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12 gennaio 2024

RUSTIN, una breve recensione

Prendi un attore di media bravura, lo metti in una serie mediocre e avrai una recitazione mediocre. Prendi lo stesso attore, lo metti in un buon film e avrai una buona recitazione. Per quanto possa sembrare una frase qualunquista, funziona nel caso di Colman Domingo.

I più lo conoscono perché interpreta l’opportuinista Strand nello spin-off di Walking Dead intitolato Fear the Walking Dead, una serie televisiva partita molto bene e finita malissimo.

Lo potete apprezzare nel film Rustin (2023), di George C. Wolfe, in cui interpreta Bayard Rustin, il vero artefice della famosa Marcia di Washington (1963), quella di “I Have a Dream” per intenderci.

Nero, renitente alla leva, nonviolento, pacifista, omosessuale, comunista, quacchero, Rustin ha segnato la Storia degli USA e dei movimenti LGBT+. Guardando questo film ci si rende conto delle estreme difficoltà vissute dai predecessori di Obama e di Milk: un’opera rotonda, potente, forse troppo concentrata sul personaggio, ma di sicuro impatto emotivo e visivo. Di quelle, insomma, che andrebbero proiettate nelle scuole con un bel “segue il dibattito” aperto anche ai genitori

06 luglio 2023

L'ITALIA IN UN TWEET

Parlare dei social non significa parlare del mondo intero; però, a volte, certi comportamenti così evidenti e lampanti dentro i social rappresentano in maniera chiara, anche semplicistica, un certo modo di essere.

Piccola premessa: il post sarà lungo. In questi tempi in cui ci si distrae dopo otto secondi anche senza volerlo, è quasi una scommessa, se non addirittura una follia, pensare che verrà letto - e che verrà letto fino in fondo. Ma il potere che ha internet è di essere un "eterno mentre"; quindi, quello che scriverò potrebbe essere ricicciato alla bisogna o risultare rappresentativo anche tra qualche anno.

Innanzitutto, parliamo di endogruppo. È la parte più noiosa, abbiate pazienza. Ma senza questo chiarimento, non avremo chiaro tutto il resto.
L'endogruppo non è composto da iscritti o da persone che si conoscono o frequentano. L'endogruppo è qualcosa di impalpabile, che ci può vedere protagonisti, o come "vittime", o come "carnefici", o come semplici spettatori.
Se, per esempio, in un consesso molto vasto dite una cosa, chi sa usare l'endogruppo come "arma" può delegittimarvi facendo leva sui bias di chi lo circonda: "lascialo perdere, non vedi che è un perfettino?". Oppure: "ha parlato il saputello, ha parlato".
Se non siete conosciuti da tutti i presenti, per voi è finita, perché da ora in poi siete intrappolati nel framing di quella definizione (incasellati, per dirla in italiano).
È un espediente che Berlusconi sapeva usare molto bene, tanto che la Sinistra ancora oggi ci casca con tutte le scarpe, non avendo capito che, quando sei dentro un frame, è meglio non rafforzarlo con comportamenti che lo confermino.

[Del resto, c'è un errore di fondo quando diciamo che Berlusconi ha prima fatto le televisioni rincretinenti, soggiogando le nostre menti, ottenendo quindi facili vittorie elettorali. Di fatto, stiamo dicendo che chi guardava le sue televisioni è un cretino. Mentre, invece, lui immaginava un prodotto vincente perché ad altezza popolo: è nata prima la gallina, cioè i telespettatori, e poi l'uovo, il prodotto televisivo]

All'interno dei social, il framing ha rovinato ogni forma di dibattito, di confronto. Insomma, basta stimolare un potenziale endogruppo per zittire il tuo interlocutore, senza mai entrare nel merito del suo dibattere.

Vi porto un esempio pratico, che avrà corollari a iosa. Ricordatevi, però, che è un esempio; e, come tutti gli esempi, semplifica, e si focalizza su una parte del tutto. L'insieme, cioè, è difficile da descrivere integralmente, proprio perché le parole scritte sono pietre spigolose e non sfere raffinate.

Come sapete, pochi giorni fa è venuta fuori una storia raccapricciante: in una società di marketing sussisteva una chat maschile e maschilista in cui i componenti facevano classifiche bestiali sulle colleghe. Roba veramente fuori da ogni possibile immaginazione.

Una influencer... attenzione, per i non addetti ai lavori: i numeri non restituiscono lo potenza di fuoco di una influencer. Voglio dire che la Ferragni (29 milioni di follower su Instagram) deve costantemente aggiornarsi e aggiornare, vivendo dei suoi follower; Taylor Swift (265 milioni di follower su Instagram) potrebbe persino non postare più, visto che la sua attività è soprattutto fuori dalla bolla social.
E quindi, è più influencer Ferragni o Swift? 

