La storia di queste pagine non è la descrizione di un viaggio, ma di me nel viaggio. È la narrazione di vita quotidiana, piccoli avvenimenti, piccole cose. Non ci sono lezioni per il mondo o rivelazioni per scuotere gli uomini. È piena di cose banali, a volte anche noiose: ma parto affezionato alla mia barca per l'ampio respiro degli spazi aperti, per il gusto del vento impetuoso, la luce del sole, la speranza di tornare, se non migliore, almeno più utile
[...]
Tornerò avendo vissuto in un anno molte vite spirituali, non risparmiando mai le forze: spero solo, e con tutto il cuore, di ritornare vittorioso su me stesso, all'alba del mio nuovo mondo
12 dicembre 2024
400 GIORNI INTORNO AL MONDO di Ambrogio Fogar (TEA)
17 ottobre 2024
IL CUORE SELVAGGIO DELLA NATURA di David Quammen
Ci sono ancora grandi paesaggi e grandi possibilità in tutto il mondo. Il cuore selvaggio della natura è intrinseco all'estensione, alla connessione, alla diversità e ai processi dei grandi ecosistemi. Finché noi esseri umani riconosceremo questa realtà, la rispetteremo e ci sforzeremo di preservare quegli elementi tramite iniziative appassionate e sagge come quelle che ho descritto nel libro, in mezzo a luoghi magnifici che comprendono quelli ritratti in queste pagine ma anche altri, il cuore continuerà a battere
11 ottobre 2023
UN MONDO SENZA CONFINI di William Atkins (Adelphi)
31 agosto 2023
I VIOLINI DI SAINT-JACQUES di Patrick Leigh Fermor (Adelphi)
Però questo è un romanzo, e i romanzi vanno scritti in maniera diversa.
Capisco la scelta di Adelphi di pubblicare la strenna completa dei suoi scritti, ma questo non è all'altezza del suo trittico o di Mani o di Rumelia.
Solo le ultime venti pagine prendono il lettore per il bavero e lo sbattono al muro, rubandogli l'anima e lo sguardo. Ma non so se consigliarvelo spassionatamente.
Per cui: se amate Fermor senza requie, comprate questo libro. Se non lo conoscete, iniziate, invece, con Mani o col trittico.
27 luglio 2023
È USCITO IL MIO NUOVO ROMANZO
Il 25 luglio scorso ho autopubblicato il mio nuovo romanzo (il terzo, quello più sentito), ghiaccio del mio respiro, di cui qui di seguito vi riporto la terza di copertina.
“Mi chiamo Andonis e sto per morire”. Iniziare il primo capitolo con la fine di una trama, non è buona cosa. Ma è complicato riassumere in poche righe le vicende di un giovane cretese che vivrà una storia epica.
Povero,
accudito con amore da due zii, opposti per indole e carattere, Andonis assapora
un’adolescenza di quelle che tutti vorremmo vivere: costruendo castelli
immaginari, insieme all’amico che tutti vorremmo avere; amando una ragazza
ideale, che tutti gli amanti ideali vorrebbero incontrare.
Finché,
un bel giorno, il destino gli impone di scappare da Creta, ovviamente su una
nave (lui, che soffre il mal di mare), ovviamente solcando il mare (lui, che
odia l’acqua salata). E già in questa occasione ha modo di assaggiare il gusto
delle piccole e grandi scoperte, dove tutto è unico, dove tutto va divorato,
dove tutto va raccontato.
A Londra,
Andonis conosce la sua vera destinazione: la Terra Nova, la nave di
Scott, il Capitano Scott, l’esploratore britannico che di lì a poco salperà
verso il Polo Sud, per conquistarlo prima di tutti gli esseri viventi, in
compagnia di un pugno di uomini fidati. E Scott vuole con sé anche Andonis,
perché quel suo vivere la meraviglia in maniera così semplice e autentica
sarà per tutti riferimento e conforto, sprone e passione.
Arriveranno
in mezzo ai ghiacci, isolati dal resto del mondo, costretti ad adattarsi
costantemente alle rigidità del Deserto Bianco: l’Antartico è (era) ancora
padrone di se stesso, e solo pochi folli possono immaginare di attraversarlo.
Anche qui, Andonis respira ogni evento con quell’entusiasmo incosciente, tipico
di un’età che non dovrebbe mai spegnersi.
Ma,
come recita la Storia ufficiale, le cose non andranno per il verso giusto:
Scott arriverà secondo alla mèta e morirà sulla strada del ritorno, a soli 17
chilometri dalla postazione di soccorso più vicina. Per Andonis la parola
“fine” dura pochi attimi, perché prima di morire vorrà raccontare la sua
versione di quella sconfitta così amara, con quel suo modo ingenuo e forse
romantico di trasformare una disfatta in una bellissima avventura.
Più che un romanzo di formazione, questa è
una storia che l’autore avrebbe voluto vivere in prima persona.
Della documentazione indicata nella
bibliografia (oltre ai diari dello stesso Scott, i meravigliosi testi di
Patrick Leigh Fermor), ha cercato di raccontare le emozioni che ne scaturivano,
non i fatterelli nudi e crudi.
