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10 luglio 2013

oltre il discorso di Marchionne

Non essendo un competente in materia, ho letto il discorso di Marchionne con spirito curioso e documentativo (in questo link trovate il pdf integrale, in calce al commento del giornalista).
Purtroppo al pubblico è arrivato un segmento decontestualizzato invece di un riassunto delle nutrite e corpose 18 pagine (lette con attenzione e poca retorica nell'arco di quasi 30 minuti). Il che è una colpa tipicamente giornalistica, considerato che ai mass media documenti così importanti vengono consegnati prima (o a ridosso) di un evento, garantendo quindi il tempo di approfondire al meglio ogni singolo punto.
È vero che Marchionne non è il massimo dell'affabilità; è altrettanto vero che è un uomo di potere, e che questo potere lo sa esercitare con forza e originalità. 
Ma è anche vero che i successi elencati sono impressionanti, e un buon giornalista avrebbe dovuto/potuto verificarli con dovizia di particolari, restituendoli al pubblico per quello che sono veramente, dando quindi al pubblico uno sfondo documentativo di fatti e notizie concrete.
Invece, noi comuni mortali abbiamo ricevuto solo commenti e indignazioni - prendendo quindi subito le parti a favore o contro - ma senza sapere in realtà qual era il nodo della questione, e quali erano i punti veri o falsi della prolusione di Marchionne. 
Ho isolato questo passaggio a beneficio di chi vuole andare oltre le polemiche:
L’ingegnere Materazzo ricordava, poco fa, che a inaugurare questo stabilimento, nel 1981, c’era l’Avvocato Agnelli con l’allora presidente Pertini.
In quell’occasione, l’Avvocato parlò dell’impegno della Fiat nel Mezzogiorno, ma parlò anche di economia, di democrazia e di libertà.
Disse che “l’economia di mercato è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per il rafforzamento della democrazia.
Ma perché il libero mercato viva, è necessario che ci si concentri sulla produzione di ricchezza prima che sulla sua distribuzione.
Se la priorità della produzione non viene rispettata, un paese non va inevitabilmente allo sfascio: però, col tempo, degrada.
La convivenza tra i cittadini finisce per degenerare, perché il loro benessere dipende sempre più dalla distribuzione politica delle risorse e sempre meno dalla qualità e dagli sforzi necessari per produrle
”.
Oggi quelle parole suonano quasi profetiche e non potrebbero essere più vere.
Per anni l’Italia ha vissuto al di sopra delle sue possibilità, concentrata a distribuire ricchezze che diventavano sempre più scarse.
E gli italiani si sono ritrovati con le tasche vuote.
L’unico modo che abbiamo oggi per risalire la china, per invertire un ciclo economico avvitato su se stesso, è tornare a produrre.
Dobbiamo concentrarci sulle iniziative industriali, favorirne se possibile di nuove, perché è l’unica strada per tornare a generare quella ricchezza che dà ossigeno al Paese.
Quando l’Avvocato, sempre 32 anni fa, disse che la libertà ha anche una dimensione economica, intendeva esattamente questo.
Se le forze politiche e sociali non fanno tutto il possibile per rispettare il primato della produzione, la libertà conquistata dai nostri padri e dai nostri nonni si asciuga. Si trasforma in rissa tra fazioni e gruppi sociali per spartire le briciole.
Se la leggiamo senza pregiudizi, a me sembra un'interpretazione moderna e realistica del Primo Articolo della Costituzione Italiana. Certo, è dalla prospettiva di un capitalista, ma i punti nodali della sua disamina sono forti, strutturati e di difficile confutazione.
A qualcuno verrà in mente la Fiom e la recente sentenza a suo favore. Leggiamo cosa dice Marchionne:
Ma in tutto questo stiamo incontrando molte più difficoltà di quanto non avremmo immaginato, che mettono a serio rischio ogni passo successivo.
Anche la pronuncia della Corte Costituzionale, arrivata la scorsa settimana, aggiunge elementi di incertezza.
Non conosciamo ancora le motivazioni della sentenza e le leggeremo con attenzione.
Mi limito, però, ad osservare che con questa decisione la Consulta ha ribaltato l’indirizzo che aveva espresso in numerose altre occasioni, sullo stesso tema, durante gli ultimi 17 anni nei quali è in vigore la presente forma dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori.
La Fiat non fa e non ha fatto altro che applicare la legge, in modo rigoroso.
La Fiom è stata esclusa dalla possibilità di nominare rappresentanti sindacali in base a quella legge.
Una legge che dice chiaramente che i rappresentanti sindacali possono essere nominati solo dalle organizzazioni firmatarie del contratto e da quelle organizzazioni che ne accettano le condizioni.
Peraltro, si tratta di un principio giuridico che viene riconosciuto in tutti i Paesi civili del mondo: puoi beneficiare di un contratto se ti assumi le responsabilità presenti in quel contratto.
Per ironia della sorte, la modifica dell’articolo 19 introdotta nel 1996 è stata voluta proprio dalla Fiom, che ha appoggiato un referendum popolare promosso da Rifondazione Comunista e dai Cobas.
Pare che oggi non se lo ricordi più nessuno.
Tra tutti quelli che hanno commentato la sentenza della Consulta, non ho mai sentito dire che la Fiat ha applicato, con coerenza, una legge che adesso alla Fiom non piace più.
Anzi, hanno messo noi sotto accusa, dicendo che abbiamo violato la Costituzione, mentre abbiamo solo rispettato una norma in vigore da 17 anni e voluta da chi ora la contesta.
Ora, io che non sono giornalista, mi aspetterei che un giornalista mi dica veramente come stanno le cose, e se sono vere le "accuse" di Marchionne: non ho trovato un mass media che abbia confutato o confermato il passaggio sopra citato.
E veniamo alla frase che ha generato polemiche a non finire (alcune, forse troppe, strumentali e opportuniste). Ho segnato in grassetto un passaggio che commenterò brevemente in calce.
Abbiamo sottoscritto un nuovo contratto di lavoro, concordato con la maggior parte dei sindacati e approvato dai nostri lavoratori.
Mi rendo conto che quando si introduce un cambiamento non ci si può aspettare un consenso unanime.
Ma non si fanno gli interessi dei lavoratori difendendo un sistema di relazioni industriali che non è in grado di garantire che gli accordi stipulati vengano effettivamente applicati.
Condivido che i diritti di tutti, a prescindere dalla categoria sociale di appartenenza, costituiscono la base di una comunità civile.
Ma oggi viviamo in un’epoca in cui parla sempre e solo di diritti.
Il diritto al posto fisso, al salario garantito, al lavoro sotto casa; il diritto a urlare e a sfilare; il diritto a pretendere.
Lasciatemi dire che i diritti sono sacrosanti e vanno tutelati.