Dicevo, una influencer commenta la terrificante vicenda, scrivendo:
Sentite i vostri fidanzati mariti amici fratelli se vi fan dare un’occhiata veloce alle chat [...]
[Quello che è accaduto] è alla base della cultura maschile di tutti. 

La prima frase ricorda molto certe grida tipiche dei tempi medievali (o il monito finale de La cosa da un altro mondo), in cui si ammoniva la popolazione tutta, con conseguenze che conosciamo bene. Un po' alla Berlusconi de' noantri, ammettiamolo.

Ma nella seconda frase c'è un framing che non dà speranza: TUTTI i maschi sono potenzialmente come quella masnada di maiali! TUTTI. 

Prima domanda che dovrebbe porsi chi segue una influencer simile: ma lo sa che peso hanno le sue parole rispetto a chiunque altro? Parliamo anche di "peso" algoritmico, visto che i sistemi daranno più visibilità a lei piuttosto che a chi ha pochi follower/interazioni.
Seconda domanda: quantunque e qualora avesse ragione, dove stanno i dati? Per fare un'affermazione del genere, quando sei una influencer (non importa quanto influente), devi produrre dati certi, statistiche certe.
Terza domanda: la tua indignazione è la mia indignazione, ma se non sai misurare la tua rabbia e non sai confortarla con i numeri, stai solo urlando. Se urli, nessuno ti ascolterà, fuorché l'endogruppo cui implicitamente ti stai rivolgendo (ottenendo la sola attenzione di chi non sa argomentare, non sa dibattere), fuorché chi non sa muoversi in maniera concreta dentro il mondo dei social - che può consentire anche azioni concrete (ci arriverò alla fine).

Ordunque, ho la pessima idea di controbattere:
Non mi riconosco nella “base della cultura di tutti”. Provo (e ho provato) irritazione e rabbia contro questa “cultura”. Chi mi frequenta, neanche si azzarda ad accennarla.
Non posso essere l’unico a pensarla così.
Fossi in te direi “della maggioranza dei maschi”; suona meglio
[il grassetto è mio]

Mi sembra un'obiezione chiara e diretta. Peraltro, scritta anche con punteggiatura accurata e un italiano conciliante.
Per me, qualsiasi forma di generalizzazione non funziona. Mai.
E chi frequenta questo blog dagli inizi, sa perfettamente che anche io generalizzavo; ed è per questo che ho addirittura cancellato migliaia di miei post vecchi perché ridicoli e fuorvianti (ammettendolo pubblicamente: basta guardare il sommario sotto il nome del blog).

Ma la influencer usa la tattica del framing stimolando l'endogruppo che stava sia tra i suoi follower sia tra i follower dei suoi follower. E lo fa usando la tecnica del tweet con citazione che onestamente ho sempre trovato disonesto. 

Per chi non usa Twitter: il tweet con citazione consiste nel proporre ai propri follower un tweet di un'altra persona, ma guarnito con un commento. E quel commento aggiuntivo pesa tantissimo, perché cambia totalmente la prospettiva al tweet originale: di fatto, il tuo indicare NON è neutro, ma di parte, proprio perché commentato a priori.
La cosa non va bene, anche per un motivo che ormai conoscono bene anche quelli che non frequentano i social: nessuno legge l'originale, nessuno legge i commenti, nessuno approfondisce un estraneo all'endogruppo.
E se mi chiedete i dati che confortano queste mie sentenze, basta googolare per trovarne a iosa.
Certo è che, qualora fossi stato drastico, potete togliere "nessuno" e metterci "buona parte delle persone", e siamo tutti più contenti.

Il tweet con citazione che ha incorniciato la mia risposta ha come testo:
Ecco il primo: si aprono le danze
C'è già tutto qui dentro: giudizio, scherno, pregiudizio, disprezzo, rabbia, livore e tanta, tanta, incapacità di accettare un confronto.

Non mi metto qui a tirare giù uno per uno i vari commenti che ho subito - e tralascio quelli in cui si dice che tutti i maschi sono stupratori, picchiatori eccetera, solo perché sono maschi.
Vorrei proporvi dei topos abbastanza prevedibili, perché esemplari (e anche inquietanti).
La classifica è per ordine di memoria, non quindi qualitativa. Ogni tanto ho messo tra parentesi alcune rapide considerazioni che mi sono venute in mente adesso.

