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26 gennaio 2015

Ciao Edgar Froese

Che questo pianeta sia bislacco, lo dimostra il fatto che solo oggi sui giornali è apparsa la notizia della morte di Edgar Froese
Ed è ancora più triste immaginare il vostro legittimo "... e chi è?".
Mettiamola così: se non ci fossero stati i suoi Tangerine Dream, oggi non parleremmo di Pink Floyd e di David Bowie, o di William Friedkin e Werner Herzog... per buttare giù i primi nomi che mi vengono in mente.
I Tangerine Dream non solo sono stati tra i pionieri della musica elettronica, ma qualcosa di più: sono riusciti, cioè, a coniugare con rara sapienza e maestria lo sperimentalismo più estremo con un saper raccontare storie musicali perlomeno in maniera popolare, o comunque virtualmente accessibili a tutti.
Possiamo discutere per ore se la musica elettronica possa essere o no "potabile", ma dovremo sempre e comunque qualcosa ai Tangerine Dream. Ed Edgar Froese ne è stato valido sacerdote e onniscente protagonista (l'unico presente in tutte le multiformi formazioni).
Dai 103 album (più 34 colonne sonore) risulta difficile proporvi qualcosa, per almeno due motivi: le opere degli anni '70 sono molto dilatate e forse datate; fornire degli assaggi musicali è sempre rischioso, perché per essere ammiccanti si rischia di essere scorretti.
Però vi posso assicurare che se provaste a esplorare cose come Logos o come Livemiles potreste già farvi un'idea dei due estremi compositivi. 
Certo, le primissime prove sono più genuine di Thief; però è l'idea Tangerine Dream a essere rimasta sempre intatta, coerente con se stessa. 
Ciao, Edgar Froese, che la terra ti sia lieve.


09 febbraio 2014

#GenerationWar, ovvero: dimenticare i volenterosi carnefici

Pare fatto apposta - anche se non lo è - che proprio a ridosso del Giorno del Ricordo, Rai3 abbia proposto Generation War, una miniserie su cinque giovani tedeschi che passano attraverso le atrocità della Seconda Guerra Mondiale uscendone trasformati, e in un certo senso vincenti.
Perché la battuta sul Giorno del Ricordo? Perché la coscienza civile dei paesi che hanno una Storia recente fatta di sangue, di sopraffazione e di dolore - cioè Italia e Germania - sembra vivacchiare nel saper attendere, con la speranza che il Tempo dissolva la Verità, con la certezza che il popolo non sappia, non voglia sapere, non ascolti, non voglia ascoltare.
E se il Giorno del Ricordo è una speculazione storica escogitata da italiani per coprire le atrocità di altri italiani che ebbero come conseguenza anche le Foibe (Alessandra Kersevan insegna), mi meraviglio che i tedeschi abbiano edificato un'opera così scomposta e ricca di indulgenze, di contraddizioni e di sottilissime dimenticanze.
Ora: per quanto un film non possa - e non debba - sintetizzare qualcosa in maniera perfetta e soddisfacente; per quanto bisogna accostarsi alle opere senza aspettarsi quel che si pretende venga rigorosamente narrato; per quanto la Storia sia fatta di duttile Verità e di macroscopici machiavellismi... ridurre la responsabilità tedesca nel modo narrato da Generation War fa veramente male. Insomma, anche i rigorosi tedeschi hanno dimenticato Kant per entrare dentro la stanza crucca della più comoda mistificazione.
Partiamo dagli aspetti tecnici, che potrebbero restare solo tali, ma che forse sono anche figli di un lapsus mentale. La musica, rabberciatamente debitrice del secondo movimento del Concerto Imperatore di Beethoven, lavora di nostalgia, di languore, di pathos preconfezionato e sempre molto puntuale e azzeccato.
La fotografia è sempre identica a se stessa, senza quell'elegante accortezza di saper presentare lo svolgersi del tempo con viraggi differenziati. In più, genera nello spettatore una costante sensazione a metà tra il ricordo doloroso e la (presunta) ricostruzione storica, supportata da una voce fuori campo sempre sul punto di assolvere i peccati dei cinque, e quindi dei tedeschi.
I protagonisti sembrano vittime del sistema, costretti a fare quello che fanno solo dal perfido Hitler e non da un consenso popolare che superò di gran lunga quello del Fascismo (una lettura di Daniel Goldhagen non farebbe male a nessuno).
La Shoah viene spostata in un angolino, in maniera irritante e imbarazzante.
Addirittura, i partigiani polacchi sono trattati alla stessa stregua degli aguzzini nazisti... su questo va fatta una doppia distinzione. La prima: i nazisti costruirono i lager soprattutto in Polonia, perché non volevano urtare la sensibilità della popolazione tedesca (che comunque sapeva, altroché), e perché contavano sul silenzio di una fetta consistente dei polacchi, notoriamente poco inclini all'ebraismo. Ma se poi andiamo nel Giardino dei Giusti, scopriamo che di eroi polacchi che hanno lottato per gli ebrei, ce ne sono. Ergo, la reductio filmica è grossolana e fuorviante.
Secondo motivo: è vero che noi abbiamo Pansa qui in Italia che si sollazza infangando i nostri partigiani; è anche vero che più in generale alcuni partigiani non erano stinchi di santo... ma lasciarsi andare a una furbata mistificatrice ne passa.
È poi evidente, quasi eclatante direi, come una parte delle sequenze sia debitrice dell'ottimo Le benevole di Jonathan Littell. Solo che Littell non assolve, documenta, racconta, e soprattutto non gioca a rimpiattino con le responsabilità del popolo tedesco. In più, il suo cronachismo così asciutto, lineare, ricco di sfumature mai ostentate ma ben evidenti, consente al lettore di fare una viaggio nel dolore e nella miseria senza uscirne né vivo (metaforicamente parlando), né tantomeno conciliante.
Se, insomma, gli autori volevano raccontare una serie di storie tedesche incrociate, potevano evitare sia di alludere troppo a certe vergogne che di scivolare nell'aneddotica spiccia.
I personaggi, poi, sono la fine di ogni possibile dibattito, se non altro perché tutti abbastanza prevedibili; comunque paradigmatici di una sorta di assoluzione collettiva. 
L'ebreo innamorato della futura cantante famosa, sembra uscito da un filmetto minore di Allen, sempre pronto a mostrare un'espressione a metà tra l'inespressivo e l'imbambolato. Questo aver presentato un ebreo tra non ebrei, ricorda un po' certi film americani politically correct in cui bisogna per forza circondare l'eroe del film di neri, ebrei e omosessuali. A casa mia si chiama "uso strumentale". 
Il nazista nudo e puro, invece, presenta rimorsi di coscienza pressoché immediatamente, come se la sua breve carriera da ufficiale (è del 1921) non sia stata invece cosparsa anche da adunate a Norimberga e da festeggiamenti convinti dell'eterno Terzo Reich. Dovrebbe addirittura proteggere il fratello, mentre alla fine è capace solo di disertare senza emendarsi in maniera almeno dignitosa.
Il fratello, invece, esordisce come intellettuale dichiaratamente contrario alla guerra (ma quando mai, perlomeno in maniera così smaccata), si trasforma in robot cinico, ritorna umano, in tempo per far prima scappare l'amico ebreo e quindi salvando da morte certa un plotone del Volkssturm, immolandosi come l'Elias di Platoon.
L'infermiera, prima denuncia platealmente un'ebrea, poi, di fronte all'incalzare della sicura sconfitta, salva il destino di alcuni soldati procrastinando il loro ritorno in battaglia. Viene salvata da stupro sicuro proprio dall'ebrea che aveva denunciato (ebrea che nel frattempo comanda una pattuglia di regolari sovietici!). Comunque, se la cava.
Sulla cantante quasi-ex-fidanzata dell'ebreo, viene intortata una trama strampalata. Va a letto che un tipo della Gestapo per ottenere un salvacondotto per il quasi-fidanzato; e quindi non "pecca", perché il suo gesto è altruistico. Però, seguendo rigorosamente la cronologia del film, in realtà va prima a letto col tipo per diventare famosa; poi, visto che c'è, usa le sue grazie per ottenere il salvacondotto. Fin qui, fatti suoi (e chissenefrega, insomma). Certo è che si presenta stolida e superficiale quando è costretta ad assistere i feriti tedeschi reduci dall'assedio di Stalingrado. Poi, appena rientrata a Berlino, si presenta redenta e disillusa proferendo una provocazione disfattista davanti ad alcuni ufficiali. L'omone della Gestapo la fa prima rinchiudere e quindi fucilare. 
Per concludere, perché il titolo originale è stato modificato nel più asettico "La generazione della guerra"? Unsere Mütter, unsere Väter” (“Le nostre madri e i nostri padri”), è sottile e allusivo, e dovrebbe suscitare argomentazioni e indignazioni ben più profonde di un semplice "vietato ai minori".
In effetti, il direttore di Rai3 Andrea Vianello ha sbagliato (in buonafede, per carità): una pellicola simile andava accompagnata da un'introduzione storica, e conclusa con un dibattito serio tra esperti competenti. Se avete tempo da perdere, iniziate da qui e qui.
A latere, appena ho twittato le mie riserve sul film, un tipo ha replicato: "Perché parli di sottile revisionismo? Un po' di indulgenza effettivamente c'è. Cmq l'ho trovato ben fatto e storicamente accurato". In effetti, se dovessi fare un film sui tedeschi vissuti durante la Seconda Guerra Mondiale, eviterei di parlare dei morti: quasi sei milioni di ebrei, oltre duecentomila tra rom e sinti, oltre duecentomila disabili, ventimila omosessuali, quasi un milione di dissidenti politici... 