Se però continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo.
Perché questa “evoluzione della specie” crea una generazione molto più debole di quella precedente, senza il coraggio di lottare, ma con la speranza che qualcun altro faccia qualcosa.
Una specie di attendismo che è perverso ed è involutivo.
Per questo credo che dobbiamo tornare ad un sano senso del dovere, consapevoli che per avere bisogna anche dare.
Bisogna riscoprire il senso e la dignità dell’impegno, il valore del contributo che ognuno può dare al processo di costruzione, dell'oggi e soprattutto del domani
.
Malgrado stiamo operando in un contesto economico negativo, non vogliamo mettere in discussione gli investimenti annunciati.
Ma non possiamo accettare che comportamenti violenti, di boicottaggio del nostro impegno, vengano considerati “esercizio di diritti” anche da autorevoli Istituzioni.
Non è giusto nei confronti dell’azienda, ma soprattutto non è giusto nei confronti di tutti quei lavoratori che stanno lottando per togliersi dalle secche della recessione.
Un Paese dove ogni certezza viene messa in dubbio, dove gli accordi si firmano ma poi si possono anche non rispettare, dove una norma può essere letta in un modo ma anche nel suo contrario, dove la volontà di una maggioranza è negata da un’esigua minoranza… Tutto questo è un caso tristemente unico al mondo ed è un deterrente per chiunque voglia venire ad investire in Italia.
Qui in Rai la situazione è decisamente diversa, né migliore né peggiore; comunque drammatica. Il comportamento di alcuni sindacati, però, è analogo a quello denuciato da Marchionne, con l'aggravante che la Fiat gli operai se li sceglie; in Rai, una parte dei colleghi è imposta da meccanismi contorti che nulla hanno a che vedere con titoli e meriti. E una parte del nostro sindacato vede questi meccanismi, li conosce, ogni tanto si indigna, ma alla fine li lascia sussistere.
Addirittura, anche se il lavoratore sbaglia, se manca di riguardo ai colleghi o ai superiori, se non fa il suo dovere, se usa i propri diritti come clava per non adempiere ai propri doveri... una parte del sindacato lascia fare, confondendo quindi i diritti delle brave persone con gli errori di quelle nocive.
Eppure tutto questo non si può denunciare, non si può neanche pensare. Anzi, io ho il lusso di poterlo fare perché ho pochi lettori e non ho una posizione sociale roboante o seducente.
Il problema, tipicamente italiano, è che tutto questo porta a un mancanza di credibilità che coinvolge tutti. E quindi quest'assenza di etica e questa incoerenza prestano inevitabilmente il fianco al Marchionne di passaggio; un uomo, cioè, che con la sua cultura e determinazione sa essere più convincente di chi avrebbe il ruolo di rappresentare i diritti (e i doveri!) dei lavoratori.
Ma il punto è un altro: questo ragionare con realismo, miscelando sapientemente la realtà con la dignità del lavoratore (come fa Marchionne nell'ultimo paragrafo citato), può di fatto aprire le porte anche ai profittatori, a chi abuserebbe di momenti difficili e delicati per imporre una strategia che annienta chiunque, anche i diritti delle brave persone. 
È uno scotto da pagare?
Credo proprio di no. Però, e allora, bisogna anche cambiare mentalità, difendendo non il diritto al lavoro ma il diritto del lavoratore, da entrambe le parti della medaglia. Chissà se i sindacati saranno disposti a capirlo.