Emozioni che iniziano tutte da una lettura giovanile, quando Alessandro Loppi, a soli 12 anni intravide nella biblioteca di casa un libro rilegato che raccontava le gesta degli “Eroi polari”.
Se vi ho convinti, cliccate qui e buona lettura
03 gennaio 2022
L'ANIMA DELLE CITTÀ di Jan Brokken (Iperborea)
Un altro viaggio nei viaggi, tra città e quartieri e penombre, dove la Storia e le storie si incrociano e si raccontano, senza soluzione di continuità.
Ancora una volta, Brokken si dimostra scrittore dolce e attento, pieno di grazia e di passione, capace di coinvolgere anche il lettore più distratto, con una scrittura precisa, nitida, senza sbavature o protagonismi, ma ricca di languori ed entusiasmo.
Dalla Amsterdam di Mahler alla Parigi di Satie, dalla Bologna di Morandi alla Cagliari di mamma Calvino, dalla San Pietroburgo di Šostakovič alla Vilnius di Čiurlionis, è un continuo viaggio proustiano dentro l'anima dell'Europa più autentica, dove ogni memoria ha i colori del bianco e seppia sbiadito, così evocativo quanto eterno.
Se nelle splendide opere precedenti sussisteva un filo conduttore che manteneva ben salda la struttura dell'insieme, qui siamo di fronte a una dichiarata collazione di racconti commissionati in vari momenti; e quindi l'amalgama regge perché Brokken sa come dirigere l'orchestra dei lettori e come accompagnarli dentro le note più sospese.
Ci sono dei momenti in cui l'autore partecipa con evidente slancio, come altri in cui è "solo" un semplice ma attento testimone; nell'insieme, non raggiunge le vette di Anime Baltiche, ma è una leggerissima spanna sotto.
Iniziare il 2022 con una lettura così, apre la mente e addolcisce il cuore. Mi meraviglia solo che uno scrittore così potente ed evocativo occupi le solite nicchie piuttosto che una bella poltrona al centro dei più frequentati salotti letterari.
17 settembre 2021
RUMELIA di Patrick Leigh Fermor (Adelphi)
Però questo Rumelia è magico, forse più di Mani, sicuramente più del quasi trittico che ha reso il compianto Paddy un'icona di questi libri di viaggi (che poi è quasi riduttivo catalogarli così).
La Rumelia è quella parte della Grecia del Nord che va dal Bosforo all’Adriatico e dalla Macedonia al golfo di Corinto. Conserva nel suo cuore uno spirito duttile ma antico, in cui convergono tradizioni ataviche e tradizioni assimilate. Forse dovrei scrivere "conservava", visto che lo stesso Fermor è consapevole di quanto sia flebile la luce che lo accompagna dentro questo territorio così saporito e denso di cose da assorbire.
Il suo viaggiare per caso ci porta tra pastori, nomadi e monasteri, o all'inseguimento di un paio di scarpe appartenute a Byron, o dentro le ormai turisticizzate meteore, o fino alla magia di Creta.
Quella di Fermor non è solo una letteratura di viaggio, ma un compendio di digressioni, di considerazioni, di racconti di racconti di racconti, di volti levigati e di donne colorate, di boschi senza confini e di terra aspra e sassosa.
Ci si perde e ci si ritrova, seduti in penombra ad assaporare spezie e yogurt e carne e alcol e voci e suoni, dentro il mistero di una cultura senza tempo, divorando il libro fino alla fine, sperando che non finisca mai.
02 settembre 2020
PER ANTICHE STRADE di Mathijs Deen
Così recita la presentazione di questo buon libro edito dall'elegante Iperborea. Libro che ha dei momenti molto godibili e altri purtroppo troppo morbidi.
Finché, cioè, l'autore usa il suo amore per la meraviglia e la sua competenza storica per avvicinarci al mistero di queste strade così antiche, la lettura scorre, diverte e arricchisce. Quando, invece, forza la mano alla ricerca di un punto di riferimento che legittimi la scelta di un episodio, la distrazione vince sulla curiosità, e le pagine scorrono via pigramente.
Mi dispiace scrivere un giudizio così netto, anche perché i capitoli belli sono veramente belli, di quelli che rileggerò tra qualche settimana per lasciarmeli bene impressi nella memoria.
In più, la casa editrice è tra le mie preferite, per grafica, tessuto culturale e scelte editoriali. E quindi vi consiglio comunque di acquistarlo: 18 euro non mi sembrano un dramma economico.
I capitoli che porto nel cuore: Il calderone di Obelix, Il brigante, Il coscritto Coenraad Nell.
Se poi vi siete fatti un'altra opinione, parliamone.
27 novembre 2016
cercando la Cuba che è in noi
Avevamo appena terminato di pedalare per oltre 300 chilometri, lungo tutto il nord dell'isola, incontrando un mondo che neanche il migliore Hemingway avrebbe mai saputo raccontare... oddio, forse le mani piene di dita de Il vecchio e il mare conservano gelosamente sotto la pelle arrugginita quell'idea di Cuba che mi porto addosso da sempre ma che non so interpretare.