28 agosto 2012

fate silenzio!

Una delle piazze di Friburgo ospita i giovanissimi che frequentano l'Università.
Belle facce, bei volti, colori, suoni... ecco, suoni.
Fateci caso: non spicca un urlo, un vociare, un suono sgarbato. Nulla. Solo un costante e allegro brusìo.

Appena tornato a lavoro, un caro collega mi ha raccontato che quando guidò per tutto il Belgio in compagnia di un locale, questi gli fece poi notare che quel giorno aveva suonato il clacson più lui di quanto non lo faccia un belga medio in tutta la sua vita.

Gli ha fatto eco un montatore: quando stava a Parigi chiese ad un francese che conosceva se per caso i cellulari non fossero arrivati lì, visto che nessuno sembrava possederli: "ce li abbiamo, ce li abbiamo; li usiamo per telefonare".

Sono esempi buttati là, è ovvio, indicativi però di un'insofferenza esistenziale di chi non ne può più di subire l'italianità peggiore.
Direte voi: ma una bella dittatura? Di quelle che se sbagli ti taglio le dita? Eh... il problema è che le dittature si affermano avallando la mentalità popolare preesistente. E la nostra non mi sembra così incline al civismo. Anzi.
Quindi, lasciamo perdere: godiamoci l'estero; e quando siamo in Italia, tappiamoci le orecchie e il naso.

17 agosto 2012

da Friburgo ad Heidelberg - 6. Heidelberg

Siamo arrivati. Tra boschi oscuri ed evocativi, una dolcissima traversata del Reno, e pedalate lungo una Germania sempre pulita ed ordinata... siamo arrivati.
Grazie ad Alberto, il gigante emiliano sempre dal cuore aperto al mondo, con un occhio offeso e uno felice, ci ha guidati - a modo suo, si sa - lungo questa bellissima storia.
Grazie a Sara, la sua fiera compagna, che dissimulatamente muore di preoccupazioni dietro l'animo vivace del marito, e che si è spappolata dalle risate con mia moglie.
Grazie a Silvia, che ha sempre il sorriso sulle labbra e gli occhi veeerdi su cui disperdere la passione.
Grazie al professor Massobrio, che mi salvò letteralmente la gamba destra.
Per ora mi vien da dire che finisco qua questo tipo di vacanze: troppo dolore e troppe fitte.
Poi, domani, si vedrà.

16 agosto 2012

da Friburgo ad Heidelberg - 5. Bruchsal

Giornata pedalosa, ma arida di fiammate, se non quando siamo finiti dentro Karlsruhe. Ricca, moderna e austera, ha un castello con un parco così immenso che termina chissà dove.
Natura a perdifiato, circondata dalla modernità. Tutto è limpido e pulito, civile e grazioso. Si può essere moderni e civili: ma vallo a spiegare a un romano medio.
Il gruppo ha delle dinamiche così oliate che quasi ci si cerca e ci si stimola a vicenda per vederle confermate.
Domani, ultima pedalata. Poi tutto resterà chiuso nella nostalgia.

