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22 aprile 2014

rivedere "THX 1138 - L'uomo che fuggì dal futuro"

Non so se ho fatto bene: due giorni fa ho rivisto THX 1138 - L'uomo che fuggì dal futuro dopo ben 39 anni (il film è del 1971, ma io lo vidi nel 1975).
Per carità, è un capolavoro. 
Il mio unico dubbio viene dal fatto che ho visto il director's cut (non esiste copia in dvd dell'edizione originale). A leggere wikipedia (quindi con moltissima cautela), sembra che i ritocchi non siano così rilevanti: però resta il dubbio d'aver comunque ucciso la Memoria.
Fatto sta che la trama è attuale, attualissima, e la visione distopica del futuro è molto sofisticata ma credibile; Donald Pleasence, poi, riesce a rubare la scena a Robert Duvall con esemplare eleganza. In più, il motivo "commerciale" del come si conclude la trama, è drammaticamente possibile.
La sceneggiatura e la scenografia reggono al cospetto di certe ovvietà di oggi (che immagino siano invece pensate per un pubblico più stupido), e George Lucas si dimostra uomo di talento sprecato, sprecatissimo. Io adoro Guerre Stellari e posseggo un'inifità di edizioni diverse. Ma mai ci si aspetterebbe che questo THX sia un'opera del papà di Luke e Han Solo. Anzi, se esistesse un universo parallelo, sarebbe divertente scoprire cosa sarebbe diventato Lucas se non avesse azzeccato lo strasuccesso del western spaziale (la definizione è di Sergio Leone).
Trama all'osso, attori straordinari, fotografia da Premio Nobel, e un iperrealismo di fondo che ricorda molto certe intuizioni di Heinlein e/o di Matheson.
Due consigli (tra i tanti). Date un'occhiata ai titoli di testa: oltre a scorrere al contrario (evento ancor più raro di quando alcuni optano per questa scelta con quelli di coda), presentano nomi allora giovanissimi che poi disegneranno il futuro del cinema di sempre (non ultimo, il magistrale Walter Murch).
Seguite attentamente la temporanea "prigionia" dei protagonisti: vengono rappresentate figure e personalità in maniera quasi pirandelliana, con disinvolti riferimenti e ammiccamenti antropologici di rara nitidezza.
Una lezione, insomma.
Per i patiti del genere, poco prima della scena finale, la radio della polizia annuncia l'investimento di un wookie.

19 dicembre 2013

L'autAintervista (parte seconda)

David Blue - Le musiche, parliamo delle musiche. Come mai hai segnato addirittura una colonna sonora per leggere l'ombra dietro al muro?

Alessandro Loppi - Non è proprio così... nel senso che l'ordine proposto non è relativo ai capitoli, ma semplicemente alfabetico. 
Per venire alla tua domanda: io non ho mai collegato un brano musicale a un evento preciso; le mie sorelle, sì, per esempio

DB - Cioè?

AL - Per mesi, una delle mie sorelle si accartocciava su un pezzo dei Pooh perché era la colonna sonora del suo amore... poi, quando si lasciavano, diventava il motivo della nostalgia, condito da lacrime amare... due palle (ride)

DB - E quindi?

AL - E quindi a me piace la musica. Punto. 
Ho usato certi brani perché cercavo un mood, un approccio, una sorta di ritmo che solo quello specifico brano sapeva darmi, senza però lasciarmi influenzare da quello che dice nel suo specifico o da quello che mi suscita in altre circostanze

DB - E David Sylvian che (ri)canta i Blonde Redhead?

AL - Quando vidi 28 giorni dopo (un ca-po-la-vo-ro) mi colpì l'inizio, quando il protagonista gira per una Londra abbandonata, e il commento musicale di John Murphy accompagna la sua inquietudine con un canone musicale per chitarra, basso e batteria - un canone quasi grunge, se vogliamo - molto ostinato ma anche molto semplice... ho cercato - e trovato - qualcosa di analogo: che non fosse però lo stesso brano; altrimenti, avrei subito l'approccio di Danny Boyle

DB - In effetti, la Messenger da te usata ha un non so che di ipnotico

AL - Già... la trovai per caso, girando dentro iTunes

DB - Passiamo ad altro: è vero che appena ingrani e la tua idea funziona, molli tutto e lo lasci in sospeso?