Un'idea romantica, forse inesistente, sicuramente non isterica e opportunista alla Yoani Sánchez, o - viceversa - retorica e zeccosa di quelli che inneggiavano a Cuba Libre senza ricordare che quella castrista è stata una feroce e sanguinosa dittatura.
Però: girare dentro quel mondo, partendo dal basso - quello "vero" - incontrando volti e realtà che neanche il turista meno plastificato riuscirebbe a incontrare... quei volti pieni di grazia e di fierezza, ma anche colmi di un'oscurità che si respirava anche nell'aria, dentro quegli occhi pieni di domande, come fossimo dentro uno zoo... noi gli animali, però.
Il gruppo aveva deciso di prendersi una mezza giornata di riposo ai bordi di una piscina senz'acqua, di un albergo ex glorioso, ma in quell'oggi con gli ascensori guasti e le stanze consunte da cui uscivano insetti apocalittici. Una giornata di riposo, ma non per me.
Decisi di seguire il Malecón fino a dove sarei potuto arrivare, quella lunghissima arteria stradale con meno buche di Roma, che accarezza l'Oceano, da dove leggenda vuole che nei giorni limpidi si possa vedere distante Miami ma vicinissima la libertà americana. Basta un barcone, una chiatta, e puoi rincorrere il benessere senza tanti sforzi.
Armato di una reflex digitale e di un pacchetto di sigarettini cubani alla crema, cominciai a mischiarmi dentro la quotidianità della gente. Vestito da turista lo ero, per carità. Ma dovevo avere una faccia così affamata di tutto, che quasi passavo inosservato: ero troppo oltre ogni standard turistico.
E, come ti sbagli, incontrai il parente di un parente di un parente di Bologna che mi chiese soldi e ospitalità in Italia; notoriamente, a Bologna è pieno di parenti cubani... poi mi fermò una prostituta più giovane di mia nipote: due occhi verdi che avrebbero imprigionato persino Ulisse... alla fine arrivai nella piazza antistante l'ambasciata USA, dove strozzavano il vento del persempre delle triangolari bandiere cubane dedicate ai caduti della primissima ora. Anziché di nero, come recita Google, erano listate con i colori cubani, perché quello era l'anno del cinquantenario. Ogni pilone porta con sé nomi evocativi: da Marx ad Engels, passando per gli eroi più o meno locali.
E poi mi si avvicina un vecchio, i cui denti erano ormai dispersi, sparpagliati durante qualche rissa di lustri fa. Biascicò qualcosa che il mio finto spagnolo non poteva certo comprendere. Gli offrii un sigaretto, anzi due. Mi sorrise e si chinò leggermente: da ora in poi saremmo stati fratelli... e mi fece fotografare di tutto: amici pescatori, case catapecchiose, strade oscure, realtà misteriose, occhi, volti e racconti... avevo Cuba ai miei piedi. Tornai in albergo dopo un'ora, con la memoria colma di storie. Ciao ciao, Hemingway!
La sera stessa, Raul Castro fece il suo discorso commemorativo. Restai ammaliato davanti al televisore, pensando alla mia Cuba inesistente, alla Rivoluzione eterna, Eterna Rivoluzione Insanguinata.
E forse proprio in quel momento, rimembrando da lontano il volto di quel vecchio - con il sottofondo delle parole di Raul, compresi cosa fosse la mia Cuba e quale invece poteva essere la realtà. Ma non riuscivo a scriverla, a raccontarla, a darle un senso.
Otto anni dopo, magari nove, cioè ieri, ho trovato forse una risposta.
Appena saputo della morte di Fidel, ho posto una domanda 2.0 dentro una chat d'ufficio (in cui sicuramente si parla di cose più sensate): che differenza c'è tra come vivono i cubani e come viviamo noi? Solo nelle "cose" possedute o anche nella libertà? Per carità, noi siamo "liberi"... però: da cosa? E come?
Lo so, sono domande stupide, apparentemente da irritantissima zecca che non ha il minimo rapporto con la realtà. Una collega ha risposto così
Le "cose" che abbiamo sono spesso la scusa migliore per arrendersi alla libertà surrogata. Lavoriamo per conquistarci alibi che presupporrebbero un coraggio superiore. La libertà ha un prezzo altissimo da pagare. Quella vera non è uno stile di vita, è una conquista. E parlo principalmente a nome mio che ho scelto liberamente come gestire il tempo e il lavoro e dietro a questa scelta nascondo paure più grandi. A volte semplicemente si sceglie di non essere completamente liberi perché certe regole, certi spazi confortano paure più grandi. Non so se è questo che intendevi, però ecco, per me è così.Hasta la victoria. Siempre...
20 dicembre 2014
una mia Cuba
Non sono mai stato così comunista da immaginarmi quel tipo di comunismo tanto ambito da Che Guevara e tanto temuto da Fidel Castro.
Ma, soprattutto, quando viaggio non porto con me nessuna aspettativa, ma un filtro di enfasi predigerita che mi porta a vedere tutto dagli occhi di un ebete sognatore piuttosto che di un patetico chtawiniano borghese.