15 agosto 2012

da Friburgo ad Heidelberg - 4. Rastaff

Là dove Strasburgo finisce sul Reno, e ritorni in Germania, dopo un'ora decisa di pedalata, entri in un bosco interrotto da campi, stradine, ponticelli; e qui incroci il nostro gruppo che incontra due giovani.
Siamo italiani, e ci s'intende: perché gli italiani perbene sanno che quella della gita ciclistica è cosa rara, non per cecioni o fighetti o sfigati travet come certi miei colleghi della Rai.
Lui è di Asti, lei di Colonia. Da un anno non vede i suoi. Hanno deciso di percorrere in bici l'intero percorso. Da Asti fino a Colonia!
Ci si scambia pareri, una mappa; il gigante emiliano apre il suo cuore anche a loro, come solo lui sa fare. Le donne, invece, cigolano parlate intorno alla ragazzina. È giovane ed entusiasta, appena uscita da un telefilm tedesco; forse un po' naive... un po' troppo, ecco.
Si prosegue lungo il Reno: è un fiume sornione ed elegante. Si sente che ne ha viste tante. Fa impressione essere dentro la Storia e vedere fi-si-ca-men-te un confine che si sviluppa all'infinito.
Paesaggio monotono ma affascinante: ero così preso dall'armonia che per venti minuti ho pedalato come un folle in compagnia di Lucio Battisti... già, proprio lui.

14 agosto 2012

da Friburgo ad Heidelberg - 3. Strasburgo

Pedalata delicata, tra boschi di altri tempi, cittadine ordinate e tenute agricole dissimulate. 60 chilometri accanto a un fiume/palude/torrente, immersi nel silenzio più totale, dove anche il ritmico rumore del pedalare diventa reato.
Tutto è in armonia, regalando momenti di estasi quasi imbarazzanti per quanto sono assoluti.
Strasburgo è un gioiellino, quasi affettato, ma molto bello. Sembra una Bruges un po' più sorniona, ricca di inquadrature leggere e romantiche.
Domani forse passeremo a Baden-Baden.

13 agosto 2012

da Friburgo ad Heidelberg - 2. Obernai

Secondo giorno con errore strategico: per evitare salite, abbiamo girato intorno a una collinona per poi trovarci dopo - quand'eravamo ormai stanchi - almeno una decina di salitine toste, una dopo l'altra.
Francesi cordiali e puliti.
Organizzazione latita alla grande: neanche ci avevano prenotato la cena già pagata.
Il gigante emiliano ha un'energia mostruosa. Le nostre fanciulle sono stanche. Io deluso da mia lentezza.
Ma i posti sono da sogno. Altroché: da so-gno!

12 agosto 2012

da Friburgo ad Heidelberg - 1. Colmar

Col gigante emiliano e la sua fanciulla, con mia moglie nel mio cuore, abbiamo aspettato oltre tre ore la consegna delle bici.
Girolibero e il suo omologo tedesco hanno combinato un casino da urla di indignazione, anche dal più paziente dei giobbe circolanti.
Ma il peggio sono le mappe: tradotte con Gugul Transaltor, dànno indicazioni che neanche Fantozzi.
Epperò l'Alsazia è una poesia: silenzio e boschi, silenzio e borghi antichi che appaiono dal nulla, silenzio e campi coltivati.
Primo giorno un po' strano: belle le cose viste; scandalosa l'organizzazione.

07 febbraio 2011

il discorso del re

Film notevole questo Il discorso del re.
Ricco di sostanza e di gusto sofisticato ma mai zuccheroso, segue una parabola narrativa perfetta e ben delineata. Regia sobria, recitazione precisa (meglio vederlo in inglese), fotografia mai invadente e ben misurata, tempi narrativi da manuale.
Ad essere petulanti, mi sovviene una sola domanda: che senso ha selezionare le musiche di Beethoven e Mozart per i momenti topici della trama?
Voglio dire: la Settima Sinfonia e il Concerto Imperatore del tedesco Ludovico van, Le Nozze di Figaro e il Concerto per clarinetto e orchestra dell'austriaco Mozart, sono tra le pagine più sublimi della Storia dell'Uomo.
Ma se si voleva dare totale dignità alla forma e alla sostanza della vittoria di Re Giorgio VI contro la sua balbuzie, enfatizzandola con musiche precise, perché rivolgersi a compositori contestualmente del "nemico"?
Certo, la tradizione musicale britannica non è altrettanto potente. Giusto Purcell ha fatto qualcosa di analogo ai due supereroi sopra citati (e non scomodiamo Händel, perché era di origini tedesche): però in questi casi ci si deve spremere, o scrivendo componimenti originali o andando a scovare qualcosa di meno noto, però nazionalistico e comunque intenso.
Insomma, il film è bellissimo: ha però questo neo musicale che proprio non riesco a digerire. Il regista se ne farà una ragione...?

Per la gioia degli appassionati, ecco il discorso originale:



E questo è il trailer del film:

05 settembre 2010

Lotte Eisner racconta Murnau

In un'ipotetica nazionale di calcio, con due giocatori così si potrebbe vincere di tutto.
Lotte Eisner è la prima grande sceneggiatrice (ma non solo) che il cinema ricordi; Murnau è forse il più grande regista tedesco di tutti i tempi.
E se la prima decide di raccontare il secondo, state sicuri che avrete in mano un testo piùccheperfetto, essenziale sia per i cultori del cinema che per gli amanti delle belle cose.
E come ciliegina sulla torta, la nuova edizione ripulita e con aggiunte notevoli (non ultima la sceneggiatura del Nosferatu che vi ho proposto mesi fa nella rubrica domenica cinema) è curata dalla padovana Alet, vero e proprio gioiello dell'editoria italica.

21 giugno 2010

the reader

Per chi non avesse visto The Reader, premetto che questo post contiene spoiler: quindi passate oltre, e ci si legge per altre cose.