Primo commento: tu cosa fai per non essere come TUTTI?
(Ergo, devi sempre tenere a portata di mano un curriculum, credibile per chissà quali parametri)

Secondo commento: nessuno voleva generalizzare...
(Scrivendo TUTTI? E qui è evidente un corollario: c'è chi si fa involontario portavoce dell'influencer o dell'endogruppo, oppure di entrambi)

Terzo commento: perché ti senti chiamato in causa?
(C'è scritto TUTTI)

Quarto commento: non fare la vittima!
(Framing che funziona molto bene nel contesto latino, perché i maschi, TUTTI, sono mammoni e affetti da vittimismo)

Quinto commento: leggi questo XYZ e impara!
(Non ha mai importanza che testo sia, per un semplice motivo: chi lo brandisce, minimo ci si riconosce; confutarlo significa finire sempre più giù nella gora dell'eterno fetore)

Sesto commento: l'intero sistema è marcio, tu fai parte del sistema, se lo capisci sei bravo, se non lo capisci sei complice.

Settimo commento: Dire “io no” ci fa sentire bene con noi stessi
(Il portavoce involontario introduce l'uso del plurale, tipico della cultura italiana. Del resto, noi italiani usiamo raramente "io" quando significa assumersi un coraggio, un ruolo e una posizione. Una certa cultura nazionalpopolare ormai radicata non accetta quando l'"io" è sé stesso e che quindi si assume le sue responsabilità, perché se ti assumi le tue responsabilità non puoi temere la colpa, e senza concetto di colpa, sei fuori da ogni gruppo, e quindi pericoloso).

Ottavo commento: Inconsciamente, stai dicendo che...
(Quando una premessa allude al tuo inconscio, vince su tutto, perché chi ti sta parlando sa come la pensi, descrive la tua essenza, conosce ogni microscopico elemento delle tue sinapsi).

Nono commento: Da omo a omo...
(Il richiamo all'altro endogruppo, in cui vieni messo dentro forzatamente).

Decimo commento: quindi sei così... quindi la pensi così...
(Il quindismo andrebbe abolito con multe severe. Tu dici A, quindi hai detto B. Ergo, tu perdi tempo a dimostrare che non hai detto B, anziché poter approfondire A. Il suo corollario è il quindismo ad personam: sei favorevole a X e quindi sei come FascioCaio, che è invece quanto di più lontano da te).

Undicesimo commento: Con tutto quello che sta accadendo, non puoi fare questi commenti.
(Non si sa per quanto tempo ci sarà un embargo a qualsiasi forma di commento fuori dal coro).

Dodicesimo commento: Noooo, non puoi dire questo.

Tredicesimo commento: non so niente dell'argomento, però girando in rete (variazione: ho letto che)...
(Se premetti che non sai nulla, sta zitto. Se credi che girare in rete o leggere a caso siano due modalità propedeutiche, stai messo proprio male).

Quanto è accaduto alle ragazze vittime di quelle chat ripugnanti dovrebbe stimolare ben altro.

Sei una influencer?
Hai una certa visibilità?
Conosci o sai come contattare altri influencer?
Fai una campagna per bannare questa società da tutti i social.
Oppure: fai una campagna di sensibilizzazione, contattando TUTTI i clienti della società, consigliando loro di rescindere i contratti di consulenza.
Oppure: fai da tramite per trovare un nuovo posto di lavoro alle donne di quella società che vogliono legittimamente cambiare aria.
Oppure: contatta tutte le voci femminili famose affinché si adoperino in prima persona per denunciare questa terribile storia.
Oppure, più semplicemente, proponi una raccolta di fondi per pagare un buon avvocato a queste ragazze.
Tutto il tempo impiegato a crogiolarti nel livore gratuito, potevi impiegarlo a fare qualcosa di concreto.

In tutto questo, la influencer in questione ha messo un lucchetto al suo account: di fatto, solo chi la segue può leggere le sue affermazioni contro TUTTI... 

14 ottobre 2019

giocando con il LADIES FOOTBALL CLUB di Stefano Massini

Il fenomeno del calcio femminile nacque in Inghilterra, negli anni della Prima Guerra Mondiale. Squadre divenute poi leggendarie come le Dick Kerr’s Ladies si formarono fra le operaie di stabilimenti tessili o di munizioni, e in breve tempo crebbero a dismisura nell’affetto e nel seguito del pubblico, procurandosi l’aperta ostilità delle istituzioni maschili del calcio. Molte di queste squadre furono dunque costrette a sciogliersi per legge, dopo pochi anni di incredibili successi. Questa è la storia di una di loro.