Eppure, io di Cuba ho dei ricordi densi, tondi, lunghi come lunga fu la lunga vacanza che ci passai a cavallo di una festività natalizia come questa, con una temperatura marzolina che ancora non ha tarato il proprio orologio emotivo.
Di Cuba ricordo il milione di pipistrelli che ci passò sopra la testa ma che non vedemmo quasi per nulla, considerato che erano piccoli piccoli piccoli così.
Di Cuba ricordo la piscina sperduta nel nulla, con l'acqua alta un metro e che io credevo più profonda tanto da sbattere le ginocchia del giusto, senza rischiare la paralisi ma portando con me il terrore che sarebbe potuto accadere il peggio.
Di Cuba ricordo gli insetti che ci rimbalzavano sul materasso di notte: io avrei pure dormito se non fosse per il fatto che la mia piccola principessa teme anche l'idea stessa di un insetto, figuriamoci uno vero che ti cammina addosso.
Di Cuba ricordo un immenso ragno fermo in mezzo alla strada, che la mia piccola signora vide per prima reputandolo morto, ma che appena fu fotografato dal sottoscritto, decise di muoversi da quell'atelier improvvisato fatto di asfalto dozzinale.
Di Cuba ricordo i bambini dei villaggi sperduti. Ai primissimi che incontrai, regalai uno dei numerosi pacchetti di tic-tac preventivamente acquistati proprio per questa evenienza. Al villaggio successivo, gli altri bimbi già sapevano tutto e me ne chiesero in abbondanza. In un paese con pochissimi telefoni e una manciata di cellulari, mi chiedo ancora come abbiano fatto a passarsi parola.
Di Cuba ricordo il mare, trasparente e operaio: pieno di mangrovie e di celeste, lontano lontano una barca che sembrava quella di Spencer Tracy di ritorno dalla pesca.
Di Cuba ricordo la vecchietta fiera ed orgogliosa del saper computare perfettamente la tessere mensile.
Di Cuba ricordo le tracce del Che, come fossero state lasciate pochi minuti prima... de tu querida presiencia, Comandante che non abbiamo mai incontrato.
Di Cuba ricordo un paesino sperduto, assediato da un fiume e con un ponte lungo così, in lontananza alcune scimmie sugli alberi e davanti a me un lungo palazzo tipo Corviale in cui non abitava nessuno... ottimo come location per un film distopico.
Di Cuba ricordo un lago usato per la gita fuori porta, un lago circondato da un bosco e con una cascata alta poco più di un metro. Intorno, esuli cubani e gente comune, tutti insieme a ridere e a bere, immersi nei propri dignitosissimi vestiti senza tante velleità.
Di Cuba ricordo un bellissimo bimbo di L'Avana. Lo fotografai e poi gli allungai qualche spiccio. La mamma si offese. Giustamente: il mio fu un gesto di rara cafoneria.
Di Cuba ricordo un vecchio che mi accompagnò lungo tutto il Malecon: l'avevo conquistato con sigaro che gli avevo offerto senza alcun fine elemosinante. Per lui era oro, e io un amico per la pelle. Ho fatto più foto belle in quell'occasione che in tutto il resto della mia vita.
Di Cuba ricordo le bandiere davanti l'ambasciata americana. Era il cinquantenario della Rivoluzione: invece di essere solitamente nere - a significare uno dei tanti lutti di martiri senza tempo, erano le bandiere di Cuba, le bandiere di un'idea.
Di Cuba ricordo profumi, colori, odori, strade e alberi, uccelli e mare, salite e persone. Tante persone.
Di Cuba ricordo tante cose. Ma sono mie, solo mie. Non saprei dire se siano accadute oppure no. Però mi piace pensarlo.
08 novembre 2014
#Interstellar, ode alla #scienza accompagnati dall'umanità
Il rischio è che questa sospensione abbia a che vedere con la qualità del film: però io sento profondamente che mi è piaciuto, anche se (per indole e per necessità) non me la sento di dire che deve piacere o che è bello.
Sicuramente è la dimostrazione che si può fare fantascienza anche senza spocchiose sovrastrutture tipicamente e polverosamente europee. Anzi, la forza della storia sta nel suo essere comunque lineare e potenzialmente ricca di tante letture e opportunità.
Certo, ci sono alcuni momenti in cui la sceneggiatura scricchiola (e di brutto pure, come nel cameo di Matt Damon), altri in cui si indugia troppo in dialoghi semplici ma proposti in maniera seriosa (qui, però, mi appello al canonico - pessimo - doppiaggio): però la storia ha un qualcosa che mi ha deliziosamente turbato.
Frettoloso chi crede a un riferimento a 2001. Per vari motivi: primo, quella di Kubrick è un'esperienza irripetibile (tutti i film lo sono); secondo, Kubrick rincorreva un'opportunità altra, qui si torna dentro se stessi; terzo, Kubrick era ebreo e europeo, quindi due volte pregno di sovrastrutture... insomma, i due fratelli Nolan hanno lavorato trascurando Kubrick, o comunque salutandolo con riferimenti addirittura ironici: il robot, guarda caso, sembra un monolito; non si ascoltano i suoni nello spazio (è così, mi spiace per gli amici trekkiani e lucasiani); la pertinenza delle leggi della Fisica che governano una trama che ad un certo punto vira verso una incredibile possibilità; il giocare con certi nomi (il più evidente è quello di Amelia, chiaramente ispirato alla Earhart).
