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31 maggio 2021

MILES DAVIS, IL QUITETTO PERDUTO di Bob Gluck (Quodlibet)

Fine anni Sessanta, periodo magico della cultura giovanile: il grande trombettista Miles Davis trasforma il proprio quintetto jazz spingendolo verso il funky e altri generi giovanili. 
In breve il gruppo (con Wayne Shorter al sax) cambia tutta la sezione ritmica, ma in questa nuova veste non entrerà mai in studio d’incisione, e per questo la critica lo chiama il Quintetto Perduto: Chick Corea è al piano elettrico, Dave Holland ai bassi, Jack DeJohnette alla batteria. 
Il critico Bob Gluck ne esplora la musica, che si rivela un amalgama straordinario di elettronica, ritmi metropolitani, interazione collettiva e sperimentazione pura. 
Ma Gluck va oltre, mostrando il tessuto connettivo fra quelle idee e le nuove avanguardie. Corea e Holland escono dal quintetto per formare il gruppo Circle con il batterista Barry Altschul e il sassofonista Anthony Braxton; Braxton e DeJohnette sono membri di un’associazione di sperimentatori da cui nasce un altro trio che Gluck ci fa riscoprire, il Revolutionary Ensemble. La musica d’allora era tutta percorsa da aneliti rivoluzionari.

Un libro incredibile, di rara eccellenza e bellezza.
Ognuna delle parti è suddivisa in maniera chiara e precisa: il contesto storico (quindi non solo musicale), la storia musicale di quel periodo, l'importanza di Miles Davis (e di Teo Macero), la forza innovatrice di quei "nuovi" nomi, un'analisi tecnica, una guida all'ascolto, l'eredità di quel periodo, l'importanza di Ornette Coleman, una guida critica ai bootleg ufficiali del quintetto (usciti a nome di Miles Davis).
Ne ho letti di libri di critica musicale e mai nessuno era arrivato a tale bellezza. 
Qualsiasi palato si ritroverà agilmente in queste pagine: quello supertecnico, quello curioso, persino quello che non conosce nulla di quel periodo.
Periodare eccellente, traduzione scrupolosa, tempi narrativi perfetti, uso dei termini tecnici mai stucchevole, indice analitico e bibliografia accuratissimi.
Non è facile definire emozionante un saggio. Ma questo lo è. 
Anzi, un consiglio: mettetevi accanto i "vecchi" brani ormai abbandonati; sarà sorprendente (ri)trovarli così moderni e attuali.
Buona lettura.

08 febbraio 2015

Peter Erskine fuori e dentro i Weather Report

Divertente, interessante e anche istruttivo: i tre aggettivi che vengono in mente appena conclusa la lettura di questa autobiografia di Peter Erskine
Un libro che merita l'acquisto, anche da parte di chi non è appassionato di batteria e percussioni.
Salta subito all'occhio l'intenzione di non perdersi dietro inutili racconti d'infanzia o aneddoti troppo personali. Peter Erskine, infatti, ama divertirsi e far divertire il lettore, mettendo immediatamente in primo piano la musica e il suo strumento preferito: quella batteria, cioè, che lo trasformò in brevissimo tempo in un innovatore ancora attualissimo e in un pioniere della fusion meno ovvia (anche se lui per primo rifugge da questa definizione, ammettendo però la necessità economica di essersi dovuto cimentare anche con la muzak più insopportabile). 
Ritroviamo grandi del passato come Jaco Pastorius, Joe Zawinul e Mike Brecker, più altri come gli Steps Ahead, Stan Kenton, Dave Weckl, Joni Mitchell, gli Steely Dan, Pat Metheny, Elvis Costello, Diane Krall, Wayne Shorter, John Patitucci... la lista è lunga e piena di sorprese. 
Anzi, scopriamo pure gli angoli segreti di autentici monumenti come Manfred Eicher (un caratterino niente male) o Chick Corea (nella veste di inedito quanto eccellente batterista). In coda al testo figurano cinquanta titoli preferiti dall'autore tra i centinaia cui ha collaborato, anche come leader (anche qui molte sorprese).