo caso non ci sarebbero stati problemi: il governo ha imposto una cifra unica cui tutti i tassisti devono attenersi, 15 barbados dollars e passa la paura.
Il penultimo giorno abbiamo cenato nel ristorante più in tra i ristoranti più in di tutto il Centramerica. Trangugiando pesce fresco e tracannando vino californiano, abbiamo speso meno che in una pizzeria della periferia di Roma (75 euro in tutto, per la precisione).
D'un tratto, però, una fabbrica di acqua si abbatte sulla cittadina. Le isole oceaniche - si sa - soffrono di questi continui cambi di tempo; quel giorno le cose si erano messe veramente bene. Pioggia su pioggia su pioggia su pioggia su pioggia... che ci trafigge proprio quando dobbiamo tornare nel resort.
Sull'uscio del locale fa capolino un tipo che ci invita a prendere il suo taxi. Tempo due secondi e qualcosa non quadra: non ha l'identificativo sul tetto dell'auto, non ha la radio ricetrasmittente, non ha preso la (ormai) solita strada, e anziché parlare bajanlondinese strascica parole senza senso...
Mia moglie ed io ci guardiamo sconcertati. Io accorcio la mia gruccia telecospica e l'afferro come fosse una mazza, tiro fuori la macchina fotografica e taro il flash al massimo della potenza... roba che neanche Luke Skywalker di Guerre Stellari...
... la tensione sale alle stelle... la pioggia devasta la strada... lui guida come un assassino... penso a come difendere la mia bella... ci stiamo avvicinando a una magione poco illuminata...
... l'assassino si gira e pronuncia la sentenza: 15 barbados dollars, please!

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22 marzo 2007

dream of the turtles:
Barbados (3)

Dopo le onde, entriamo in acqua: la gita nella riserva naturale di Barbados è una delle esperienze più commoventi che mi sia mai capitata. Non so perché, ma ogni volta che ci penso, sorrido come se ricordassi un antico amico o un languore infantile.
Abbiamo avuto la fortuna di affittare il catamarano più bello e meno affollatto. Alla guida due bajan belli come il sole e simpatici quel tanto da rendere l'escursione rilassata e ricca di informazioni.
Arrivi al limitare di una calma spiaggia. Dopo le onde schiaffose del giorno prima, mai ci saremmo aspettati cotanta quiete. E all'improvviso vedi decine di macchie scure avvicinarsi a poppa, fare capolino, giocare con i nostri sguardi: enormi tartarughe hanno circondato il natante.
Appena ti tuffi dentro, non riesci a capire perfettamente cosa possano essere questi bestioni, tanta è la meraviglia e l'entusiasmo. Poi, quando inizi a star loro accanto, condividi totalmente quel vecchio adagio di Baudelaire: La natura è un tempio.
Proprio mentre ne fotografavo una, son stato spinto via violentemente da qualcosa. Pensavo fosse un turista cafone; invece era la madre di tutte le tartarughe, lunga almeno un metro e mezzo. Doveva nuotare e io le stavo intralciando la strada, ecchediamine... Le ho sfiorato il carapace: autentico velluto, setoso e sguisciante. E sotto aveva dei pesci pilota lunghi e sornioni.
Non abbiamo fatto in tempo a metabolizzare questo paradiso di sensazioni, che ci siamo spostati verso un altro lato della riserva per tuffarci di nuovo, tra alghe e pesci strani. Uno dei bajan lancia del cibo in acqua e nel giro di pochissimi secondi l'acqua comincia a ribollire. Sembrava una replica di Piranha paura di James Cameron. Migliaia di pesci ci hanno letteralmente circondato impedendoci di fatto di nuotare, di muoverci, di stare a galla. Ho provato a fotografarli, ma erano così vicini che ne ho ricavato poche immagini sfocate. Impossibile non toccarli, impossibile non pensare a chissà quali improvvise apparizioni di mostri marini. Un piacevole disagio, insomma.
Che dire? Quando siamo tornati al molo, dopo un'ora circa, mi son sentito perso, frastornato. In quelle acque avevo lasciato qualcosa: forse la fantasia, magari un po' di invidia.