Io ne consiglio una visione senza aspettative; una visione "paziente", se vogliamo. Consiglio anche di non porvi domande e di lasciarvi cullare dalla mirabolante musica di Hans Zimmer (quasi sempre proposta con un "semplice" organo), dalla fotografia e dai continui colpi di scena che ti tengono inchiodato sulla sedia dall'inizio alla fine. Consiglio di seguire bene certi "spiegoni" scientifici presentati amabilmente da momenti di ottima sceneggiatura.
Se poi non vi piace, sono sicuro che salverete tutte le scene tra Cooper e la figlia (lacrimotti garantiti), quelle spaziali più movimentate, quelle sul pianeta d'acqua...
Da qui in giù, rischiate lo SPOILER, ve lo dico subito.
Una delle determinanti protagoniste di questo film è la scienza. Attenzione, non una scienza "dal volto umano" o una scienza fredda e cinica. La scienza, punto.
Eppure, il momento nodale del film coinvolge una libreria, non certo un petulante iPad. Eppure, la chiave di volta della soluzione finale è un orologio a lancette, rotto peraltro, che comunica con un linguaggio ormai desueto (quello morse, mica un whatsapp).
Però, nel contempo Cooper contesta l'ottusità complottistica della professoressa della figlia, difendendo sia la spedizione sulla Luna del 1969 che la scienza dei tempi migliori, che avrebbe scongiurato la morte della moglie.
Anzi, il nostro eroe le dimostra come la loro visione antropocentrica abbia cancellato l'idea stessa del viaggio, del rischio, del migliorare se stessi e l'umanità, dell'anelare verso "strani, nuovi mondi, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima".
Ed è una scienza che comunque riesce a sopraffare persino l'amore (che in questo tipo di film quasi sempre vince alla grande): Cooper impone la scelta del pianeta ben diverso da quello proposto da Amelia, dove invece abitava il suo fidanzato, presumibilmente ancora vivo.
Addirittura, l'amore "perde" una seconda volta perché Cooper non riesce a sconfiggere la scienza che gli impedisce di rimettere a posto il passato. E sarebbe stato sciocco il contrario.
Poi, fateci caso, è l'uomo ad aver causato la "piaga" che sta annientando l'umanità; e la scienza non riesce a sconfiggerla in maniera diretta.
Ed è sempre la scienza che costringe i nostri eroi a perdersi nel tempo, e che quantità di tempo!, e a inventare sempre nuove soluzioni pur di uscire da quell'esplorazione ormai data per persa.
Insomma, i due Nolan hanno un grandissimo rispetto per la scienza, e le restituiscono la giusta dignità, il giusto equilibrio.
Certo è che in due momenti è come se il fattore umano sembra prendere il sopravvento. In realtà, però, quando Cooper si butta dentro il buco nero ne conferma scientificamente la sua totale pericolosità, perché ormai gli è risultato impossibile raggiungere ogni forma di soluzione razionale. Appunto, è con la forza della disperazione che affronta la legge finale, quella che ci dice che oltre il buco nero non c'è più nulla.
Altrettanto in realtà, Murph indugia a restare nel suo nido d'infanzia convinta che troverà una soluzione per far tornare il padre, ma sarà la scienza (dell'impossibile) a fornirle la chiave del tutto.
Sono speculazioni, lo so, che si basano solo su quanto si vede nel film, e non su quello che credo di aver visto.
Forse ci ritornerò, forse no: però, se vi va, andate a vederlo, e poi mi scrivete.
17 agosto 2013
Loira, ultima tappa
Le immagini si ammucchiano dentro la Memoria con la stessa serena rapidità con cui le hai intraviste durante il pedalare, e già non ricordi più se quel cameriere ti aveva servito a Orléans o a Amboise, se quel Castello stava dietro quel lago o accanto quell'albero antico.
Arrivando inesorabilmente dentro Saumur, mi è venuta già voglia di sventrare la macchina fotografica e carpirle le intime sensazioni provate mentre scattavo ogni singola foto.
Come diceva Brian Eno, "le fotografie sono vacanze predigerite", e io non vedo l'ora di ricordare quei due capoccioni di Alberto e Silvia che per tutto il viaggio hanno sempre indicato percorsi diversi, sbagliandoli vicendevolmente con rara scienza certosina; oppure Sara, che ha la somma pazienza di sopportare l'esuberanza genuina del suo piccolo grande uomo; oppure Alberto, sempre generoso ed entusiasta, che senza Sara sarebbe perduto ben più di quanto non sembri.
Oppure Silvia, la mia unica ragione di vita che ha trovato in questo modo di viaggiare una delle formule migliori per stanare la mia inquietudine e morderla sul collo come merita.