22 febbraio 2011

tornare e non morire

Ogni volta che entro in sala operatoria, spero sempre di risvegliarmi in un mondo migliore; e, invece, basta affacciarsi alla finestra del reparto per rendersi conto che il mondo è sempre lì, sornione e furbacchietto, a dirmi che dovrò ancora una volta rimboccarmi le maniche, giusto per mantenere salda la mia dignità, visto che il resto ormai conta ben poco.
Mi chiedo sempre quanto valga la pena provare a migliorare le cose, se poi le cose dicono di odiare il letame in cui sopravvivono, ma poi ci sguazzano amorevolmente.
Ritorno un po' su tutti i miei standard, perché la casella di posta era piena, e di spunti in sospeso-ma-attuali ne ho trovati.
In primis l'omofobia di Severgnini. Un suo lettore mi inoltra questa mail (che Severgnini ha visto bene di non pubblicare):
Caro Severgnini
Le confesso di essere rimasto un po' deluso nel leggere la sua risentita risposta al lettore A. Loppi, che qualche giorno fa la accusava, senza troppi giri di parole, di essere omofobo. Lei ha reagito dicendo chi la ritiene omofobo “vorrebbe tappare la bocca a chi esprime un parere diverso”. Eh no, mi scusi ma qui ha ragione Loppi. È un po’ come se un razzista si lamentasse di coloro che lo chiamano tale dopo che lui è andato in giro dicendo che ai neri non devono essere concessi gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. Lei ritiene che alle coppie omosessuali non dovrebbe essere consentito di potersi sposare né tantomeno dovrebbe essere concesso loro di poter adottare figli. È un modo come un altro per sostenere, implicitamente, che le persone omosessuali sono esseri umani inferiori e dunque non devono poter fare cose che invece agli eterosessuali, come lei, sono concesse. E poi si inalbera se qualcuno le dice, chiaramente, che lei è omofobo? I suoi toni saranno forse più educati di quelli un po' bruschi del signor Loppi ma il suo messaggio antiuguaglianza, che le piaccia o no, è un messaggio degradante che lei rivolge a tutti i suoi concittadini omosessuali. Non si offenda se qualcuno glielo fa notare.
Un suo lettore (deluso).
Da fargli un micromonumento; tenendo conto poi che ha riassunto perfettamente il mio pensiero; tenendo conto poi che qualche giorno dopo il Severgnini rincarava la sua posizione dicendo "La mia opinione la conoscete, e credo corrisponda a quella della grande maggioranza degli italiani", come se fosse un certificato di automatica qualità; tenendo conto poi che insisteva nell'alludere al mio presunto volergli "tappare la bocca" (guardi che preferirei tapparne altre di bocche... eppoi sono così temibile?; tutto qui il suo coraggio, caro Severgnini? Facile difendersi dietro un sistema che non la costringerà a rimangiarsi le sue gravissime affermazioni). A conclusione di ciò, né l'Ordine dei Giornalisti né il direttore del magazine del CorSera lo hanno punito professionalmente, com'era giusto che fosse... ah, ovviamente i fighetti sono stati zitti. Dico: solo a me il leggere che il matrimonio tra omosessuali "è contro il buon senso" fa automaticamente sentir provenire dalla strada un rumore di stivali chiodati?
Il lettore dice anche che sono brusco, e in altri contesti c'è chi ha usato questo mio difetto per giustificare la poca affluenza di lettori al mio blog.
Può essere.
E allora, però, vi porto come esempio di sgarberia costante un'altra mia vittima, Luca Sofri: come esempio tra tanti, guardate come ha insultato i suoi commentatori; il giorno dopo, stessi lettori, stesso successo. Eppure, tratta sempre tutti con spocchia e alterigia, oltretutto con argomenti e sintassi da incubo.
Ma piace...
... mi ricorda qualcuno...
Più in generale, è ormai evidente che in Italia la visibilità egeliana e la credibilità sostanziale non si raggiungono con il duro e serio lavoro: la si hanno in dote. Haivoglia a sforzarti. Haivoglia a restare coerente (dico: scrittori di Mondadori, Berlusconi avrebbe pagato Ruby anche con soldi derivati dai vostri successi!). Haivoglia a indicare vie pulite, restando però pulito. Non serve a un beneamato nulla! Solo al tuo amor proprio e alla tua dignità!
Beninteso, caratterialmente non sono il tipo da volere qualcosa in cambio. Ma pretendo, esigo, che certe nobili parole e qualità non vengano attribuite a chi non le merita! Basta, insomma!
Eppoi, si sa, se il comportamento dei Severgnini o dei Sofri, o di tutta questa massa di fighetti che sconquassa la cultura italica, venisse attuato da uno qualsiasi di noi, haivoglia a condanne moralisticheggianti. Altro che Berlusconi!
Del resto, scusate, nel parapiglia delle case trivulziane, quanti dei "nostri" e dei "loro" sono stati beccati col sorcio in bocca? E la lista di tutti questi furbacchioni dove sta? Io voglio leggere i nomi di chi pagava in pieno centro di Milano un affito mensile inferiore a quanto paga uno studente fuori sede per una singola stanza puzzolente nella periferia romana! Possibile che nessuna delle conventicole sia così pulita da poter additare alle altre questa ennesima clamorosa sporcizia?
È che in fondo la miseria dell'egoismo diffuso - accentuata anche dal pessimo uso che si fa delle attuali straordinarie tecnologie - consente a tutti di pensare ancor di più al proprio misero cortiletto, infischiandosene del vicino. Ci si mette lì a blaterare tanto dei propri diritti, senza immaginare però che vanno anche praticati, giorno dopo giorno.
Meglio aspettare la prossima anestesia: almeno mi illuderò per un misero istante di potermi poi risvegliare in un mondo migliore.

16 novembre 2010

the social network

Credo sia molto difficile raccontare qualcosa senza schierarsi: bisogna essere persone molto intelligenti, e in un certo senso umili, nonostante il mondo dell'arte cinematografica - specie quello americano - pretenda e preveda anche spavalderia, pragmatismo, spirito d'iniziativa e di competizione.
Conosco bene il regista David Fincher, avendone apprezzato tutti i film (tranne qualcosa in Zodiac e tutto Button) e amato profondamente quella cifra stilistica dove l'artificio dell'effeto non è mai fine a se stesso, ma parte integrante della storia.
In questo film si parla di Facebook, e della personalità del suo ideatore/fondatore: un genio dell'informatica ma un pessimo essere umano. Ma già io sono andato oltre, esprimendo un giudizio pesante (e voluto/pensato) che nel film non traspare. Anzi: la cronaca del disagiato (del "nerd") che vince con i propri mezzi (o quasi), grazie anche alla filosofia americana dove meritocrazia e coraggio possono andare a braccetto, è resa in maniera apparentemente asettica, per cui alla fine è lo spettatore che deve decidere da che parte stare, e come porsi di fronte all'indiscutibile intelligenza del tipo, messa però al servizio di un suo immorale senso dei rapporti umani.
È un film che scorre abbastanza bene, anche se quando si è arrivati all'ultima decina di minuti ti rendi conto che sembra lungo. Ottimo il continuo lavorare su un puntuale montaggio avanti/indietro nel tempo, proponendo la breve biografia del nostro sia attraverso i fatti per come sono accaduti, sia attraverso gli incontri tra gli avvocati delle parti lese dall'incredibile ascesa di Zuckerberg. Ottima pure la musica, sempre puntuale e coerente alle scene. Ho trovato, invece, un po' statico il protagonista, quel Jesse Eisenberg che già vi avevo raccontato in Zombieland. Ma forse in un film così corale, una recitazione eccessiva avrebbe nuociuto al concerto delle parti.
Più in generale, è un film che sembra filare liscio liscio, e che si impone dopo, solo all'uscita, prendendo per il bavero lo spettatore e la sua autocoscienza chiedendogli prepotentemente: cosa c'è in questo film? Di cosa vuole parlare realmente? Qual è il tuo ruolo in questo momento?
Ma soprattutto: a cosa serve Facebook? A niente? Uhm... a niente!