Sembra quasi di ritornare sugli argomenti già affrontati in The Road: cosa faresti se fossi al posto di? Insomma, l'idea tipicamente anglosassone (e quindi molto protestante) del "what if" torna con altra foggia in questo film molto interessante, nitido e senza momenti di stanca o di poca tenuta come un argomento del genere poteva comportare. Il rischio del doppio finale c'è, ma è ben contenuto dal sempre ottimo Ralph Fiennes.
Allora: l'enigmatica Kate Winslet è una bigia bigliettaia nella Germania post sconfitta, e fa innamorare di sé un giovanissimo rampollo (quasi vent'anni di differenza). La storia si consuma tra sesso vigoroso ma tenerissimo e una strana passione della signora: ama farsi leggere libri di un certo spessore, che sappiano raccontare storie ben oltre il testo affrontato.
L'affaire dura pochi mesi, perché ad un certo punto la donna sparisce nel nulla più assoluto. E anni dopo, durante gli studi universitari di giurisprudenza, il nostro ragazzo ormai cresciuto la ritroverà nel banco degli imputati come coresponsabile della morte di trecento deportate di Auschwitz durante la terribilmente nota Marcia della morte.
Durante il processo, il nostro protagonista si sente spinto verso mille direzioni, con una totale e disarmante difficoltà nel vivere una situazione del genere.
La donna che aveva amato, che le aveva lasciato un profondo segno nel cuore, non solo gli aveva tenuto nascosto un segreto così devastante, ma adesso stava lì di fronte a un tribunale che l'avrebbe giudicata per i suoi crimini di aguzzina nazista. E durante il dibattito scopriamo che la pena sarà commisurata all'esatta responsabilità di chi aveva permesso la morte di trecente deportate chiuse dentro una chiesa in fiamme.
C'è un documento che la mette con le spalle al muro... e solo allora il ragzzo capisce che c'è qualcosa che non va: Kate Winslet è analfabeta! Come poteva leggere o firmare documenti così dettagliati. Ma né lei né lui lo diranno alla corte giudicante, che infatti le commina una pena terribile - l'ergastolo - mentre alle altre kapò verrano imposti soli quattro anni e rotti di galera.
Insomma, il ragazzo avrebbe potuto salvarla da una sentenza eterna, ma non lo fa! Tanto che cercherà di porre rimedio al senso di colpa tempestandola di nastri registrati attraverso cui lei potrà "leggere" quei romanzi testimoni malfermi di un amore ormai perduto.
Il ragionare su colpe e su Giustizia diventerebbe un esercizio terribile, specie di fronte alla Shoah. Però: la Giustizia è cosa assoluta, o la dobbiamo usare come conviene?
Se la donna avesse subito una pena mite perché analfabeta, cosa ne sarebbe stato della carriera del suo testimone chiave? E voi: colpevole per colpevole, avreste detto la verità o avreste lasciato vincere il silenzio?


05 settembre 2009

i bei discorsi:
Angela Merkel

IL MIRACOLO DELLA PACE

da Repubblica - 2 settembre 2009

COMINCIÒ sessant' anni fa con l' aggressione tedesca alla Polonia il capitolo più tragico della storia europea. La guerra scatenata dalla Germania portò dolore e sofferenza incommensurabili a molti popoli, anni di totale privazione dei diritti, anni di umiliazione e distruzione. Nessun paese ha sofferto cosìa lungo dell' occupazione tedesca come la Polonia. Proprio nei tempi bui, di cui parliamo oggi, il Paese fu raso al suolo. Cittàe villaggi vennero distrutti. Nella capitale, dopo che l' insurrezione del 1944 fu soffocata nel sangue, non fu lasciata in piedi nemmeno una pietra. Potere arbitrario e violenza segnarono in quegli anni la vita quotidiana di ogni famiglia polacca. Oggi qui, sulla Westerplatte di Danzica, io, cancelliera federale, ricordo con rispetto profondo tutti i polacchi a cui fu arrecato dolore inenarrabile sotto i crimini dell' occupazione tedesca. Gli orrori del ventesimo secolo ebbero il loro culmine nell' Olocausto, la sistematica persecuzionee sterminio degli ebrei d' Europa. Io ricordo con rispetto profondo i sei milioni di ebrei e tutti gli altri che trovarono una morte atroce nei campi di concentramento e di sterminio tedeschi. Io ricordo con rispetto profondo i molti milioni di uomini che dovettero sacrificare la loro vita nella guerra e nella Resistenza contro la Germania. Io ricordo con rispetto profondo tutti gli innocenti che dovettero morire di fame, freddo o malattia a causa della violenza di quella guerra e delle sue conseguenze. Io ricordo con rispetto profondo i 60 milioni di esseri umani che persero la vita a causa di questa guerra che fu scatenata dalla Germania. Non ci sono parole che possano restituire il dolore atroce di questa guerra e dell' Olocausto. Io m' inchino davanti alle vittime. Lo sappiamo bene: non possiamo cancellare l' orrore della seconda guerra mondiale o fare come se non fosse accaduto. Le cicatrici resteranno a lungo visibili. Il nostro compito è costruire il futuro con la consapevolezza sempre presente della nostra responsabilità. L' Europa siè trasformata da continente d' orrore e violenza in un continente di libertà e pace. Il fatto che ciò sia stato possibile è né più né meno che un miracolo. Noi tedeschi non lo abbiamo mai dimenticato: gli amici della Germania all' Est e all' Ovest hanno aperto questa strada con la loro prontezza alla riconciliazione. Hanno teso a noi tedeschi la mano della riconciliazione e noi l' abbiamo afferrata, colmi di gratitudine. Sì, è un miracolo il fatto che noi quest' anno non dobbiamo ricordare solo gli abissi d' infamia della storia europea avvenuti settant' anni fa. È un miracolo che possiamo anche ricordare quei giorni felicie fortunati che vent' anni fa portarono alla caduta del Muro di Berlino, alla riunificazione della Germania e all' unità dell' Europa. Perché solo con la caduta della cortina di ferro il cammino dell' Europa verso la libertà poté dirsi compiuto. Nella tradizione di Solidarnosc in Polonia, la gente allora aprì ovunque con coraggio le porte verso la libertà. Noi tedeschi non lo dimenticheremo mai. Non dimenticheremo il ruolo dei nostri amici in Polonia, in Ungheria e nell' allora Cecoslovacchia. Non dimenticheremo il ruolo di Mikhail Gorbaciov e dei nostri amici e alleati occidentali. Non dimenticheremo il ruolo della forza morale della Verità che nessuno incarnò in modo così convincente e credibile come Papa Giovanni Paolo II. Anche per questo noi tedeschi ci siamo impegnati ad aprire alla Polonia e agli altri Stati dell' Europa centrale e orientale la strada verso l' ingresso nell' Unione Europea e nella Nato e a stare al loro fianco. Sì, è un miracolo, una grazia, il fatto che noi europei oggi possiamo vivere in libertà e in pace. Non c' è nulla che possa rappresentare la grande differenza tra il 1939e oggi meglio della stretta e fiduciosa collaborazione tra Germania e Polonia e delle molteplici relazioni d' amicizia tra i nostri due Paesi. L' unità dell' Europa e l' amicizia della Germania coni suoi vicini trovano forza nel fatto che noi non chiudiamo gli occhi sulla nostra storia. Lo hanno ben colto i presidenti delle conferenze episcopali tedesca e polacca nella loro ultima dichiarazione congiunta: «Insieme dobbiamo guardare al futuro senza dimenticare o minimizzare la realtà storica in tutti i suoi aspetti». Se nel mio Paese pensiamo anche al destino dei tedeschi che, in seguito alla guerra, persero la loro patria, lo facciamo sempre nel senso indicato da queste parole dei vescovi. Lo facciamo con piena consapevolezza della responsabilità della Germania. Lo facciamo senza voler riscrivere il capitolo che riguarda la responsabilità storica della Germania. Questo non accadrà mai. Proprio consapevole di tutto ciò, settant' anni dopo io sono venuta qui a Danzica, in questa città segnata dal dolore, ma splendidamente restaurata. Signor Presidente, signor Primo ministro, mi commuove profondamente il fatto che mi abbiate invitato alla cerimonia di oggi in qualità di cancelliera tedesca. Vedo in questa vostra scelta un segno del nostro rapporto di fiducia, della nostra stretta cooperazione e dell' autentica amicizia tra i nostri due Paesi, tra la gente in Germania e in Polonia. E per questo voglio ringraziarvi. - ANGELA MERKEL

