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20 novembre 2009

la parola artista

Nell'ormai lontano aprile di quest'anno avevo raccontato come mi fossi irritato al sentire un mio amico definirsi "artista". Implicitamente questo sacro termine l'aveva riferito anche a me. Per carità, scrivo, compongo musica, fotografo, lui dipinge; ma da qui a definirsi artisti ce ne vuole.
Personalmente non credo ci siano più artisti in giro da molto molto tempo. Ma non sono mai riuscito a concretizzarmi il perché di questa mia intuizione, sia mentalmente che in maniera comprensibile per gli altri.
Poi dal testo di Herzog che ho segnalato poco meno di un mese fa, ho letto una sua risposta (pagine 167-8) e ho capito tutto.

Detesto profondamente perfino il concetto di artista in quest'epoca. L'ultimo re dell'Egitto, Farouk, ormai in esilio e tremendamente obeso, mentre divorava una coscia d'agnello dopo l'altra, ha detto una cosa bellissima: «Ormai non ci sono più re al mondo, solo il re di cuori, il re di quadri, il re di picche e il re di fiori».
Il concetto stesso di artista è per certi versi anacronistico al giorno d'oggi. È rimasto un solo posto in cui si possono trovare artisti: il circo. Lì ci sono il trapezista, i giocolorie, persino l'artista del digiuno.
Il film non è analisi, è agitazione della mente; il cinema proviene dalla fiera del villaggio e dal circo, non dall'arte e dall'accedimismo. Penso davvero che nel mondo dei pittori, dei romanzieri e dei registi cinematografici non ci siano artisti. Si tratta di un concetto che appartiene a secoli passati, in cui c'erano cose come la virtù, i duelli con le pistole all'alba tra uomini innamorati e le fanciulle che svenivano sui divani.

Michelangelo, Caspar David Friedrich e Hercules Segers: questi sono artisti. L'«arte» è un concetto pienamente legittimo nelle loro epoche. Sono come gli imperatori e i re, che rimangono le figure decisive nella storia dell'umanità e la cui influenza è avvertita anche ai nostri giorni. Con le attuali monarchie non accade niente del genere.
Non sto parlando della morte dell'artista; credo soltanto che la creatività sia concepita in una prospettiva piuttosto datata e antiquata. Per questo detesto la parola «genio». Anch'essa è una parola che appariene a epoche passate e non alla nostra. Al giorno d'oggi è diventata un concetto malato.

[...]
L'espressione in sé e il concetto di cui essa è portatrice provengono dal tardo XVIII secolo e non sono adatti al nostro tempo.
[...]
Ho sempre pensato che un creatore non ha nessun rilievo intrinseco e questo vale anche per quanto concerne il mio lavoro.

19 marzo 2008

le mie lacrime per Minghella

Appena ho saputo della morte di Anthony Minghella (6/1/1954-18/3/2008) mi sono commosso. Pesantemente commosso.
Lo so, non è un grande regista, non ha uno stile formale ben codificabile, ma ha diretto uno dei più bei polpettoni degli ultimi anni, prendendo spunto solo da pochissime righe contenute nel romanzo originale.
E le gesta, il romanticismo, la grazia del Paziente inglese me le porto dentro da sempre, ben prima che venisse girato il film. Fanno parte del mio carattere.
Ancora oggi, quando guardo il fosso della giugulare di mia moglie, mi vien da chiamarlo il bosforo di Almacy. E quando penso al nostro viaggio in Egitto, non posso che rivedere quelle foto e quei momenti attraverso la musica mahlerian bachiana di Gabriel Yared. E quando penso agli esploratori del '900, a Erodoto, alla Caverna dei Tuffatori, all'Anabasi di Senofonte, ai venti... mi vedo circondato dai volti di Ralph Fiennes, Kristin Scott Thomas, Willem Dafoe e Juliette Binoche.
Ma soprattutto ripenso a questa scena.
So long, Minghella, so long...