22 settembre 2010

fare sesso per un esame universitario

Il 19 settembre scorso, su Repubblica appare questa lettera che ha dell'incredibile (qui per l'originale): una lettrice confessa di aver fatto sesso con un professore per passare un esame universitario... anche se poi mal gliene incolse, perché dovette sostenerlo con un assistente.
Vale però il doppio principio che da una parte la tipa ha ceduto a un ricatto senza alcuna forza coercitiva che la costringesse a farlo - quindi ha scelto di farlo; dall'altra c'è in giro un prof che usa la sua posizione per proporre schifezze simili, e sarebbe ora che qualcuno lo denunciasse.
Sono certo, certissimo, che le lettrici e i lettori di questo blog mai si abbasserebbero a mezzucci simili (da ambedue le prospettive, ovviamente), e che comunque il vostro sdegno non è dettato da sentimenti moralisticheggianti, quanto invece da una posizione che ho cercato di riassumere come segue, e che sinteticamente - molto sinteticamente - Augias ha riportato stamattina.
Su Repubblica trovate il mio brevissimo passaggio, qui ve lo regalo per intero.
A dispetto dei diffusi canoni moralisti ipocriti in salsa cattolica, la lettrice che ha fatto sesso col prof per superare un esame universitario non è una "prostituta", ma una ladra.
Una ladra perché ha scavalcato i colleghi studenti con l'astuzia anziché con il doveroso studio; una ladra perché ha ottenuto un conseguente lavoro anche grazie la macchia di questo furto, magari togliendo spazio a chi quel posto lo avrebbe ottenuto rispettando però le regole.
Sicuramente la sua coscienza (sempre che ne abbia una) le ha suggerito che pur vantandosi in maniera così patetica era meglio non firmarsi. Non si preoccupi la tipa: questo è un paese in cui i ladri sono ben che noti ed evidenti. La prossima volta che scriverà, osi firmarsi: sarà solo un'altra ladra nella lunga lista degli stranoti.
Alessandro Loppi

26 luglio 2010

breve considerazione aziendale

Il mondo è diviso tra chi si lava le mani dopo essere andato in bagno e chi no.
Il mondo è diviso tra chi sa compilare un foglio excel e chi dopo vent'anni di uso ancora non lo sa neanche configurare.
Il mondo è diviso tra chi segue le istruzioni della fotocopiatrice e chi invece fa sempre finta di non sapere come funzioni, costringendoti a farle per suo conto.
Il mondo è diviso tra chi saluta con un sorriso ogni volto che incrocia e chi ti guarda stolido facendo finta di niente.
Il mondo è diviso tra chi cede il passo alle fanciulle di qualsivoglia età e chi va sempre di fretta e calpestadoti passa per primo.
Il mondo è diviso tra chi non vota Berlusconi e chi lo vota ma fa di tutto per non farsi scoprire comportandosi da perfetta zecca d'ultrasinistra.
Il mondo è diviso tra chi durante le riunioni presenta idee proprie magari non originali e chi invece ti ruba le tue decantandole come un patrimonio assoluto.
La domanda sorge spontanea: ma se il mondo è così nettamente diviso, io che ci faccio dalla parte sbagliata?

la risposta di Michele Serra

In queste settimane ho scritto molto sulla Rai, anche mettendo in mezzo Michele Serra che un paio di Venerdì fa si era lamentato di come andavano le cose qua dentro.
Avevo messo la mia lettera - mai pubblicata peraltro - anche in questo blog, sperando che il messaggio comunque gli arrivasse, ma il silenzio aveva regnato sovrano. Almeno fino a domenica scorsa, quando cioè gli ho riscritto perché le sue risposte a due lettere sembravano cozzare con quel minimo di amor proprio che dovrebbe limitare certe uscite.
E allora mi ha risposto.
Io vi regalo il testo, certo di non fargli torto alcuno. La mia replica prima o poi arriverà, anche perché sembra che il Serra non abbia compreso un elemento nodale: io qui dentro ci lavoro.
Caro Alessandro [anche se lui in realtà mi ha chiamato per cognome],
che la sinistra in Rai abbia fatto tecnicamente ciò che sta facendo la destra è assolutamente vero. Ma nel caso in questione "epurazioni" vere o presunte, e scelte di contorno, hanno un comune denominatore che mi pare piuttosto rilevante: si chiude ciò che odora di cultura (da Radio uno ha dovuto andarsene anche Giorgio Dell'Arti, uno del Foglio, mai stato di sinistra), si aprono le porte al suo contrario.
Le nuove entrate dei palinsesti radiofonici sono Pupo, Simona Ventura, Maurizio Costanzo (di sinistra, amicone di D'Alema) e un paio di deejay che paiono sortiti da una qualunque radio balneare. È la voce stessa di Radio Rai, quell'italiano ben detto e ben pronunciato, che sta mutando in maniera irreversibile.
Hai ragione, non si tratta di destra o sinistra. Si tratta di un potere che identifica nella cultura il suo nemico (anche perché non ne ha alcuna), e negli intellettuali un pericolo pubblico. Per questo mi pare giusto dire "via i partiti dalla Rai", ma anche entrare nel merito di quello che la lotta politica produce in termini di qualità, scelte, indirizzi.
Grazie della tua lettera
Michele Serra

18 maggio 2010

chi l'ha scritto?