Un libro che parte con questa premessa - scritto peraltro da un maschietto, potrebbe andare incontro a numerosi difetti: l'agiografia, l'ammiccamento, il finto femminismo, il femminismo da maschio col senso di colpa, il maschio che fa finta di capire la psicologia femminile... tutti trabocchetti, insomma, che le lettrici conoscono bene, specie se di mezzo c'è uno sport, come quello del calcio, la cui liturgia imperante pretende che sia cosa solo maschile.
Eppure Stefano Massini riesce nella dolcissima impresa di non caderci con tutti gli scarpini, regalandoci una storia - anzi: tante storie - che non voglio neanche sapere se siano vere o no; tanto che neanche sono andato a documentarmi. Per me sono vere adesso, esattamente come sono state raccontate in questo piccolo delizioso libretto.
Ironia, molta ironia; leggerezza, ma di quella che non fa finta di essere né leggera né profonda. Una sapiente capacità di indovinare tempi e spazi narrativi. Una scelta (sicuramente aziendale ma che esteticamente funziona) di lasciare le righe isolate, gli spazi vuoti, i momenti lontani uno dall'altro.
Un libro, insomma, che si legge tutto d'un fiato, sperando sempre che l'assunto di partenza non sia vero e che le nostre ragazze continuino a giocare all'infinito.
Credo si possa passare anche per questi libri per far capire a certi capoccioni che non dobbiamo vedere le cose da una prospettiva sessista: lo sport non è né un diritto né una fazione; lo sport è un gioco da giocare (to play, dicono gli inglesi), che va condiviso e vissuto insieme, sugli spalti e sul campo... a meno che a qualcuna non venga in mente di portarsi via la palla.

13 maggio 2014

le disavventure di un disabile onesto (a Roma) 1/2

Il nostro amico diventa disabile nel 1995. 
Oddio, la definizione potrebbe incutere compassioni o scatenare immaginazioni visive che nulla hanno a che vedere con la condizione del nostro eroe. Per la mentalità furbetta italica, infatti, il suo difetto è doppio: sembra normale, si comporta da normale.
Per farla breve, tra le tante conseguenze della sua complicata patologia autoimmune, c'è una sinovite cronica reattiva al ginocchio sinistro che lo tormenterà dal 1997 fino a quando tirerà le cuoia. Una sinovite ciclica e incoerente che di fatto gli fa molto male, perché continuamente prende storte al ginocchio: un po' come quando vi strusciate i denti perché avete morso male una mela; fa impressione, vero? Ma fa anche moOolto male.
Per farla ancor più breve, grazie ai punti acquisiti per altri problemi collaterali alla sua patologia autoimmune, il nostro infortunato, oltre a ottenere di rientrare nel novero delle categorie protette, potrà poi godere anche del permesso disabili. 
Ovviamente dovrà prima soddisfare due requisiti: il primo, che la sua invalidità superi una certa quota percentuale; il secondo, dovrà dimostrare che la patologia che compromette la sua deambulazione sia in qualche modo peggiorativa: né sospesa chissà come/dove, né tantomeno suscettibile di leggeri quanto improbabili miglioramenti. Insomma, il legislatore di allora non aveva immaginato che potessero esistere persone perbene; per cui, o entri strisciando nella stanza dei valutatori e fai scena, o ti attacchi al tram del destino, subendo i capricci del valutatore insofferente e distratto.
Fatto sta che la prima commissione disabili gli regala un 64% di invalidità; dopo tre anni di attesa e peggioramenti vari, la seconda commissione disabili gli commina un 85%, poi però rettificato - per volere del nostro eroe - a 70%. 
Orbene, perché il nostro onesto scemo ha optato per un'invalidità minore? Perché se fosse rimasto così, e se avesse trovato un lavoro fisso, lo avrebbero relegato in un centralino o a fare il commesso da bancone, con prospettive di carriera e soddisfazioni pressoché nulle.