AL - Sì... considerato che quando parlo accade l'esatto contrario, quando scrivo (o quando componevo canzoni) tendo sempre a fermarmi appena mi accorgo che la cosa sta andando bene, molto bene. Altrimenti, se continuo, mi crogiolo sul successo e quindi lo ripeto, lo ribadisco, insisto a dire sempre le stesse cose... e rovino il risultato

DB - E come fai a ritrovare il bandolo quando torni sul pezzo?

AL - Riprendo il tutto dall'inizio, controllo se c'è coerenza o uniformità, e poi riparto da dove l'ho lasciato.
Non solo funziona, ma mi consente di ritrovarmi, e soprattutto di snidare eventuali sbavature e incongruenze

DB - Come fai a fermarti? Voglio dire: sei notoriamente un precisino perfezionista; quand'è che stabilisci l'esatto punto d'arrivo?

AL - Non esiste un punto d'arrivo, perlomeno dalla mia prospettiva. Spesso è l'insieme che mi suggerisce di fermarmi; più frequentemente, è la noia... se mi sto annoiando della situazione - o di me stesso - allora capisco che è arrivato il momento di dire basta, che va bene così... anche se non mi piace e non mi soddisferà mai

DB - Forse è per questo autolimite che non hai aggiunto i due capitoli che dici di avere sempre avuto in mente?

AL - Esatto... la parabola narrativa era arrivata alla sua fine precisa: incastonare i due capitoli che avevo in mente, significava far rimbalzare il tutto... avrei aggiunto un inutile di più che poi non mi sarebbe piaciuto, e che avrebbe distolto il lettore dallo scopo finale... cioè, e appunto, la fine del romanzo (come ho detto l'altra volta)

DB - Ecco perché non sopporti chi si chiede ci siano quelli là

AL - Infatti! Perché significa che non sono riuscito totalmente nel mio scopo. 
La realtà del romanzo, insomma, è un'altra: quelli là sono un pretesto, e nulla più

DB - Come mai hai depubblicato Cronache di un uomo a riposo

AL - Perché l'idea era buona, ma l'ho resa malissimo e senza pensare che se due capitoli isolati funzionano, non è detto che messi insieme raddoppino la propria forza. 
In più, ho strapeccato di presunzione, buttando dentro riferimenti inutilmente colti... un vizio molto italiano che critico negli altri e che ho invece praticato per primo

DB - Autocritica benvenuta ma curiosa, visto che poi sei un solitario, e sembri non curarti molto del giudizio altrui

AL - Sono due cose diverse... comunque, il mio solpsismo è stato in parte alimentato da un'attitudine evidentemente in nuce sin da bambino, in parte perché nessuno ha osato combattere e scoraggiare questa fame di dolore.
La colpa mia è stata di averlo foraggiato con una passione per la decadenza che è stata chiusa in un armadio solo grazie a mia moglie

DB - Non c'è pericolo che ritorni?

AL - E infatti fa un sacco di casino da quell'armadio... non la senti?

05 dicembre 2013

L'autAintervista (parte prima)

David Blue - Perché hai deciso di pubblicare il tuo romanzo anche su e-book?

Alessandro Loppi - Perché me l'ha consigliato mia moglie. Anzi, era tempo che insisteva, sbattendo però contro la mia riluttanza.

DB - E perché eri riluttante?

AL - Ho uno strano rapporto con la tecnologia: nonostante ne faccia parte, e nel mio piccolo stia contribuendo fattivamente alla sua esistenza, sono convinto che sia usata male e che ci stia portando in bruttissimi posti

DB - Pessimista o cosa?

AL - No, realista. Fare parte di questo sistema consente di capire molte cose; molte più di quanto non ne vengano dette/lette...

DB - Cosa ti aspetti da questa pubblicazione più immediata?

AL - Onestamente, poco o quasi nulla... nel senso che se il lettore si ferma alle prime pagine, rischia di trovarsi spaesato e di non voler andare oltre; e non credo che l'e-book modificherà quest'attitudine. 
Io credo nel lettore curioso, ma in tutta sincerità non conosco per nulla il mondo del selfpublishing; quindi, non saprei neanche immaginare cosa diamine potrebbe accadere

DB - E se tu dovessi riassumere la trama?