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30 novembre 2007

tassisti e buoi
dei paesi tuoi

I post su commissione sono stimolanti e impegnativi al tempo stesso: mentre Benigni mi deliziava col suo irrefrenabile Quinto Canto dantesco, Andrea D. mi manda un sms chiedendomi un post sui tassisti nostrani.
Be', innanzitutto la parola taxi mi rimanda irrimediabilmente a Rilke, uno dei miei poeti preferiti. Le sue mirabili elegie duinesi furono intarsiate durante i soggiorni in quel della magione di Duino, di proprietà della principessa Marie Hohenlohe von Thurn und Taxis. Non ci vuole un genio per intuire che i tassisti di tutto il pianeta prendono il nome da una felice intuizione di quei nobili, ancor oggi una delle casate più raffinate e ammirate d'Europa.
Già, che noi invece li chiamiamo tassinari perché spesso sa più di insulto classista che di riconoscimento professionale. Non voglio fare la mia solita polemica trasversale contro i vari sofrimillescalfarotti, perché tanto non sortisce l'effetto voluto/dovuto: ho notato, però, che nessuno di questi accoliti veltroniani ha speso una parola una su come Valter stia permettendo a questi figuri di comportarsi come si comportano. Se siamo arrivati all'assedio fascistoide è perché finora Veltroni si è dimostrato non credibile. Silenzio per malafede, ipocrisia o censura? Fate voi.
Arrivate a Fiumicino e venite accolti da loschi figuri che impongono cifre scandalose. Alla Stazione Termini è ancor peggio... eppoi fumano, blaterano contro tutto e contro tutti, non rispettano il codice della strada. E dire che hanno sulle portiere il simbolo del Comune di Roma (dico: Roma!).
Ricordate Il collezionista di ossa, film che fece conoscere ai più le michelin di Angelina Jolie? In una scena di raccordo, un tassista taglia impercettibilmente la strada a un'auto. Immediatamente gli si accosta un tipo col tesserino comunale per multarlo; una sorta di poliziotto dei tassisti. Poi si scopre che l'altro è l'assassino... ma l'idea culturale resta, e fa impressione. A New York, infatti, i tassisti rispettano le regole in maniera direi paranoica. Non rompono le scatole coi loro deliri, rilasciano la ricevuta fiscale senza che tu debba chiedergliela; fantascienza forse, ma New York è mille volte più grande di Roma, quindi certi giustificazionismi sinistrorsi nostrani sono indecenti.
Ad Amsterdam era saltata la corrente elettrica: il trenino per l'aeroporto non poteva partire. Nel giro di pochi minuti, decine di taxi hanno prelevato gli appiedati per portarli di corsa alla mèta. Sempre rispettando i limiti di velocità, le strisce pedonali e... il tariffario, visibile e vincolato.
Ad Anversa un tipo silmil Camus si è prodigato a spiegarci i posti più attraenti e quelli più pericolosi dell'intera città. Nessuna ricevuta, ma il tarrifario è regolarmente segnalato da un cartellone grande così dentro la splendida stazione ferroviaria.
A Barbados le cifre/tragitto sono regolamentate da tabelle governative. L'isola è microscopica, non puoi metterti certo a fare il furbacchione. Va detto che anche a Roma ci sarebbero cifre/base su alcuni tragitti ben precisi. Inutile chiedersi quanto vengano rispettate.
A Barcellona il servizio è sobrio, senza pretese, ma preciso e puntuale. Diciamo che litigano col codice della strada, ma quel poco che basta. Comunque impongono tariffe bassissime.
Da Bergen dovevo andare in un hotel disperso tra i boschi norvegesi. Prima di servirmi, il tassista mi ha indicato la cifra approssimativa e la durata del tragitto (così eventualmente potevo prendere il pullmann), offendendosi quando gli ho chiesto se mi avrebbe rilasciato la ricevuta per il mio ufficio. Lì è cosa naturale, con tanto di segnalazione scritta del tragitto e delle aree tariffarie.
A Berlino, codice della strada puntigliosamente rispettato, perfetto inglese, cortesia di circostanza ma ineccepibile.
A Dublino il tipo quasi si scusò per aver rivolto la parola a me e mia moglie. Il bello è che non si è mai permesso di guardarla o di rivolgersi direttamente a lei; passava sempre per il mio sguardo. Uomo di popolo, ma attento al suo ruolo istituzionale.
Nell'alto Egitto (che poi è nel sud, lo sapete) sono gli stessi tassisti ad autotutelarsi, limitando lo spazio ai furbi e agli illegali.
In Kenia i tassisti cattivelli vengono filtrati. A meno che uno non sia un imbecille, è pressoché impossibile farsi raggirare, perlomeno all'uscita dell'aeroporto.
A Lisbona il tassista ci ha portati in loco senza fiatare, guidando civilmente e depositandoci esattamente all'entrata del nostro settore. Ricevuta fiscale e sorriso sbiadito.
A Miami i quattro taxi che abbiamo preso si son comportati egregiamente, rilasciando ricevuta fiscale e abbassando la musica senza che noi lo chiedessimo.
A Toronto nessun problema di sorta. Tassisti discreti e attenti, osservano meticolosamente il codice della strada, tariffario rispettato e nessuna confidenza.
Vi dirò, a Creta ho incontrato l'unico tassinaro veramente cretino: guidava con le ginocchia, contromano in curva, a 130 km orari, agitando il telefonino e guardando dallo specchietto le scollature della mia signora e della sorella... sembrava di stare a Roma.