08 febbraio 2009

sermone sul caso Englaro

Carissimo,

come stai?

Ti mando in allegato il sermone che ho pronunciato stamattina a partire dal testo proposto per oggi dal lezionario, ma che mi ha permesso di parlare di una situazione attuale che sta a cuore a molti.

Il Vaticano non può avere il monopolio su questa e su altre questioni e sarebbe importante che la gente comprendesse che ci sono cristiani che la vedono in modo diverso e che sono solidali con Beppino Englaro e sua moglie Saturna.

Un saluto affettuoso!

past. Sergio Manna 

 

 

Marco 1:29-31

Care sorelle e cari fratelli,

in questo breve episodio Marco ci racconta uno dei primi miracoli di Gesù.

Una donna è a letto afflitta dalla malattia. Gesù arriva, le prende la mano, la libera dalla febbre e la guarisce.

La donna è la suocera di Pietro che subito si alza e si mette a servirli.

C’è chi ha voluto fare una lettura malevola di questo miracolo.

Si tratterebbe di una guarigione maschilista, dettata da bassi bisogni primari.

Gesù e i suoi hanno fame e allora val la pena di guarire la suocera di Pietro, che altrimenti chi preparerà il pranzo?

Naturalmente fare una simile lettura vuol dire applicare categorie di pensiero moderne ad un racconto del I secolo.

In realtà, per la mentalità dell’epoca, quando c’erano ospiti di riguardo era considerato come un grande onore il poterli servire.

Era un privilegio farlo;  un privilegio ed un onore che toccavano alla donna più anziana della casa.

E dunque, per la suocera di Pietro, l’essere ammalata proprio nel giorno in cui un famoso maestro era ospite in casa sua era sicuramente motivo di dispiacere.

Doveva pesarle molto il non poter esercitare l’onore e il privilegio che le spettava, di manifestare l’ospitalità a Gesù mediante il servizio che le competeva in quanto donna più anziana della casa.

E dunque, a bene vedere, Gesù nel guarirla rivela grande attenzione e sensibilità; le restituisce il suo ruolo, la sua posizione.

La guarigione che egli opera non ha soltanto un effetto fisico; ne ha anche uno di carattere sociale, perché reintegra la persona, le restituisce il suo status, la sua posizione, la sua funzione.

Non si tratta di un atto maschilista, ma di un’azione liberatrice che nasce dalla sensibilità e dall’attenzione ai bisogni della persona.

Ecco, qui c’è un punto importante che tocca anche l’attualità.

Essere sensibili e attenti ai bisogni delle persone e compiere gesti di liberazione.

Leggendo questa pagina del Vangelo non ho potuto fare a meno di pensare ad un’altra donna costretta a letto e impossibilitata a muoversi, per la quale però non sembra esserci alcuna guarigione possibile.

Mi riferisco a Eluana Englaro e al clamore suscitato dalla decisione della Corte d’Appello, confermata poi dalla Cassazione, di autorizzare l’interruzione dell’alimentazione forzata e degli altri supporti che la mantengono artificialmente in vita.

Eluana è in stato vegetativo permanente da 17 anni, inchiodata ad un letto, priva di coscienza, prigioniera di un corpo che è diventato il suo sarcofago.

Nel suo caso non sembra esserci alcuna possibilità di risveglio, di ritorno alla vita.

È vero che c’è anche ci esce dal coma. È vero che a Bologna esiste una Casa dei risvegli, dove vengono ricoverate persone in stato vegetativo permanente.

Ma se entro un anno tali persone non si risvegliano si rinuncia a seguirle, perché dopo un anno le speranze diventano troppo scarse.

Per  Eluana di anni ne sono passati ben 17 e ciò che si sta prolungando nel suo caso non è la vita; semmai l’agonia.

Quale gesto liberatorio richiederebbero in questo caso  l’attenzione e la sensibilità ai bisogni della persona?

I familiari di Eluana chiedono dal 1992 che l’alimentazione forzata venga interrotta affinché la loro figlia possa andarsene in pace.