Tant'è che la commissione di verifica capisce la situazione, e restituisce la dignità al nostro onesto disabile. Nel 2002, l'invalidità viene confermata e stabilizzata in una percentuale meno eclatante. Credo sia la prima volta in Italia che un invalido chiede di rettificare verso il basso la propria percentuale di disabilità.
Orbene, raggiunto questo livello di invalidità, e in quelle condizioni di deambulazione, ottenere il permesso auto per disabili sarebbe stato uno scherzo. Macché. Nel frattempo la legge si è fatta più rigida, anche se ancora oggi di fatto non riesce a contrastare i finti disabili che se ne approfittano e/o i parenti carogna che usano i permessi pur non avendone diritto.
Al controllo, la commissione permessi preposta decide che il suo permesso sarà temporaneo e di soli due anni, nonostante la commissione di verifica avesse stabilito in via definitiva come croniche e invalidanti le cause della sua invalidità.
Il nostro, però, non sbatte ciglio e accetta la sentenza. Il permesso, però, gli arriva con sei mesi di ritardo, perché nel frattempo uno dei sindaci più incompetenti che Roma abbia mai avuto, per facilitare certe pratiche ha ovviamente... aumentato sportelli e subappalti. E la cosa bella è che il nostro cittadino riesce ad ottenere il permesso entro quesi sei mesi, solo perché usa la parolina magica: "io lavoro per..." e parte il nome di una supermegazienda.
Una volta ottenuto il permesso disabili... fioccano le multe per aver oltrepassato ZTL e parcheggiato in aree per disabili (nonostante il permesso esposto e la targa registrata). Il Comune di Roma e il registro permessi disabili... non si parlano. Grazie a un amico avvocato, il nostro vince ben 20 ricorsi su 20, ottenendo una media di 200 euro di danni per ricorso che regolarmente rigira al suo avvocato come contributo spese.
Passati due anni, tocca rinnovare il permesso. La nuova commissione permessi si rende conto che il nostro disabile avrebbe diritto al permesso definitivo. E già, nel frattempo la sinovite è peggiorata, e pure le condizioni della patologia autoimmune. Certo, il nostro non lo dà a vedere, continuando a vivere senza piagnisteismi e a lavorare anche per aziende di un certo prestigio. Ma i dati oggettivi, stilati da eminenti prof e da scienziati di ogni dove, garantiscono una cronica disabilità.
Quella commissione permessi gli dice chiaramente: "lei avrebbe diritto al permesso definitivo, ma non ce la sentiamo di darglielo noi; tanto la prossima commissione glielo darà sicuramente". Oltre al danno, anche la beffa: il nuovo permesso gli viene consegnato - nuovamente! - con sei mesi di ritardo.
Dopodiché, e finalmente, passati altri due anni, il nostro disabile incontra un'altra commissione permessi, pensando che sarà una passeggiata. Il medico legale di turno lo guarda e gli consiglia di... pulirsi il culo con i suoi documenti, che tanto si vede che cammina, che deve portargli ulteriori documenti sui suoi problemi... polmonari (notoriamente camminiamo sui polmoni, no?). Gli regala solo sei mesi di permesso, e poi "saranno cazzi suoi".
Il nostro disabile non si perde d'animo e racconta la vicenda via raccomandata al direttore della ASL, che prontamente gli telefona chiedendogli scusa per il comportamento inqualificabile del collega. 
Nel giro di sei mesi, dopo un'accurata e puntigliosa disamina di tutta la sua documentazione, un'altra commissione permessi - la quarta, quindi - lo autorizza a prendere il permesso definitivo... che sarà nelle sue mani dopo qualche giorno (nel frattempo, internet è entrato nel Comune di Roma).
E poi?... alla prossima puntata.