AL - Ecco, qui - proprio qui - mi dimostro incapace di essere seducente. Di primo acchitto, potrei fare il piacione, dicendo che è una dedica a mia moglie... 
... c'è chi l'ha definito un romanzo fantapoetico; mio scuocero si è sperticato in mille complimenti; un mio amico libraio l'ha etichettato come una vittoria contro la depressione...

DB - Quanto cinema c'è nel romanzo?

AL - Ah, tantissimo, anche non esistente... voglio dire che io immagino gli eventi come fossero riprese, inquadrature. Non riesco a farne a meno... anche quando parlo

DB - Eppure non sembra una sceneggiatura, né tantomeno credo sia fattibile in maniera così lineare com'è accaduto a cose tipo La strada di McCarthy

AL - Forse perché non so scrivere sceneggiature, e forse perché non c'ho pensato

DB - Eppure, la tua privacy sembra un pretesto

AL - Effettivamente, per me è facilissimo usare le mie esperienze per scrivere d'altro. 
Infatti, le persone che non mi conoscono e l'hanno letto, hanno dato definizioni ancor più disparate, addirittura non credendo che certi riferimenti fossero personali

DB - Roma sembra una protagonista quasi nascosta

AL - È uno scenario straordinario, specie d'ottobre o a maggio: ha luci e sapori unici. Certo, i romani per primi sembrano volerla umiliare: è un'antica polemica su cui non voglio soffermarmi, perché poi nel romanzo riesco a risolverla in qualche modo

DB - Effettivamente, prima dell'arrivo dei pericolosi quelli là, Roma è sporca e trasandata; quando arrivano loro, diventa linda e vivibile... come mai?

AL - È un gioco al paradosso che mi diverto spesso a fare anche quando parlo di cose stupide

DB - Se tu dovessi indicare un punto di svolta nel romanzo, quale pensi che sia?

AL - Il finale... se il lettore lo legge bene, si rende conto che ho detto qualcosa di molto forte, proprio all'ultima riga. 
Anzi, mi viene da pensare che io abbia scritto una sorta di premessa a un qualcosa che poi maturerà nell'immaginazione del lettore... o almeno lo spero

DB - Cosa rispondi a chi ti dice "è solo fantascienza"?

AL - Innanzitutto non lo è... altrimenti mia moglie non l'avrebbe neanche aperto (ride)
Generalmente, chi lo dice non ha mai letto la fantascienza e/o comunque la relega in uno scantinato che puzza di disprezzo. 
Insomma, tra Heinlein e Saramago o tra Matheson e Camus c'è solo il buon scrivere, il concettualizzare a fondo: ma le idee, lo sfondo, i pretesti, sono identici
Anzi. Mentre Saramago e Camus dovevano rendere conto anche alla propria immagine, alla propria aura, Heinlein e Matheson puntavano dritti allo sviluppo dell'idea, fregandosene dei salotti americani.
Senza Matheson, metà della fiction degli ultimi 50 anni non sarebbe mai esistita. C'è Matheson anche in Mad Men o in 24 o nei Soprano...

DB - Quindi la tua è fantascienza?

AL - No, assolutamente no (ride)... è che non ho i tempi per saper prolungare alcuni stilemi fantascientifici (vedi che parlo difficile anche io?), ma soprattutto a me interessava arrivare al finale, in un modo ben preciso

DB - Vuoi dirmi che hai scritto prima il finale?

AL - Sì, ci ho pensato per due anni, ogni giorno e ogni ora: poi ho scritto quelle dodici righe in 30 secondi... come il pittore giapponese nelle lezioni di Calvino (ride)

DB - Poi hai costruito tutto il resto

AL - Sì. In quelle dodici righe c'era un ritmo ben preciso che mi ha convinto - quasi obbligato - a strutturare il romanzo in sette capitoli di sette pagine ognuna

DB - Però è leggermente più lungo, di poco

AL - Colpa del sistema de ilmiolibro che ha rimesso mani alla configurazione... meglio così: almeno ci faccio una bella figura, no?

DB - Tra qualche giorno mi racconti come mai hai indicato una sorta di colonna sonora e anche tutte quelle comparse che però... non compaiono mai?