Eluana stessa, prima dell’incidente che l’ha ridotta in quello stato, aveva chiaramente  manifestato  la volontà di non essere tenuta in vita artificialmente se le fosse accaduto qualcosa. L’aver visto un amico in coma l’aveva portata a quella decisione.

Il tribunale, dopo aver esaminato ogni cosa, ha dato finalmente ragione ad Eluana e ai suoi genitori.

Ma la chiesa cattolica e i politici che dipendono troppo dal voto di quest’ultima gridano allo scandalo e non si vergognano di pronunciare parole durissime contro il padre di Eluana e contro quanti intendono, nel rispetto della legge e dell’articolo 32 della Costituzione,  rispettare l’autonomia e la volontà della persona.

Volano parole grosse: si parla di omicidio, di assassinio.

Beppino Englaro, un uomo consumato dal dolore, viene definito con arroganza come un padre snaturato.

E tutto questo nel nome di Dio.

Nessun rispetto per il dolore di quest’uomo e di sua moglie.

Nessun rispetto, nessuna sensibilità, nessuna attenzione ai bisogni della persona.

Autorevoli specialisti affermano che Eluana non soffrirà, perché le funzioni superiori del suo cervello sono intaccate e dunque non può provare né fame, né sete, né dolore; sensazioni che richiedono l’elaborazione della coscienza, cioè proprio ciò che manca a chi ha lesioni cerebrali come quelle di Eluana e si trova in stato vegetativo permanete.

Ma altri specialisti, messi in campo dall’associazione dei medici cattolici, insorgono e prospettano per Eluana una morte atroce: un farla morire di fame e di sete, quasi si trattasse di una persona perfettamente cosciente che viene chiusa in una stanza senza cibo né acqua fino alla morte.

Naturalmente non è così, ma evocare questo tipo di immagini fa certamente effetto sull’opinione pubblica.

A quanto pare anche il governo  ha deciso di cavalcare l’onda e sembra intenzionato a impedire, tramite un decreto, ciò che un tribunale ha legittimamente autorizzato.

E in tutto questo si fa uso e abuso del nome di Dio.

Io ho la sensazione che in fondo a chi ha trasformato questa situazione dolorosa in una battaglia ideologica non importi nulla né di Dio né di Eluana.

E tuttavia voglio provare, soltanto per un momento, a credere alle tesi di chi sostiene che con la sospensione dell’alimentazione forzata e dell’idratazione artificiale Eluana soffrirà.

Questo vorrebbe dire che Eluana sarà cosciente di quello che le sta avvenendo.

Ma allora se sarà consapevole che sta morendo di fame e di sete, vorrà anche dire che è stata consapevole della propria condizione per tutti questi lunghissimi diciassette anni; consapevole di essere in un corpo che non può muoversi, che non può reagire, che non può comunicare in nessun modo con l’esterno, che non può manifestare emozioni, che non può controllare la in alcun modo le proprie funzioni; un corpo divenuto come una sorta di sarcofago.  E in più con la consapevolezza di essere tenuta in quelle condizioni contro il proprio volere, avendo a suo tempo dichiarato apertamente di preferire la morte a tutto questo.

Sarebbe pazzesco!

Come vi sentireste voi se vi trovaste al posto di Eluana e se foste consapevoli di essere in quella situazione da 17 anni?

Vorreste forse rimanerci per altri 40 anni (come vorrebbero i sedicenti “paladini della vita”) o non preferireste piuttosto che quella tortura finisse, anche se si trattasse di morire di fame e di sete?

Cosa considerereste più atroce la morte o non piuttosto il prolungamento forzato della  vita in quelle condizioni?

A ciascuno la sua risposta.  

Da credente evangelico io penso che in questi come i altri casi debba valere ciò che Gesù ha detto ai suoi discepoli, tanto in positivo quanto in negativo:  “Fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”.

Cosa vorremmo per noi stessi se ci trovassimo al posto di Eluana?

Il rispetto della nostra volontà o che la nostra volontà venga calpestata?

Se c’è una cosa che mi è diventata quanto mai chiara in questi giorni è la necessità assoluta che nel nostro paese si arrivi al più presto ad una legge seria sul testamento biologico, affinché casi come questo di Eluana (quale che sia il suo esito) non abbiano a ripetersi.

La gerarchia cattolica nel nostro paese appare come un blocco monolitico deciso a difendere la vita anche a costo di prolungare l’agonia di una persona fino all’inverosimile.

In Germania, invece, il cardinale Karl Lehmann, presidente della conferenza episcopale cattolica, insieme a Manfred Koch, presidente del consiglio delle chiese evangeliche tedesche, ha distribuito, un paio di mesi fa, nel duomo di Muenster, un esempio di testamento biologico che riconosce l’autodeterminazione della persona e il suo diritto di rifiutare tutte le procedure che non servono a migliorare la qualità della vita ma soltanto a dilazionare la morte.

Non si capisce perché Ratzinger e i suoi non possano prendere esempio dai loro colleghi tedeschi.

C’è ancora una cosa che mi lascia perplesso nell’atteggiamento di molti cattolici.

Tutto questo attaccamento alla vita, questo volerne impedire la fine naturale in ogni modo, mi sembra davvero in contraddizione con l’affermazione di credere nella resurrezione, in una vita oltre la vita, nell’esistenza del paradiso.

Tutto questo accanimento sul povero corpo di Eluana mi pare indegno da parte di persone che dicono di credere in un Dio misericordioso capace di liberare dalla sofferenza e accogliere chi muore nel suo regno.

Per vie naturali Eluana Englaro se ne sarebbe andata in pace già nel 1992; con metodi artificiali la sua vita è diventata un calvario per ben 17 anni.

L’agire del Signore Gesù Cristo è stato sempre caratterizzato dall’attenzione alla persona, ai suoi bisogni: un agire orientato alla liberazione.

E allora, da credente, mi chiedo (e vorrei chiedere a coloro che stanno manifestando fuori dalla clinica di Udine) cosa sarebbe davvero liberatorio per Eluana; cosa manifesterebbe davvero attenzione alla sua persona e ai suoi bisogni.

Ho iniziato riflettendo su Gesù che prende per mano la suocera di Pietro, la libera dalla febbre e l’aiuta ad alzarsi.