ps ringrazio il disabile che mi ha reso partecipe dell'intera vicenda. Ovviamente ho omesso il suo nome

04 aprile 2014

storie di quotidiana sanità


Un bel giorno di dieci mesi fa, una mia amica endocrinologa mi fa "guarda che è serio, devi fare qualcosa: hai due noduli alla tiroide, e uno dei due non mi piace per niente". Parlo con La SuperEndocrinologa del Pianeta che mi consiglia un'operazione pressoché immediata. 
Certo, c'è da chiedersi come mai l'ospedale toscano SuperSpecializzato che mi segue da 19 anni per altre rogne, non se ne sia mai accorto... ma questa è la prima delle stravaganti peripezie che ho vissuto da luglio scorso. Primo nod(ul)o, è il caso di dirlo: il Migliore Chirurgo tiroidista di Roma ha una lista d'attesa pubblica di 245 pazienti; e privatamente mi costerebbe un occhio della testa.
Ergo, chiamo un mio StrAmico primario, cedo ai miei principi, e gli chiedo se può fare qualcosa. Passano l'estate e il Natale, e vengo chiamato per una preospedalizzazione... evviva la modernità, urlo!
Macché: entro in una stanza più trafficata del GRA, e Anestesista Incazzata Con La Vita mi fa le domande giuste MA senza aspettare le risposte utili. Un classico.
Fatto sta che - secondo nod(ul)o - se solo mi avesse ascoltato subito, avrebbe scoperto che un banalissimo problema che ho alle gambe, mai potrebbe inficiare l'anestesia. E, invece, la questione tornerà.
La tipa mi guarda e fa "tra qualche giorno la chiamiamo per la preospedalizzazione". E questa cos'era? "Una conversazione, che domande!". Ah!
Dopo una settimana, mi chiamano per la (immagino) preospedalizzazione: mi prendono l'orina, mi prelevano il sangue, mi fanno la lastra... e poi? "Ci si vede tra una settimana!". Cioè, tra una settimana mi operate? "No, tra una settimana faremo la preospedalizzazione...". 
E questa cos'era, una conversazione? "No, le abbiamo fatto i prelievi". Ah, se non me l'avesse detto, non me ne sarei accorto...
Seconda preospedalizzazione (forse l'ultima?), terzo nod(ul)o. Anestesista Che Ha Litigato Col Kajal mi fa le stesse identiche domande dell'Incazzata, e mi consiglia una visita specialista da un tipo perché non è convinta della situazione. Che i miei problemi articolari potessero far male alla tiroide malata, mi fa sganasciare dalle risate.
Ergo, dopo qualche giorno, incontro lo specialista articolare che si sganascia anche lui, dando il suo placet all'operazione in due-secondi-due. Il resto del tempo, l'abbiamo passato parlando dei King Crimson e di Bach.
Quarto nod(ul)o: cinque minuti dopo quest'incontro, consegno la cartella al reparto, ma mi dicono che un'altra anestesista deve dare l'ok all'ok dello specialista... ma tra una settimana. Allora divento una bestia e con furba disinvoltura butto là il nome "Rai": nel giro di due-secondi-due, si materializza Anestesista Biondarella che dà il via libera all'operazione. Entro 30 giorni, sarò operato.
Quinto nod(ul)o: certo, sarebbe tutto ok, ma scopro per puro caso la mia cartella è sparita.  Nel giro di altri due giorni, lo StrAmico primario la trova dimenticata dentro un'altra cartella di un tipo con problemi nonsodove. 
Qui di seguito, se ci siete arrivati vivi, perderete il conto di altri nod(ul)i.
Il giorno dell'operazione, mi dicono di presentarmi perentoriamente alle 07:00. Arrivo alle 06:50, e trovo sbarrata la porta del reparto. Arriva Caposala Lemme Lemme alle 07:10 e inizia a ridere: "haivoglia ad aspettare".
Dopo un'ora mi chiama Specializzanda Grissino che mi invita ad entrare nello sbarratissimo reparto; poi mi ributta fuori... un'orda famelica di operandi mi guarda con stupore.
Dopo un'altra ora, mi richiamano, entro nella mia stanza: sarebbe da quattro, stretti stretti, ma ci sono cinque malati. Quello nel "mio" letto viene elegantemente invitato a "togliersi dai coglioni" per dare spazio al sottoscritto.
Finalmente arriva la barella. 
Comincio l'uscita trionfante, guarderò negli occhi mia moglie e le dirò languidamente che la amo e che deve stare tranquilla...
... ma STOP!, "questo non è Loppi!". 
Ah sì, e chi sarei? Arriva la Caposala Lemme Lemme e tira fuori un altro foglio, dicendo "sì, forse questo è Loppi"... mi scusi, ma certo che sono io. "Stia buono che c'è casino".
Durante il trasbordo verso la Sala Operatoria, i due portantini si chiedono dove dovrei essere operato. E io: alla tiroide. "Ne è certo?". Non voglio sapere cosa sarebbe accaduto se avessi risposto negativamente.
Vengo parcheggiato in sala preoperatoria (quella giusta?). Ricordatevi che senza occhiali non ci vedo, neanche se mi pagate.
Arriva ippopotamamente Specializzando TiroSùColNasoMaNonMeLoSoffio e mi spara un pippone sul Consenso Informato, ma se l'è dimenticato.
Lo sostituisce placidamente Specializzanda Shabadabadà che mi spara un altro pippone sul Consenso Informato; peccato che mi faccia firmare quello sbagliato.
Infine, si accosta Specializzanda New Age, e mi sbraca la vena della mano sinistra per mettere una cannuletta piccola così.
Finalmente mi mettono in sala, e mi addormo (come si dice a Roma).
Mi sveglio e sento che ho la testa incastrata: ho il cerottone che tira sul mento; ergo, devo stare sempre chinato per evitare strappi. Solo il giorno dopo, il medico di turno metterà la testa a posto.
Vengo sbattuto sul mio letto, televisione a palla, finestra aperta... uno spasso. Meno male che caratterialmente reagisco bene: tra mia moglie e l'ascolto del Matteo di Bach, dormicchio e parlicchio... ma sto bene, dài.
Nel giro delle 30 ore successive, è accaduto di tutto: mi hanno dato da mangiare quando dovevo stare a digiuno, e mi hanno negato la colazione quando dovevo invece recuperare le forze; è entrato uno sconosciuto per defecare nel nostro bagno (lasciando ossequiosamente la porta aperta, of course); si è cambiato un altro vecchietto per essere operato di lì a poco; mi hanno dato una flebo sbagliata; hanno speronato tutti i letti per schiantarne un altro in orizzontale per far operare d'urgenza un'altra persona; mi hanno gentilmente intimato di "togliermi dai coglioni" perché il mio letto serviva a un altro malato.
Attenzione, stiamo parlando di uno dei migliori ospedali della Capitale; tra i primi in Italia. E non si tratta di soldi che mancano, eh...