La “predicazione politica” della Chiesa, dunque, è in larghissima parte centrata sulla morale della vita, della sessualità e del matrimonio e non su virtù – l’onestà, la dedizione, la sincerità, il rispetto, la dignità, il lavoro, l’impegno – che attengono alla dimensione comune della vita e delle relazioni sociali. Se nelle questioni dell’etica pubblica i valori morali, anzi questi specifici valori morali non negoziabili, sono considerati come le vere e indispensabili virtù civili è inevitabile che la “questione antropologica” diventi non solo il principale, ma di fatto l’unico tema qualificante dell’impegno politico dei cattolici. Il risultato è quello di svalutare altre forme di impegno, per cui appare “più cristiano” il politico che si oppone al divorzio breve o al riconoscimento delle unioni gay di chi vive con coerenza di esempio e di testimonianza la propria fede. Sembra diventato più cristiano opporsi ai Pacs che non rubare, non mentire, non mancare ai doveri di giustizia. Da oltre Tevere suscitano più parole di riprovazione e di scandalo i politici che “attentano alla famiglia indissolubile fondata sul matrimonio” di quelli che degradano la vita pubblica fino ai confini - e spesso oltre i confini - del malaffare. Così la Chiesa, ”agenzia morale” per eccellenza nella società italiana, abdica al suo ruolo da protagonista per la crescita di un’etica civile, rispettata e condivisa, volta al bene comune.
[...]
L’occidente libero e liberale ha certo le sue radici culturali e storiche anche nel cristianesimo e nella sua idea di libertà e dignità umana, ma sarebbe storicamente infondato sostenere che quando la società europea si è mossa in direzioni diverse da quelle suggerite e imposte dal Magistero abbia indebolito la propria identità e la propria capacità di coesione e di inclusione. A 150 anni dall’Unità d’Italia, è perfino inutile ricordare che sulle tesi del Sillabo è stata la Chiesa a dovere ricredersi ed emendarsi. Se poi parliamo dell’Occidente libero di oggi – e non di quello delle guerre di religione, dell’inquisizione, della colonizzazione, e della violenza politica totalitaria – penso che esso viva il tempo migliore per la promozione umana e per la libertà cristiana, molto più di quello in cui il “potere” era cristiano e dunque gli individui non erano davvero liberi di esserlo. Per questa libertà e non per la sua immoralità l’Occidente è nel mirino del fanatismo religioso islamista.

Credo che sia fuorviante affermare che divorzio, aborto legale, coppie gay o fecondazione eterologa siano una degenerazione destinata a far perdere di identità, di unità e di forza la società italiana più che l’illegalità diffusa o la mancanza di un sentimento comune di appartenenza civile alla Repubblica, del cui destino siamo tutti artefici.

Nessuna persona libera e ragionevole chiederà mai alla Chiesa, di rinunciare al suo messaggio, alla predicazione, al proselitismo, ma questo uso dei temi bioetici e della morale sessuale possono al più nutrire il neo-confessionalismo politico, non divenire la comune frontiera della moralità civile del Paese.

Peraltro, appare sempre più evidente che la partita dei “valori non negoziabili” si gioca ormai pressoché interamente sul piano politico-legislativo e non su quello pastorale, come se la Chiesa, prendendo atto della sempre più evidente “disobbedienza cristiana” ai principi della morale sessuale e familiare, considerasse necessario ricorrere alla forza cogente della legge per surrogare la scarsa forza persuasiva della predicazione.


Benedetto Della Vedova, uno del Pdl

14 gennaio 2010

l'ombra e il decoro (una risposta ad Arianna Cavallo)