21 marzo 2007

l'onda del mercoledì:
Barbados (2)

Ho un rapporto naturale con l'acqua e a detta di molti ho una confidenza con le regole del nuotare (e dello snorkling) che tanti impiegano lezioni per impararle. Evidentemente in un'altra vita ero un pesce.
Le onde poi mi affascinano terribilmente.
Ricordo quelle di Capo Verde: alte, potenti, quasi si fermano a mezz'aria, per poi schiantarsi nello spazio di pochi metri. Ne ho provata una sul mio collo che ancora me la ricordo: tale fu il botto e il mio fulmineo scomparire tra i flutti, che parte dei bagnanti si spaventò. Figuratevi la mia signora.
Qui a Barbados, invece, le onde son alte, ma lunghe. Hanno nella risacca una forza incredibile, che per fotografarle mi dovevo letteralmente mettere in ginocchio, per non perdere inquadratura ed equilibrio.
Onde che arrivavano fino agli ombrelloni, giocando spesso con sandali e periodici letti svogliatamente.
Onde che ho cavalcato in bilico sul mio ventre con il buggy board . Roba che se prendevo il punto giusto arrivavo fino alla reception; altrimenti venivo avvitato dentro un turbinìo di alghe e schiuma.
Onde che ho visto in azione nel nord dell'isola, dove l'Oceano ti ricorda che è lui il padrone e che tu non puoi far altro che rispettarlo e venerarlo.
Ci eravamo fermati nel punto più burrascoso dell'intera area. Intorno poca gente, ben lontana dalla risacca. C'era un ciuffo dimenticato di vegetazione verde. Ci abbiamo posato sopra la nostra sacca. Una bambina aveva il permesso di giocare, ma ancor più lontana dagli elementi.
Io vado con la mia macchina a immortalare un'onda alta tre metri; dalla parte opposta, la mia signora fissa tanta maraviglia con quel suo viso radioso che non troverete mai nell'Universo... un urlo disperato: la bambina è stata letteralmente presa per i piedi, rivoltata e poi rimessa in piedi da una timida onda "anomala". Il nostro zaino corre verso chissà dove, ghermito da quei pochi centimetri di lunga risacca. È rimasto miracolosamente intatto. Pure la bambina; anche se il giorno dopo si rifiuterà di nuotare tra le tartarughe.
Adoro le onde, adoro l'acqua. Magari quella bambina un po' meno.

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15 marzo 2007

una Londra nei Caraibi:
Barbados (1)

Diciamo che per arrivare a Barbados abbiamo passato una complicata giornata. Dovevamo partire da Miami il 30 dicembre sera, ma l'aereo ha ritardato prima 6 ore, poi si è definitivamente rotto. Risultato: la compagnia aerea ci ha regalato un hotel a due metri dalla pista, con limite risicatissimo di spesa per la cena e per la colazione.
Il volo è partito il giorno dopo, pieno di gente inquieta e stanca.
Siamo arrivati nell'isola (è solo una: per questo sbagliate a dire "le" Barbados) in ritardo per fare la spesa di fine anno, e ci siamo costretti a spendere una fortuna per una festicciola organizzata dal nostro albergo.
Tutto bello, per carità, ma tutto moooOooolto finto. Danzatrici e danzatori, ballerine e mangiatori di fuoco, uomini sulle pertiche e megagnocche dalla pelle setata. È stata la festa per il turista borghese e coloniale. Più che divertirmi, ho sparato decine di foto per ricordarmi che le assurdità della globalizzazione restituiscono anche queste contraddizioni.
Ma quello che mi ha colpito di più son stati i miei preconcetti: credevo di atterrare dentro un inferno di neri sporchi e disadattati, di povertà palese, di fogne a cielo aperto come quelle che avevo visto 15 anni fa nel Rio Solimoes, in Brasile.
Invece, Barbados è ricca, benestante, civilissima, dignitosamente black. La popolazione è estremamente pulita, laboriosa, attenta alle piccole cose. Sembra di stare in Inghilterra. Tenendo conto che son stati dominati dagli inglesi dal 1600 fino a poco tempo fa, il paragone calza a pennello.
Il paradosso è che non sono mai esistiti barbadosiani (meglio dire bajan), l'isola era disabitata: son stati gli inglesi ad inventare una "razza" del posto, deportando centinaia di centrafricani. E i bajan di oggi sentono l'isola come casa propria: bianchi, neri o beige che siano, quella è la loro terra.
La sanità è gratuita, l'istruzione pure, fino al primo anno di università. I controlli ferrei e la legge ben applicata. Il turismo è sacro, anche se in alcuni momenti si viene trattati con spocchia e sufficienza. Gli uomini son belli e perfetti; le donne cicciottelle, ma senza cellulite. Vige l'idea che le donne devono essere prosperose e capienti. Niente taglia 40.
I costi sono veramente contenuti, perlomeno per il turista sveglio. Consiglio due gite, peraltro quasi obbligate: la prima consiste nel girare lungo tutto l'isola con un comodo pullmino. Barbados è lunga 35 km e larga 20; in una giornata l'accarezzate tutta. Ci son dei luoghi in cui le onde... ma questa è un'altra storia.
La seconda gita consiste nell'affittare un catamarano e visitare la riserva faunistica: tartarughe enormi e pesci a iosa. Ne parleremo poi.


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