15 agosto 2013
Loira, 5 tappa: Tours>Chinon
Vuoi perché - a parte un tour dentro Tours (erano 47 anni che volevo scriverlo) - abbiamo vissuto momenti tutti importanti, tutti divertenti e tutti senza bisogno di una guida tra le scatole.
Prima, un lungo giro intorno a Tours perché non trovavamo la strada; poi, un viaggio radente al limitare di un campo rom; poi, un pic-nic circondati da volti civili e amici; poi, una birra in compagnia di un cagnetto al balcone; poi, una variante verso il Castello della Bella Addormentata, ma che non era quello, ma il successivo; poi, una splendida vista del fiume Cher con tanti pesci gatto e un tandem di neozelandesi che stratrainavano due figlietti paraculi che facevano finta di pedalare; poi, di nuovo alla ricerca della strada giusta, girando in tondo come pecorelle smarrite; poi, la vista romantica del Castello della Bella Addormentata; poi, una salita sdrumamenischi; infine, la vista della Fortezza di Chinon, che si sviluppa fino all'orizzonte.
Certo, siamo partiti tardi perché Alberto voleva andare a messa; e noi ad aspettarlo fuori, prendendo il caffè in compagnia di Gandalf e di Nina Simone
... ma, come si sa, questa è la terra dell'antico adagio "pedalare con amici val bene una messa"... o forse era un po' diverso. Chissà...
14 agosto 2013
Loira, 4 tappa: Amboise>Tours
Ora, perché i francesi mettano l'aglio ovunque, è un mistero; perché mettano i trattini nei nomi delle loro città, è quasi irritante; ma perché si approprino di geni nostri, fa doppiamente incazzare. Fatto sta che il tutto è molto bello, e merita una visita.
Il Castello di Amboise l'abbiamo saltato perché ci sta venendo la castellite acuta; ma ci dicono che in fondo è bello soprattutto fuori.
Dopodiché, abbiamo percorso la lunga e variegata strada fino al Castello di Chenonceau.
Ad un bel punto, durante una tosta salitona, Alberto ha provato a gareggiare con un tipo belgioso che però si è rivelato più tosto. Ma subito dopo ha forato... se sia stata una vendetta del nostro gigantone, non lo so; certo è che prima l'abbiamo snobbato; poi l'abbiamo soccorso, contribuendo in maniera determinante alla totale foratura della sua già provata bicicletta... il mistero s'infittisce se pensiamo che la sua bici aveva un passeggino vuoto. Che fine abbia fatto il bimbo, resterà un mistero.
Il Castello di Chenonceau è molto bello e suggestivo (si appoggia sul fiume Cher, parente della cantante), ma i visitatori sono tra i più stupidi del pianeta: s'imbambolano di fronte al nulla, bloccando pervicacemente il passaggio a chi ha fame di cose belle.
Fatto sta che il fiume è navigabile, e ho intravisto maschi villosi remare stremantemente lungo le rive del fiume per ricavare, immagino, la trombata serale di rito. Bah...
Dopodiché ricca pedalata lungo una sterrata spaccaculo che non finiva più. Il tempo di elencare smadonnamenti da dispersi disperati, che, all'altezza di un paese anonimo dal nome invogliante (la Città delle Dame), un'improbabile esseroncina si staglia al nostro orizzonte per darci un'indicazione sensata dopo tanto inutile e sculevole pedalare.
Sembrava la figlia del pupazzo di JigSaw, con un alito ai limiti delle leggi di chimica, e tre denti che portavano segni evidenti di mozzicamenti autoinferti.
In più, ha fatto la gaia voluttuosa con Alberto, e a me ha invece toccato il pancino. Brrrrrr...
Insomma, e alla fine, ci ha portati al limitare di Tours.
Sicuramente, questa notte io ed Alberto non dormiremo: lui innamorato, io terrorizzato.
13 agosto 2013
Loira, 3 tappa: Blois>Amboise
Il tragitto si disperde tra boschi e campi sempre silenziosi e ridenti: non c'è, insomma, quel tenebro fascino che si respirava in Austria.
Sfiorato il maniero di Le Plessis, ci siamo schiantati in un pic-nic con baguette, formaggio di capra e prosciutto pieno di grasso. Accanto a noi, in fondo al parchetto, la sferica moglie di un troglodita si spiaccicava sull'erba in attesa che il marito la colpisse prima con la clava per poi possederla gutturando incomprensibili fonemi preistorici.
Dopodiché abbiamo pedalato quel poco che basta per parcheggiare a ridosso del Castello di Chaumont-sur-Loire. Molto bello fuori, inutilmente pretenzioso dentro. Sicuramente le scuderie sono la ciliegina sulla torta, insieme a tutta la parte botanica.
Salite poco impervie mi hanno costretto a scendere un paio di volte. Qui il saggio e buon Alberto mi ha spiegato una parte dell'uso delle marce che io non conoscevo, perché la mia è da città, e certo non regala trucchi e leggi di fisica.
Incredibile la faccenda: più riduci il rapporto di quella davanti e più è facile affrontare le salite aumentando quella di dietro.