Dall'alto dei miei 80 lettori abituali, appare quasi come una speranza subire un commento come questo:
Certo che non se ne può più con 'sta storia dei figli di papà. Pensi che siano degli inetti andati avanti solo per raccomandazione? Se sì, datti un'occhiata in giro e guarda il livello dei giornalisti italiani, forse cambierai idea. Limitati ad argomentare e spiegare perché non sei d'accordo con loro e lascia perdere definizioni rosicone e bambinesche.
Arianna Cavallo
La lettrice, insomma, criticava il mio breve post contro quei terzisti che stanno già provando a suggerire come leggere la figura di Craxi; e lo fanno usando la canonica e furba "verità sta in mezzo" tipica dell'italianismo medio. Sono io semmai che trovo veramente "bambinesco" - questo sì - postulare le proprie tesi dando del fesso a chi dignitosamente e coerentemente non vuole andare oltre ai torti dimostrabili del craxismo. Tanto che alla fine le argomentazioni dei tre si riducono a zero, a un parlare per voler parlare, usando uno strumento - quello del web - dentro cui l'approfondire qualcosa è difficile, e comunque la maggioranza di chi lo frequenta non va oltre le tre righe. Basta leggere alcuni post plaudenti piegati al disitaliano di Sofri (che commenti non ne accetta, si sa) per vedere confermata la mia tesi: "Non sono un esperto di Craxi, ero piuttosto giovane e vivevo in provincia" e quindi sono d'accordo con il terzismo di Sofri. Punto e basta. Facile e anche superficiale, mi sembra.
Voglio dire: stiamo ripetendo gli stessi errori culturali che avevamo già commesso col Fascismo! Anziché sviscerarlo e trovare tutti i bandoli della matassa di quel fenomeno, l'abbiamo rimosso. E a distanza di 60 anni c'è ancora gente - troppa e addirittura colta - che intravede qualità nel Fascismo che lo stesso Fascismo invece disdegnava.
Ma è anche vero che del craxismo non si può e non si deve ancora parlare storicamente, perché è troppo attuale e troppo presente. Fare qualche post e dedicargli una via che butta tutto in caciara è da irresponsabili, e il voler dire che si deve andare oltre certi sdegni, suona molto furbetto. Del resto, se Bocca disperatamente scrive "Al di là di tutti questi bei discorsi l'unica cosa che posso dire è che per me, ora come allora, chi ruba è un ladro", è perché le argomentazioni portate avanti dai tre fighetti costringono solo a questo, e non a un eventuale dibattito vasto e corposo.
È come se avessero letto al contrario i bellissimi versi di De Gregori:
E poi ti dicono "Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera"
Ma è solo un modo
per convincerti a restare chiuso dentro casa
quando viene la sera
Ma perché, aggiungo io, un dibattito storico vasto e corposo su Craxi ancora non ha senso? Per almeno tre motivi: uno scientifico, uno contestuale e un altro culturale.
Veniamo a quello scientifico. La Storia non la possono scrivere i giornalisti, così come gli storici non possono fare giornalismo: sono due attitudini mentali totalmente diverse. I primi raccontano l'accadere, i secondi l'accaduto. I primi raccolgono freneticamente prospettive di lettura non per forza obiettive, perché l'attualità costringe a questo; i secondi hanno davanti presupposti, cause ed effetti (di media e lunga gittata) che consentono loro di approfondire l'accaduto con una cautela e una lungimiranza fondamentali.
La Storia non è una scienza esatta, ma dalla scienza eredita il suo mettersi sempre in discussione. Ma non si può fare Storia sul craxismo. Né giocare al distinguo. Si deve fare cronaca: e la cronaca ci dice che Craxi è stato politicamente, culturalmente ed eticamente dannoso per l'Italia.
Il motivo contestuale riguarda il vecchio detto sulla Storia scritta sempre dai vincitori. Ecco, il caso di Craxi ne è una valida conferma. Perché Craxi ha vinto. Il sistema craxiano ha vinto. Non è solo una questione se abbia rubato o no, ma di metodo e di mentalità.
I plastificosi anni '80 non sono nati per caso, e la loro affermazione negli anni '90 ne è una rafforzata e granitica conferma. C'era un sistema che li ha favoriti e foraggiati. Non si può dare la colpa solo al berlusconismo nascente - come si usa fare oggi, ma a un sistema quotidiano politico e culturale che ha imposto quel meccanismo. E Craxi ne è stato alfiere e simbolo al tempo stesso. La "Milano da bere" se la son bevuta in troppi, e i protagonisti di quella che oggi chiamiamo affettuosamente Opposizione non hanno mosso un dito che fosse uno (e forse qualcuno qualche bicchiere se l'è bevuto anche lui).
Andiamo a domande più dirette. Cos'ha fatto Craxi per gli operai? Cos'ha fatto Craxi per l'economia? Cos'ha fatto Craxi per l'occupazione? Cos'ha fatto Craxi contro la burocrazia? Cos'ha fatto Craxi contro la malavita organizzata? Cos'ha fatto Craxi per le riforme?
Vogliamo essere chiechi e sordi come Minzolini? È questa la nostra Memoria?
Il Romano scrive che Craxi è stato l'unico che credeva nella modernizzazione del paese. Davvero!? E da quando?! Semmai Craxi si è arreso alla modernità, costringendo l'intero paese a un provincialismo sociale e sostanziale da cui riesce sempre più difficile uscire.
Possibile che le nostre menti si sia appallottolate sull'adesso?
Ecco perché non sopporto i figli di papà, cara la mia Arianna: perché non subiscono una doverosa selezione darwiniana intellettuale come accade - dovrebbe accadere - per noi che figli di papà non siamo; perché la loro gavetta è a colpi di sedie e non di scarpe consumate, perché non hanno il minimo senso del reale e del passato. Se faticassero un pochino, se muovessero il culo oltre i loro bovindo radical chic, si renderebbero conto che non si possono usare argomenti alla carlona, non ci si può fare scudo di una propria presunta intelligenza per argomentare qualsiasi cazzata passi loro per la testolina vuota da preoccupazioni.
L'ultimo motivo, quello culturale, è figlio dei primi due. Dopo Mani Pulite questo paese ha dimostrato che la stagione delle piazze era piena più di "rosiconi" - come direbbe la mia commentatrice - che di reale stizza risoluta e dignitosa. Altrimenti come mai siamo arrivati pressoché immediatamente a Berlusconi, padre e figlio del craxismo? Evidentemente non siamo stati capaci di produrre grandi stravolgimenti culturali come quelli cecoslovacco, spagnolo, portoghese e se vogliamo anche cileno.
In tempi e modi diversi questi popoli hanno preso delle enormi forbici per tagliare con il passato - condannandolo!, con tutto ciò che rappresentava e contro tutti i semi che aveva lasciato durante le aride stagioni delle dittature più o meno esplicite o dichiarate. Noi non solo non abbiamo saputo rispondere al craxismo nascente (e di questo i sessantottini dovranno prima o poi rendere conto), non solo la resa al craxismo è stata immediata (il che conferma la pochezza del tessuto morale italico), ma neanche l'abbiamo sconfitto eticamente o politicamente. Ci ha pensato un'isolata magistratura, contro cui oggi si scatena anche qualcuno dei fighetti sopra criticati.
Ragioniamo a grandi immagini: possibile che Mussolini sia stato destituito per un suo errore militare e Craxi da quello di un suo collaboratore? Tutta qua la nostra dignità? E allora, senza di essa e senza tanti altri strumenti necessari per questo tipo di approccio, come si può scribacchiare che la "verità sta in mezzo"? Come si può assolvere implicitamente il craxismo se ancora non è stato perlomeno stigmatizzato sul piano politico e sociale?
Siamo intrisi di craxismo, siamo vittime e carnefici del craxismo, e abbiamo la pretesa di fare il dibattito tra fighetti!?! Ma siamo impazziti!
Mi dispiace per la commentatrice Arianna, e mi dispiace per il mio ego, ma io non sono capace di scrivere cose diverse da queste. Non sono capace di essere convincente con dialettiche furbette e argomentazioni irresponsabili pur di essere sempre al centro dell'attenzione. Non ce la faccio.
De Andrè non mi è mai piaciuto, ma una volta scrisse "io non appartengo a questa schiera, io morirò pecora nera". Un inno alla staticità, un po' rassegnosa e da libro Cuore, lo so. Però, se mi ostino a scrivere questo blog piccolo e latitante, è perché spero di poter indicare altre strade. Potranno non essere le mie, per carità (e la mia curiosità ci si avventurerebbe per un po'), ma almeno saranno indicazioni limpide, questo sì. Limpide. 