AL - Alla prossima, dài

 

30 giugno 2013

World War Z, l'anabasi di Brad Pitt

Attenzione, queste mie considerazioni da appassionato/studioso potrebbero contenere inconsapevoli SPOILER.

Ad un primo acchitto viene da dire che non è propriamente un "film di/sugli zombi", per quanto non esista un codice univoco a riguardo. 
Certo, critici frettolosi hanno deciso che anche i due 28 giorni/settimane dopo sarebbero "film di/sugli zombi" (mentre invece sono su disgraziati affetti da rabbia)... 
Però, più in generale, se dovesse sussistere un codice convenuto, vale sempre la regola aurea di Romero (mutuata, si sa, da Io sono leggenda di Matheson): gli zombi non corrono, possono essere uccisi solo con un colpo ben assestato sulla capoccia; i vivi vengono sempre assediati, i sopravvissuti si comportano male tra di loro. 
La lentezza degli zombi, poi, ha una forte valenza angosciante che il cinema romeriano sapeva sfruttare nella sua evidente contraddizione: solo un uomo spaventato e vile - ma che possa correre - può soccombere a un mostro che va a uno all'ora.
Ad un secondo acchitto viene da dire che la sceneggiatura usa solo come pretesto l'omonimo testo di Brooks figlio. Il libro, infatti, è seriamente ricco di ironia, e ironicamente ricco di riferimenti seri. Il film, invece, aggira i due paradossi e usa le storie sparse nel libro per cucirle con l'esaltazione della razionalità eroica del personaggio interpretato (con mestiere) da Brad Pitt.
Una cosa va ammessa: durante la godibile visione non si intravede il difficile periodo di prepoduzione. Il film, cioè, scorre via senza sussulti e con una certa coerenza stilistico-narrativa che forse trova qualche inceppatura in alcune scelte finali (un lieto fine che apre al sequel, ma che soprattutto ricorda troppi precedenti). Ma strutturalmente le increspature di produzione sono pressoché invisibili.
Trovando un punto a tutte queste premesse, va detto che è forse il primo "film di/sugli zombi" dove non si arriva inevitabilmente al topos di un assedio stabile e definito attraverso cui la sceneggiatura sia costretta a delineare le personalità dei singoli assediati. Una fortuna per chi ha supportato la produzione perché sarebbe stato necessario una sceneggiatura molto densa (Snyder c'era riuscito, nonostante i suoi zombi corressero un po' troppo); e generalmente i blockbuster come questo non consentono l'uso di intrecci raffinati. 
Oltretutto, qui c'è un attore notissimo su cui convergono oneri e onori narrativi che invece negli zombie movie a basso costo venivano spalmati sapientemente tra attori poco noti (quindi, contava la trama). Aggiungiamoci che alcuni momenti devono concedersi a qualche spettacolarismo di troppo che arriva quindi a sacrificare l'unico potenziale pathos rimasto a disposizione: Pitt non ha una sede sicura e stabile; una perpetua anabasi che però resta forma senza contenuto: peccato.
L'unico momento umano accennato è il riferimento alla famiglia che il nostro eroe è stato costretto a lasciare in balìa dei capricci di un generale, anche lui poco sfruttato (nel libro, infatti, i militari sono ben più stronzi ed esaltati).
Per tutto il film, quindi, per salvarsi dagli zombi corridori, Brad Pitt corre più di loro, scegliendo contesti opposti (dagli Usa alla Scozia, passando per la Corea e Israele!) pur di non soccombere e anche per risolvere il contagio.
Alla fine, insomma, l'ansia arriva per il troppo correre. Di tutti!
Tant'è che sono pochissime le scene veramente horror (nel senso più gustoso/tradizionale del termine), e tutte prevedibili, tranne due: la prima, quella iniziale, ovvia me veramente ben fatta. La seconda: la capitolazione di Gerusalemme, perfetta e con un malcelato disprezzo per la fracassona popolanità dei palestinesi; sarà proprio il loro inutile e fanatico rumoreggiare che attirerà gli zombi ad un pasto devastante... stranamente, nessuno dei nostri critici di sinistra (quindi, prevalentemente antisemiti) se n'è accorto.
Musica poco incisiva (peccato, perché nei trailer sembrava più interessante); montaggio di qualità; effetti al computer, tosti e ben fatti (e poco invadenti, al contrario di quanto si legge in giro); regia di mestiere con qualche guizzo autoriale che non guasta.
Come appassionato e cultore del genere, non riesco ad essere molto obiettivo, lo ammetto. A me il film è piaciuto e mi ha divertito. Oltretutto l'ho visto in una sala cinematografica semiabbandonata e decisamente poco pulita, dove albeggiano odori di altri tempi e quell'aria di sala parrocchiale che tanto frequentavo quand'ero ragazzo.
Sicuramente non è un "film di/sugli zombi", non fa neanche tanta paura, non regala momenti di umanismo profondo né tantomento conflitti interpersonali di qualsiasi livello... però mia moglie si è trasformata in uno zombi... e la cosa mi ha fatto molto piacere.