Voglio concludere ora con un’ immagine diversa ma simile.

M’immagino Cristo seduto ai piedi del letto di Eluana, che le prende la mano e finalmente la libera da quel corpo divenuto il sarcofago nel quale è stata prigioniera per gli ultimi 17 anni; immagino Gesù che la libera e l’aiuta ad alzarsi per portarla con sé e donarle finalmente pace e riposo in attesa della resurrezione.

Oggi accenderò una candela e la metterò davanti alla finestra del mio studio e questa sarà la mia preghiera. Spero possa essere anche la vostra.

AMEN

 

25 agosto 2008

la potenza del corpo

Il corpo, non solo quello umano. Ma anche lo "spirito di corpo", che in molti dovreste sperimentare prima di continuare a tediarvi nelle vostre scarne vite.
Da oggi sono un supereroe, perché ho vissuto un'esperienza rara e unica che auguro a tutti di potervi inventare, tanto costa poco e tanto è facile da organizzare: una gita in bicicletta.
In sei giorni, ho percorso 370 chilometri lungo il Danubio, dall'austriaca Vienna, passando per la slovacca Bratislava, per finire all'ungherese Budapest.
370 chilometri in cui ho imparato a conoscere il mio corpo - e lo "spirito di corpo", senza mai perdere contatto con la realtà, ma leggendola da un punto di vista totalmente nuovo, come se fosse la prima volta.
Ogni volta che stavo per cedere, ogni volta che disperavo, ogni volta che sentivo il ginocchio dolorare terribilmente. Ogni volta che la salita si presentava più alta e perigliosa, ogni volta che la strada mordeva tutte le mie membra più recondite, ogni volta che sentivo crollarmi dentro le mie energie... c'erano due persone accanto a me.
Sempre.
Mia moglie o Alberto, un gigante emiliano dal cuore generoso di un bambino maturo e sorridente, che mi aspettavano, mi coccolavano, mi suggerivano, mi sorridevano.
Erano come una luce nel buio di uno sforzo mai intrapreso prima, impossibile per chi ha la sarcoidosi come me, perché il cuore è disperato, i polmoni affaticati, le giunture sfibrate e sfibranti.
E allora senti che avere accanto qualcuno, silente ma presente, che sa darti gioia e coraggio, significa che forse c'è ancora qualcuno che sa esistere e non sopravvivere a se stesso.
Eppoi... che mangiate, ragazzi, che mangiate!
Perché il corpo brucia come una macina. 4 litri d'acqua in 6 ore senza mai andare in bagno. Primo, secondo, terzo, dolce e caffè sia a pranzo che a cena, magari rubando anche dal piatto di mia moglie... il corpo brucia, eccome se brucia.
Non c'è niente di più bello che mangiare con persone belle, una famiglia intorno al cuore di quest'uomo, mia moglie che sorride anche quando dorme, e una bicicletta che non si romperà mai.
Io da oggi sono un supereroe, perché ho conosciuto veri esseri umani.

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30 novembre 2007

tassisti e buoi
dei paesi tuoi

I post su commissione sono stimolanti e impegnativi al tempo stesso: mentre Benigni mi deliziava col suo irrefrenabile Quinto Canto dantesco, Andrea D. mi manda un sms chiedendomi un post sui tassisti nostrani.
Be', innanzitutto la parola taxi mi rimanda irrimediabilmente a Rilke, uno dei miei poeti preferiti. Le sue mirabili elegie duinesi furono intarsiate durante i soggiorni in quel della magione di Duino, di proprietà della principessa Marie Hohenlohe von Thurn und Taxis. Non ci vuole un genio per intuire che i tassisti di tutto il pianeta prendono il nome da una felice intuizione di quei nobili, ancor oggi una delle casate più raffinate e ammirate d'Europa.
Già, che noi invece li chiamiamo tassinari perché spesso sa più di insulto classista che di riconoscimento professionale. Non voglio fare la mia solita polemica trasversale contro i vari sofrimillescalfarotti, perché tanto non sortisce l'effetto voluto/dovuto: ho notato, però, che nessuno di questi accoliti veltroniani ha speso una parola una su come Valter stia permettendo a questi figuri di comportarsi come si comportano. Se siamo arrivati all'assedio fascistoide è perché finora Veltroni si è dimostrato non credibile. Silenzio per malafede, ipocrisia o censura? Fate voi.
Arrivate a Fiumicino e venite accolti da loschi figuri che impongono cifre scandalose. Alla Stazione Termini è ancor peggio... eppoi fumano, blaterano contro tutto e contro tutti, non rispettano il codice della strada. E dire che hanno sulle portiere il simbolo del Comune di Roma (dico: Roma!).
Ricordate Il collezionista di ossa, film che fece conoscere ai più le michelin di Angelina Jolie? In una scena di raccordo, un tassista taglia impercettibilmente la strada a un'auto. Immediatamente gli si accosta un tipo col tesserino comunale per multarlo; una sorta di poliziotto dei tassisti. Poi si scopre che l'altro è l'assassino... ma l'idea culturale resta, e fa impressione. A New York, infatti, i tassisti rispettano le regole in maniera direi paranoica. Non rompono le scatole coi loro deliri, rilasciano la ricevuta fiscale senza che tu debba chiedergliela; fantascienza forse, ma New York è mille volte più grande di Roma, quindi certi giustificazionismi sinistrorsi nostrani sono indecenti.
Ad Amsterdam era saltata la corrente elettrica: il trenino per l'aeroporto non poteva partire. Nel giro di pochi minuti, decine di taxi hanno prelevato gli appiedati per portarli di corsa alla mèta. Sempre rispettando i limiti di velocità, le strisce pedonali e... il tariffario, visibile e vincolato.
Ad Anversa un tipo silmil Camus si è prodigato a spiegarci i posti più attraenti e quelli più pericolosi dell'intera città. Nessuna ricevuta, ma il tarrifario è regolarmente segnalato da un cartellone grande così dentro la splendida stazione ferroviaria.
A Barbados le cifre/tragitto sono regolamentate da tabelle governative. L'isola è microscopica, non puoi metterti certo a fare il furbacchione. Va detto che anche a Roma ci sarebbero cifre/base su alcuni tragitti ben precisi. Inutile chiedersi quanto vengano rispettate.
A Barcellona il servizio è sobrio, senza pretese, ma preciso e puntuale. Diciamo che litigano col codice della strada, ma quel poco che basta. Comunque impongono tariffe bassissime.
Da Bergen dovevo andare in un hotel disperso tra i boschi norvegesi. Prima di servirmi, il tassista mi ha indicato la cifra approssimativa e la durata del tragitto (così eventualmente potevo prendere il pullmann), offendendosi quando gli ho chiesto se mi avrebbe rilasciato la ricevuta per il mio ufficio. Lì è cosa naturale, con tanto di segnalazione scritta del tragitto e delle aree tariffarie.
A Berlino, codice della strada puntigliosamente rispettato, perfetto inglese, cortesia di circostanza ma ineccepibile.
A Dublino il tipo quasi si scusò per aver rivolto la parola a me e mia moglie. Il bello è che non si è mai permesso di guardarla o di rivolgersi direttamente a lei; passava sempre per il mio sguardo. Uomo di popolo, ma attento al suo ruolo istituzionale.
Nell'alto Egitto (che poi è nel sud, lo sapete) sono gli stessi tassisti ad autotutelarsi, limitando lo spazio ai furbi e agli illegali.
In Kenia i tassisti cattivelli vengono filtrati. A meno che uno non sia un imbecille, è pressoché impossibile farsi raggirare, perlomeno all'uscita dell'aeroporto.
A Lisbona il tassista ci ha portati in loco senza fiatare, guidando civilmente e depositandoci esattamente all'entrata del nostro settore. Ricevuta fiscale e sorriso sbiadito.
A Miami i quattro taxi che abbiamo preso si son comportati egregiamente, rilasciando ricevuta fiscale e abbassando la musica senza che noi lo chiedessimo.
A Toronto nessun problema di sorta. Tassisti discreti e attenti, osservano meticolosamente il codice della strada, tariffario rispettato e nessuna confidenza.
Vi dirò, a Creta ho incontrato l'unico tassinaro veramente cretino: guidava con le ginocchia, contromano in curva, a 130 km orari, agitando il telefonino e guardando dallo specchietto le scollature della mia signora e della sorella... sembrava di stare a Roma.