per la cronaca: Arianna Cavallo lavora per Luca Sofri, un "figlio di papà". Ma ovviamente non l'ha specificato

24 giugno 2009

private rules

In un paese come il nostro, dove nel privato le cose funzionano (magari a prezzo di torti sui singoli di cui mai si parla) e nel pubblico le cose vanno a rilento, condite da maleducazione e sciatteria, quello che mi è accaduto l'altro giorno ha dell'incredibile.
Tra le poche cose buone ereditate dalla gestione Veltroni c'è un nuovo contratto di gestione per conto terzi per la riscossione dei pagamenti per il posteggio. Le famose strisce blu, insomma.

Queste piccole torri celesti sono meno ingombranti e funzionano a energia solare. In più hanno un design minimalista quasi accattivante: rendono decenti persino questi marciapiedi perennemente zozzi e maleodoranti. Ne hanno installata una sotto le mie finestre. Ma nel giro di una notte è successo qualcosa per cui ha iniziato a fischiare come una pazza. Un sibilo tollerabile di giorno, ma che di notte stava diventando un incubo.
Dato che sono un rompicoglioni, e vedendo le solite vecchiette lamentarsene senza muovere il culo, mi son segnato la matricola e il modello, ho trovato il sito
web del produttore e quindi ho compilato in ogni sua parte un form predisposto.
Il tempo di cliccare su
ok, controllare la posta, mettere in stand by il pc... insomma, passa un'ora e per pura curiosità mi affaccio alla finestra: i tecnici erano già presenti sul posto! Il giorno dopo la società si scusava per l'inconveniente e mi ringraziava per la civile segnalazione.

23 settembre 2008

pRAIvaci

Qui in azienda è possibile sapere cose segretissime senza mai muovere il culo dalla propria sedia.
Ho scoperto che una tizia famosa è frigida.
Un vecchio regista ha i mesi contati per colpa di un cancro incurabile: soffre non tanto per il tristo destino, ma perché sa di essere stato un enorme stronzo in vita e che al suo funerale non verrà nessuno, soprattutto sua figlia.
Un sessantenne complessato sta perdendo ogni raccomandazione possibile ed immaginabile.
Due tipe sono lesbiche e hanno paura di dirlo ai rispettivi mariti.
Un'altro è gay (ecco il perché dell'apostrofo) e si è innamorato di un collega, notoriamente bisessuale.
Un tecnico, fascista fino al midollo, è targato dal gruppo dei dalemiani e può fare quello che vuole.
Una tipa ha appena fatto un servizio a un collega...
Come faccio a sapere queste cose? Semplice: ho la porta della stanza aperta. I tipi sopraindicati parlano al cellulare passeggiando sul corridoio antistante il mio ufficio, anziché mettersi sul balcone o rimanere nella propria stanza (o - magari! - limitare le proprie chiamate personali fuori dall'orario di lavoro).
Dico: diventa poca cosa la voce sbarazzina sugli almeno mille esuberi Alitalia che verranno buttati qua dentro.

21 maggio 2008

solo a Roma...

Càpita. Ogni tanto càpita che mia moglie torni con me a casa. Intendiamoci: da bravo "quasi travet" io potrei staccare presto, ma se so che posso andarla a prendere, la cosa mi diverte e fa piacere. Tranquilli: qui lo straordinario è cosa così bassa che non insulto indirettamente il vostro canone pagato.
Fatto sta che appena arrivati a casa, la faccio scendere - così si riposa un po', e poi vado alla ricerca del parcheggio. Ora, cercare un parcheggio a Roma è cosa impossibile; a Testaccio, peggio. Un po' come cercare di spiegare alla Carfagna la differenza tra una sua idea e un serio discorso politico.
Fatto sta che l'altro ieri son riuscito a parcheggiare a soli 800 metri da casa mia. Una conquista, credetemi.
Mentre faccio per chiudere portelli e portelloni, la mia coda dell'occhio intravede qualcosa di impossibile. Più che "qualcosa", parlerei di qualcuno.
Apro parentesi brevissima: quand'ero piccolo credevo di poter diventare anch'io come la Torcia Umana dei Fantastici Quattro. Per cui, quando giravo per strada ed ero sicuro che nessuno potesse sentirmi/vedermi, urlano a squarciagola FIAMMA!!! augurandomi di emulare il mio eroe... ma niente da fare.
Ebbene cos'ho visto l'altro ieri?
Superman!
Non ci credete?
Guardate qua