25 luglio 2013

consigli per i vostri #viaggi: evitare il Podere Santa Croce

Raramente vado sul personale, perlomeno contro privati cittadini.
Ma in questo caso, è utile affidarsi al potere del web per scoraggiare e isolare certi personaggi.
E alcuni dettagli neutri vi aiuteranno a capire.
Per iniziare, quindi, date un'occhiata a questo link.
Notate qualcosa di strano, vero?
Ora, date un'occhiata a questo link.
Ebbene, le due cose non corrispondono.
Nella sua totale malafede, il proprietario ha tolto dal proprio sito ufficiale il link diretto a TripAdvisor per metterci al suo posto un furbo screenshot delle sole recensioni positive.
Càpita spesso che certi B+B lo facciano, specie - spiace dirlo - quelli del Sud d'Italia.
Il perché è ovvio: su TripAdvisor finiscono recensioni verificabili, specie dopo le ultime terrificanti polemiche che ne avevano messo in dubbio la credibilità.
In più, TripAdvisor è un sistema che vanta numerosi tentativi di imitazione ma che comunque riscontra sempre grande attenzione anche all'estero.
Fatto sta che il Podere Santa Croce si presenta bellino, quasi simpatico.
Certo, ti presentano il caffè con la macchinetta, la piscina è stracolma di insetti (un qualsiasi giardiniere saprebbe impiantare barriere ecologiche acconce), la stradina per arrivarci è dissestata, la reception lascia un po' a desiderare, la stanza puzzava di muffa, l'acqua costava troppo e il cibo era affaticato da troppe spezie... ma uno ci passa sopra, perché un B+B non dev'essere l'Hilton.
E poi sia mia moglie che io abbiamo dormito in posti decisamente più scomodi e in contesti veramente avventurosi.
Ma ora guardate questa foto
Questo è il collo di mia moglie, il giorno successivo una notte decisamente insonne.
Cosa è accaduto?
Semplice: ha subito 53 punture di pappataci. Dentro la stanza da letto.
Prevengo una facile battuta. Perché io ne sono uscito illeso? Perché faccio uso di farmaci.
Prevengo anche la seconda domanda, sicuramente ingenua. I pappataci sono bestiacce, e quindi? E quindi sono come i topi o gli scarafaggi: in natura ci sono, ma non negli ambienti puliti, soleggiati e curati.
In sostanza, se un ambiente chiuso ospita pappataci, che quasi non volano e tendono a non emigrare se non tramite ospiti inconsapevoli e comunque in ambienti promettenti, vuol dire che questo ambiente è sporco, zozzo, mal tenuto, poco areato, mai soleggiato.
Se trovate bestiacce simili dentro una stanza, vuol dire che c'è qualcosa di serio che non va. Anche perché le loro punture sono anche pericolose e potenzialmente portatrici di leishmaniosi, che non è certo il massimo.
Ora, cos'ha fatto il proprietario? 
Privatamente ha farfugliato scuse di circostanza, fregandosene della foto che vedete e della mia cortesia. 
Dopodiché su TripAdvisor ha fatto lo spiritoso con appunti irriverenti e una malizia provocatoria e insultante, procedendo poi nel suo sito come vi ho detto in apertura.
La Toscana è un posto delizioso, meraviglioso. C'ho lasciato la mia adolescenza, e ancora oggi mi fa venire i brividi solo a pensarci.
Ma evitate accuratamente il Podere Santa Croce. Per stare qualche giorno a Saturnia ci sono mille altri posti pronti ad accogliervi, sicuramente puliti, sicuramente più...

24 luglio 2013

la sensibilità

Tutti sono sensibili.
Anche chi consideriamo una bestia.
Perché la sensibilità è un attitudine neutra. Prendiamo come esempio la pellicola fotografica, che appunto è "sensibile": può impressionare il sorriso di un bambino o una bomba atomica.
Stabilita questa ovvietà, c'è però un passo successivo da fare, che forse è addirittura banale: esiste una misura della sensibilità che può essere soggettiva (io piango per Il paziente inglese, tu per l'inno della tua squadra; eguale dignità, quindi), ma esiste anche un valore assoluto della sensibilità (che più o meno forzatamente deve essere condiviso).
Sensibilità come valore è fare silenzio in chiesa, anche se non si crede.
Sensibilità come valore è non rubare il posto di un disabile.
Sensibilità come valore è riconoscere il diritto di chi ci sta di fronte, e rispettarlo indipendentemente dal nostro tornaconto e dalla sua condizione.
Ma siamo ancora nel banale, lo so e me ne scuso.
Ebbene, se durante un gioco di qualsivoglia tipo, ci lasciamo andare, sta alla nostra sensibilità stabilire i limiti dei nostri eccessi o sta alla sensibilità come valore assoluto?
Ecco, io credo, sono convinto, che in questo caso queste due interpretazioni debbano coincidere na-tu-ral-men-te, senza tante chiacchiere.
E credo anche che chi viola questa sensibilità come valore debba essere punito e messo in condizioni di non avere gli stessi diritti di chi, invece, questa sensibilità come valore ce l'ha.
Per dire: usare una condizione sessuale come insulto; usare una scelta religiosa come insulto; usare una provenienza geografica come insulto... non sono scelte sensibili, né tantomeno ascrivibili a una qualsivoglia forma di sensibilità.
Ebbene, la notte scorsa a Testaccio è accaduta qualcosa di molto grave: se ci fosse stato ancora Alemanno come sindaco, Repubblica - e i giornali che menano moralismi a go-go - si sarebbero fatti in quattro per esprimere sdegno e condanna. E, invece, la cosa è letteralmente passata inosservata, avallando di fatto la non sensibilità dei 500 teppisti che hanno lanciato bombe carta e imbrattato le mura pubbliche con scritte indegne e bestiali.
E di tutte quelle porcate che ho visto compiere dalla teppaglia, quella che mi fa ancora soffrire è quell'aver usato come fosse un insulto il cognome di un poliziotto ucciso dalla teppaglia catanese.
Filippo Raciti fu ucciso nel 2007 a lavandinate in faccia (ripeto: lavandinate in faccia), mentre cercava di sedare una megarissa a ridosso dello stadio del Catania.
Immaginate la scena. 
Immaginate queste bestie che sghignazzano mentre vedono un loro amico colpire a morte questo ragazzo. 
Immaginate la moglie e i famigliari di Filippo Raciti che a loro volta immaginano questa terribile scena.
E poi guardate questa scritta. 
Cosa suggerisce la sensibilità? La vostra, eh!