Siamo ad Amboise, un altro gioiello francese. Dico io: se noi tenessimo alle nostre cose come loro fanno con le loro, vivremmo solo di turismo.
Dimenticavo: come noto, la mia Silvia canta molto bene, ma ancora non ci ha regalato la grazia della sua voce.
12 agosto 2013
Loira, 2 tappa: St-Dyé-sur-Loire>Blois
La prima, il Castello di Chambord. Maestoso, vasto, appetitoso, ricco di cose da vedere e rivedere. Pare una Reggia di Caserta, ma assai più succosa e ben tenuta.
Dopo un tragitto pieno di campi, foreste e cittadine minuscole, abbiamo sfiorato l'entrata del Castello di Villesavin (noto per i suoi fantasmi) per poi mangiare ottimo cibo locale da una rotondetta francesina in quel della vicina brasserie.
E quindi ricca pedalata fino al Castello di Cheverny, i cui proprietari hanno tirato su un'impresa niente male. Insomma, è come se rendeste visitabile casa vostra, cesso compreso. Ma che casa e che cesso.
Immensa e faticosa pedalata fino all'entrata del Castello di Bauregarde. Troppo stanchi, però, abbiamo preferito mangiare delle gustose gallette seccagola che creano arsura al solo immaginarle.
Come faccia Alberto a essere così sereno e sorridente, resta un mistero. Fatto sta che ha la rara capacità di trasmettere giocosa serenità.
Arrivare a Blois è un incanto: l'entrata è decisamente suggestiva e meriterebbe una visita più accurata.
Pazienza, però: le gite in bicicletta hanno questo scotto da pagare; accarezzi le cose belle per poi riviverne subito di nuove.
11 agosto 2013
Loira, 1 tappa: Orléans>St-Dyé-sur-Loire
Di lì, arrivare poi a Meung-sur-Loire è uno scherzo. Il mercatino è così così, ma molto ordinato e pulito. La cittadina è deliziosa, ma il castello costa troppo, e sembra che alla fine il meglio sia quello che avrete già visto da fuori.
Non mangiate sul localino che si vede sulla sinistra appena entrati in paese; non è nulla di eccezionale, e vi spella vivi.
Nel mercatino, invece, c'è dell'ottima frutta. Sara ha acquistato albicocche e ciliegie da un signore truffautiano con le mani piene di dita.
La ciclabile si sviluppa poi dolcemente sino a Beaugency, nota per il lungo ponte che la unisce all'altra riva. Leggenda vuole che fu costruito da un forestiero che però in cambio voleva l'anima del primo che l'avrebbe attraversato. Gli abitanti fecero passare per primo un gatto, e il tipo la prese in saccoccia.
Il posto è notevole, ma le auto sono stranamente ovunque, mentre di gatti non v'è traccia.
Qui Alberto ha perso i suoi superguanti da bici. Sono... erano belli. Qualche abitante se li sarà fregati per vendicare Zidane.
Per arrivare a destinazione abbiamo percorso un bellissimo tratto costeggiando la Loira e una centrale nucleare. Spettrale e affascinante al tempo stesso, è circondata da natura rigogliosa e silente. Un cartello avverte che chi passa lì vicino lo fa a proprio rischio. Eppure, proprio lì abbiamo divorato la frutta di Sara; buona, decisamente buona.
Ora siamo in un albergo di altri tempi. Una signora ci ha accolti con un fare a metà tra un personaggio di Haneke e uno di Tavernier. Confido conosca solo il secondo.
10 agosto 2013
Loira, preludio: Parigi
Dimenticavo: sono appena caduto da fermo mentre mi sedevo in un vagone della metro.
Metro che mantiene costante quell'odore di detersivo dozzinale... metro che trovi ad ogni angolo della strada... metro che accoglie cantori, poeti e musicisti...
Parigi che sono 14 anni che non vedevo, ma lei non se n'è curata.
Stasera si arriva a Orleans, Ingrid Begman compresa.... spero.
25 luglio 2013
consigli per i vostri #viaggi: evitare il Podere Santa Croce
Ma in questo caso, è utile affidarsi al potere del web per scoraggiare e isolare certi personaggi.
E alcuni dettagli neutri vi aiuteranno a capire.
Per iniziare, quindi, date un'occhiata a questo link.
Notate qualcosa di strano, vero?
Ora, date un'occhiata a questo link.
Ebbene, le due cose non corrispondono.
Nella sua totale malafede, il proprietario ha tolto dal proprio sito ufficiale il link diretto a TripAdvisor per metterci al suo posto un furbo screenshot delle sole recensioni positive.
Càpita spesso che certi B+B lo facciano, specie - spiace dirlo - quelli del Sud d'Italia.
Il perché è ovvio: su TripAdvisor finiscono recensioni verificabili, specie dopo le ultime terrificanti polemiche che ne avevano messo in dubbio la credibilità.
In più, TripAdvisor è un sistema che vanta numerosi tentativi di imitazione ma che comunque riscontra sempre grande attenzione anche all'estero.
Fatto sta che il Podere Santa Croce si presenta bellino, quasi simpatico.