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30 novembre 2007

tassisti e buoi
dei paesi tuoi

I post su commissione sono stimolanti e impegnativi al tempo stesso: mentre Benigni mi deliziava col suo irrefrenabile Quinto Canto dantesco, Andrea D. mi manda un sms chiedendomi un post sui tassisti nostrani.
Be', innanzitutto la parola taxi mi rimanda irrimediabilmente a Rilke, uno dei miei poeti preferiti. Le sue mirabili elegie duinesi furono intarsiate durante i soggiorni in quel della magione di Duino, di proprietà della principessa Marie Hohenlohe von Thurn und Taxis. Non ci vuole un genio per intuire che i tassisti di tutto il pianeta prendono il nome da una felice intuizione di quei nobili, ancor oggi una delle casate più raffinate e ammirate d'Europa.
Già, che noi invece li chiamiamo tassinari perché spesso sa più di insulto classista che di riconoscimento professionale. Non voglio fare la mia solita polemica trasversale contro i vari sofrimillescalfarotti, perché tanto non sortisce l'effetto voluto/dovuto: ho notato, però, che nessuno di questi accoliti veltroniani ha speso una parola una su come Valter stia permettendo a questi figuri di comportarsi come si comportano. Se siamo arrivati all'assedio fascistoide è perché finora Veltroni si è dimostrato non credibile. Silenzio per malafede, ipocrisia o censura? Fate voi.
Arrivate a Fiumicino e venite accolti da loschi figuri che impongono cifre scandalose. Alla Stazione Termini è ancor peggio... eppoi fumano, blaterano contro tutto e contro tutti, non rispettano il codice della strada. E dire che hanno sulle portiere il simbolo del Comune di Roma (dico: Roma!).
Ricordate Il collezionista di ossa, film che fece conoscere ai più le michelin di Angelina Jolie? In una scena di raccordo, un tassista taglia impercettibilmente la strada a un'auto. Immediatamente gli si accosta un tipo col tesserino comunale per multarlo; una sorta di poliziotto dei tassisti. Poi si scopre che l'altro è l'assassino... ma l'idea culturale resta, e fa impressione. A New York, infatti, i tassisti rispettano le regole in maniera direi paranoica. Non rompono le scatole coi loro deliri, rilasciano la ricevuta fiscale senza che tu debba chiedergliela; fantascienza forse, ma New York è mille volte più grande di Roma, quindi certi giustificazionismi sinistrorsi nostrani sono indecenti.
Ad Amsterdam era saltata la corrente elettrica: il trenino per l'aeroporto non poteva partire. Nel giro di pochi minuti, decine di taxi hanno prelevato gli appiedati per portarli di corsa alla mèta. Sempre rispettando i limiti di velocità, le strisce pedonali e... il tariffario, visibile e vincolato.
Ad Anversa un tipo silmil Camus si è prodigato a spiegarci i posti più attraenti e quelli più pericolosi dell'intera città. Nessuna ricevuta, ma il tarrifario è regolarmente segnalato da un cartellone grande così dentro la splendida stazione ferroviaria.
A Barbados le cifre/tragitto sono regolamentate da tabelle governative. L'isola è microscopica, non puoi metterti certo a fare il furbacchione. Va detto che anche a Roma ci sarebbero cifre/base su alcuni tragitti ben precisi. Inutile chiedersi quanto vengano rispettate.
A Barcellona il servizio è sobrio, senza pretese, ma preciso e puntuale. Diciamo che litigano col codice della strada, ma quel poco che basta. Comunque impongono tariffe bassissime.
Da Bergen dovevo andare in un hotel disperso tra i boschi norvegesi. Prima di servirmi, il tassista mi ha indicato la cifra approssimativa e la durata del tragitto (così eventualmente potevo prendere il pullmann), offendendosi quando gli ho chiesto se mi avrebbe rilasciato la ricevuta per il mio ufficio. Lì è cosa naturale, con tanto di segnalazione scritta del tragitto e delle aree tariffarie.
A Berlino, codice della strada puntigliosamente rispettato, perfetto inglese, cortesia di circostanza ma ineccepibile.
A Dublino il tipo quasi si scusò per aver rivolto la parola a me e mia moglie. Il bello è che non si è mai permesso di guardarla o di rivolgersi direttamente a lei; passava sempre per il mio sguardo. Uomo di popolo, ma attento al suo ruolo istituzionale.
Nell'alto Egitto (che poi è nel sud, lo sapete) sono gli stessi tassisti ad autotutelarsi, limitando lo spazio ai furbi e agli illegali.
In Kenia i tassisti cattivelli vengono filtrati. A meno che uno non sia un imbecille, è pressoché impossibile farsi raggirare, perlomeno all'uscita dell'aeroporto.
A Lisbona il tassista ci ha portati in loco senza fiatare, guidando civilmente e depositandoci esattamente all'entrata del nostro settore. Ricevuta fiscale e sorriso sbiadito.
A Miami i quattro taxi che abbiamo preso si son comportati egregiamente, rilasciando ricevuta fiscale e abbassando la musica senza che noi lo chiedessimo.
A Toronto nessun problema di sorta. Tassisti discreti e attenti, osservano meticolosamente il codice della strada, tariffario rispettato e nessuna confidenza.
Vi dirò, a Creta ho incontrato l'unico tassinaro veramente cretino: guidava con le ginocchia, contromano in curva, a 130 km orari, agitando il telefonino e guardando dallo specchietto le scollature della mia signora e della sorella... sembrava di stare a Roma.