05 giugno 2006

lager inglesi

Il 4 aprile di quest'anno, su Repubblica è uscito un disarmante articolo di Stefania De Lellis che riproduco per intero. Per uno come me che ha avuto sempre una grande stima per il Regno Unito, è stata una mazzata. Per carità, sono cose note, in più l'Inghilterra ne ha fatte di schifezze. Ma leggerle fa sempre un (bel) po' male.
minimAle

Heinz Bierdermann, 20 anni, impiegato. Arrestato nel 1946 perché "figlio di un fervente comunista". Tenuto in isolamento a Bad Nenndorf, vicino ad Hannover, quasi nudo a temperature sotto lo zero. Minacciato continuamente di morte durante gli interrogatori, dopo quattro mesi pesava venticinque chili di meno. «Sembrava consumarsi come una candela», dichiarò poi uno dei suoi carcerieri. Gerhard Menzel, 23 anni, studente, fermato ad Amburgo.
Su di lui sospetti di legami con i bolscevichi perché nella zona della Germania controllata dai britannici era arrivato dalla Siberia, dove era stato prigioniero di guerra. Incatenato con le mani dietro la schiena anche per sedici ore di fila, venne più volte picchiato sul viso, tenuto in celle gelate per settimane, torturato con docce ghiacciate ripetute ogni trenta minuti dalle quattro e trenta del mattino fino a mezzanotte.
I loro volti sono usciti dal buio della censura ieri dopo sessanta anni. Il quotidiano The Guardian è riuscito a pubblicarne le foto svelando un lato oscuro dell´immediato dopoguerra: le torture inflitte dagli inglesi in Germania sui sospetti comunisti per carpire informazioni sui sovietici che - alleati fino a pochi mesi prima - secondo molti ufficiali dell´epoca erano sul punto di scatenare il terzo conflitto mondiale.Il segreto è rimasto gelosamente custodito negli archivi perché, annotò già allora un ministro a Londra, meno persone possibile «devono sapere che le autorità britanniche si sono comportate in un modo che ricorda i lager nazisti».
Un orrore ancora scottante per la Difesa, visti i tentativi di bloccare lo scoop del giornale che è riuscito a ottenere i documenti sulla vicenda soltanto invocando il Freedom Information Act. In molti ora chiedono un´ammissione di colpa e il pagamento di indennizzi ai sopravvissuti. «L´idea secondo cui la Gran Bretagna non usò la tortura durante la Seconda Guerra mondiale e subito dopo - ha sottolineato Sherman Carroll, della Medical Foundation for the Care of Victims of Torture - è un mito, propagato ad arte per decenni».
Le foto erano state inviate nella capitale britannica da un ufficiale della Marina che dirigeva il campo di internamento dove alcuni dei sospetti interrogati a Bad Nenndorf venivano spostati dopo il "trattamento". Scioccato per le condizioni in cui i prigionieri arrivavano, chiese ai superiori di aprire un´inchiesta. Fu così mandato in Germania un detective, Tom Hayward. Nel suo rapporto raccontò le violenze cui erano stati sottoposti 372 uomini e 44 donne tra il 1945 e il 1947 nell´ex stazione termale nei pressi di Hannover adibita dal War Office britannico a centro per interrogatori. Oltre ai sospetti di collusione con Mosca in quelle celle passarono nazisti, ex Ss, industriali che avevano fatto fortuna sotto Hitler. Almeno due persone furono lasciate morire di fame, una fu picchiata a morte, altri contrassero malattie o persero le dita per congelamento.
Molti avevano ferite al volto e piaghe sulle gambe, perché i torturatori usavano "stivaletti malesi" recuperati nelle stazioni della Gestapo. Dopo il rapporto di Hayward quattro ufficiali finirono davanti alla corte marziale. Le udienze si tennero a porte chiuse perché i sovietici non sapessero. L´unico a essere condannato fu un medico: ma si dovette semplicemente dimettere dall´esercito. Il responsabile del centro fu scagionato dall´accusa di "condotta crudele" ed entrò nei Servizi segreti.