23 luglio 2013

l'ennesimo sgarbo alla città di Roma

Ieri sera, verso le 22:00 e qualcosa, si è consumato a Testaccio l'ennesima manifestazione sgarbata e incivile da parte di un nutrito gruppo di teppisti travestiti da tifosi.
Con la scusa di festeggiare non so quale ricorrenza della squadra di calcio della Roma, simpatici figuri hanno lanciato bombe carta, insultando le opposte tifoserie con urla antisemite, omofobiche, razziste (soprattutto, contro albanesi) e ributtanti allusioni all'agente Raciti, ucciso nel 2007 durante scontri con teppaglia del Catania.
Curioso che il tutto sia stato consentito a due-isolati-due dalla residenza privata del nostro premier.
Curioso che nessun giornale ne abbia ancora parlato, nonostante il fuggi fuggi generale di turisti e passanti di fronte al lancio continuo di bombe carta.
Curioso che la cosa passerà sotto silenzio come passano continuamente schifezze come questa.
Le foto testimoniano il giorno dopo. Dubito che la società sportiva farà qualche dichiarazione, se non aggiungendo che si è trattato di una minoranza. Dubito che la società sportiva cercherà almeno di ripulire le mura dell'intero Rione, alcune ripulite da pochissimo con spese dedotte dalle nostre tasse.



 




17 luglio 2013

perché ilPost non accompagna Facci fuori dalla porta?

Intorno alla ignobile bordata di Calderoli contro il Ministro Kyenge si è scatenata una serie di giochi decisamente imbarazzante. 
Il più banale è stato l'uso del "noi abbiamo detto questo, ma anche voi avete detto quest'altro", tipico di chi non ha argomenti e gioca al rilancio coprolalico.
Poi ci sono stati quelli che non hanno commentato, nonostante per ruolo istituzionale avrebbero dovuto comunque dire qualcosa, perlomeno per rispetto della forma (Renzi ha preferito indignarsi per il sospetto doping giamaicano).
Infine, ci sono quelli come Filippo Facci (un'espresione labiale, una garanzia) che ha twittato:
Affermazione grave, gravissima, che non ha subito le doverose reprimenda da chi doveva, se non da Alessandro Gassmann, che ha risposto così
Le intenzioni di Facci, cinicamente fighette e provocatorie, sono note e chiare da tempo, e in questa circostanza vengono ben riassunte da una blogger
Il discorso potrebbe conludersi qui. 
Nel senso che in un paese civile, Filippo Facci avrebbe perso immediatamente tutti i suoi follower, e l'Ordine dei Giornalisti lo avrebbe espulso - o perlomeno sospeso.
E, se avessero avuto le palle, i direttori dei periodici dove collabora, lo avrebbero messo alla porta seduta stante. 
Così dovrebbe accadere nei paesi civili. 
Qualcuno obietterà che Filippo Facci ha espresso la sua balorda opinione in un ambito privato. Potrebbe anche essere vero. In realtà, il razzismo è razzismo. 
Punto. 
NON è un'opinione più o meno privata. 
Ergo: comunque un personaggio simile andrebbe punito con gli anticorpi che una democrazia seria e civile dovrebbe avere. Così come Calderoli doveva dimettersi - o essere dimesso - anche l'uscita di Facci andava - e va - punita.
E, invece, nulla.
Anzi, ne ilPost ha rincarato la dose con un intervento ben oltre la provocazione gratuita, che si basa su principi che nulla hanno a che vedere con l'orribile tweet di partenza.
Non solo il direttore Luca Sofri continua e continuerà ad ospitare Filippo Facci, ma ha tolto ai lettori la possibilità di commentare un simile testo.