Certo, ti presentano il caffè con la macchinetta, la piscina è stracolma di insetti (un qualsiasi giardiniere saprebbe impiantare barriere ecologiche acconce), la stradina per arrivarci è dissestata, la reception lascia un po' a desiderare, la stanza puzzava di muffa, l'acqua costava troppo e il cibo era affaticato da troppe spezie... ma uno ci passa sopra, perché un B+B non dev'essere l'Hilton.
E poi sia mia moglie che io abbiamo dormito in posti decisamente più scomodi e in contesti veramente avventurosi.
Ma ora guardate questa foto
Questo è il collo di mia moglie, il giorno successivo una notte decisamente insonne.
Cosa è accaduto?
Semplice: ha subito 53 punture di pappataci. Dentro la stanza da letto.
Prevengo una facile battuta. Perché io ne sono uscito illeso? Perché faccio uso di farmaci.
Prevengo anche la seconda domanda, sicuramente ingenua. I pappataci sono bestiacce, e quindi? E quindi sono come i topi o gli scarafaggi: in natura ci sono, ma non negli ambienti puliti, soleggiati e curati.
In sostanza, se un ambiente chiuso ospita pappataci, che quasi non volano e tendono a non emigrare se non tramite ospiti inconsapevoli e comunque in ambienti promettenti, vuol dire che questo ambiente è sporco, zozzo, mal tenuto, poco areato, mai soleggiato.
Se trovate bestiacce simili dentro una stanza, vuol dire che c'è qualcosa di serio che non va. Anche perché le loro punture sono anche pericolose e potenzialmente portatrici di leishmaniosi, che non è certo il massimo.
Ora, cos'ha fatto il proprietario?
Privatamente ha farfugliato scuse di circostanza, fregandosene della foto che vedete e della mia cortesia.
Dopodiché su TripAdvisor ha fatto lo spiritoso con appunti irriverenti e una malizia provocatoria e insultante, procedendo poi nel suo sito come vi ho detto in apertura.
La Toscana è un posto delizioso, meraviglioso. C'ho lasciato la mia adolescenza, e ancora oggi mi fa venire i brividi solo a pensarci.
Ma evitate accuratamente il Podere Santa Croce. Per stare qualche giorno a Saturnia ci sono mille altri posti pronti ad accogliervi, sicuramente puliti, sicuramente più...
12 settembre 2012
bruciando i miei libri
In alcuni casi mi sono pentito; in molti altri, no.
Voglio dire: considerati gli spazi a disposizione (ben superiori alla media italica, va detto), ogni tanto sono costretto a fare una revisione alle mie biblioteche, quella mia e quella minore che occupo abusivamente a casa di mia madre.
Sono e resto un mago degli spazi: ma ogni tanto è necessario fare una visita decisa alle proprie scelte del passato.
Un po' la polvere, un po' l'esperienza acquisita, un (bel) po' la noia di certi autori che in passato ho invece amato, la mia mattanza non conosce confini. E quindi comincio a buttare titoli che in passato mi avevano illuminato o guidato; altri che avevo subito con spirito infantile, e quindi acritico; altri imposti dagli studi; altri ancora, frutto di follia collettiva, condizionata spesso dalle urla dei media o dalla critica seducente (e poi menzoniera)...
Insomma, ormai ho ucciso: tutti i titoli allegati all'Unità veltroniana (traduzioni scadenti, corpo minuscolo, selezioni arbitrarie); saggi politici di monumenti del passato (quando mai leggerò le considerazioni del giovane Berlinguer o di Folena, suo adepto?); quelli del fenomeno Millelire (la demagogia mista a supponenza); tutto Cesare Pavese (du' palle che diventano facilmente quattro); le amarezze di Paolo Milano (ti viene voglia di suicidarti anche e solo guardando la copertina); tutti i titoli di Emil Cioran; tutta la serie DeAgostini (ecco, qui mi sono dispiaciuto) con i titoli di classici che mi hanno accompaganto per 30 anni; saggi istant book su quanti peli nel naso hanno i cattivi del momento; testi che sembravano grandi cose e che poi si sono rivelati una bufala senza mozzarella; ritagli impolveriti e sostituiti dagli archivi online; strenne senza senso; tutto Alessandro Baricco (tranne Oceano mare e Castelli di rabbia); Saviano che parla con Langewiesche (come se io parlassi di relatività con Einstein)...
Insomma, correggere il tiro dei propri gusti è quasi terapeutico, ma anche molto doloroso: strofinando per l'ultima volta certi titoli, mi rendo conto anche delle cazzate che ho fatto intorno al periodo in cui acquistai quel testo, dei limiti che ho avuto o che ho di fronte alla Storia e alla Letteratura, di quanto ancora mi resta da leggere, di quanto tempo ho perso dentro vicoli narrativi oscuri e ottusi.
Sarebbe bello prendere una macchina del tempo e ritrovare il me stesso di tanti anni fa: gli direi di posare quel titolo o quell'autore, di prendere un treno e di farmi un bel viaggio. La perdita del tempo è il torto più grande che si possa fare alla propria anima. E certi autori ne sarebbero più che lieti.