28 giugno 2013

Richard Matheson c'est moi

Forse più di Hemingway, Matheson ha costellato la mia adolescenza. Non tanto per lo stile, quanto per i contenuti e le idee.
Come io abbia incontrato l'autore di Duel l'ho scoperto solo tempo dopo: attraverso, cioè, gli episodi di Ai confini della realtà
Ma fu il film Occhi bianchi sul pianeta Terra ad aprirmi la via alla sua letteratura. Secondo delle tre interpretazioni cinematografiche del suo bellissimo Io sono leggenda, il film che vedeva un grandissimo Charlton Eston alle prese con i miei sogni e i miei incubi.
Sogni e incubi che ho ritrovato, perfettamente scritti e nobilmente delineati, nel romanzo originale (anzi, io ho l'edizione che porta ancora il vecchio titolo I vampiri).
Da sempre, mi scopro ad immaginare situazioni da dopobomba, e del resto il mio romanzo ne è una prova quasi esemplare (nonostante sia in realtà una sorta di fantapoetica dichiarazione d'amore alla mia signora, con ben altra trama ed intenti).
Di Matheson mi ha sempre colpito la capacità di dare senso all'insensato, di dargli dignità, di renderlo addirittura credibile (a volte anche scientificamente), per poi smontarlo pezzo per pezzo alle ultime dieci pagine, con altrettante senso, dignità e credibilità.
Una scrittura, diretta, asciutta, elegante e sotto certi aspetti molto british, con soluzioni narrative molto lineari e possibili (nel contesto costruito, è ovvio) che andavano bel oltre il mostro, l'alieno e l'oscuro demonio che alberga in ognuno di noi. 
Ricordo nitidamente alcuni suoi racconti, con un senso di sgomento che ancora mi sovrasta, e che vi consiglio vivamente di recuperare da qualche rigattiere (prima che il web mortifichi anche queste liturgie): Isolato in partenza, Regola per sopravvivere, Nato d'uomo e di donna, Una chiamata per Miss Keene e Su dai canali.
Ricordo con dolce maraviglia Tre millimetri al giorno. Mi perdo ancora nei meandri della mia Memoria alla ricerca delle sensazioni che mi diede la super-raccolta Shock
Mi beo riassaporando alcune trame di Star Trek da lui sceneggiate (come anche qualcosa per Alfred Hitchcock racconta).
E gli zombi? Be', si sa, si è sempre saputo (per stessa ammissione di Romero) che La notte dei morti viventi deve moltissimo a Io sono leggenda, nonostante lì siano zombi e qui vampiri. Ma - appunto - è il come si comportano i vivi che conta.
E io, che stasera mi andrò a vedere il cafonissimo WorldWarZ, mi sentirò un po' più solo, sapendo che colui che mi ha addolcito l'adolescenza se n'è andato in punta di piedi, dissolvendosi lentamente come in Scomparsa graduale.

11 agosto 2009

aggiungi un morto a tavola

Il martedì è notoriamente giorno di zombi. Al ragù, saltati in padella, in fricassea, come volete: è il sottogenere cinematografico più contestato ma paradossalmente anche quello che suscita maggiora attenzione "trasversale". Gli argomenti, i temi, le letture si sprecano. E il risultato finale è che volenti o nolenti comunque ne parlate.
George Romero è padre degli zombi (quelli seri, ovviamente, dove tetteculi non hanno senso alcuno), mentre Richard Matheson, si sa, è lo spirito di un modo di vedere la fine dell'uomo in una maniera totalmente opposta sia alla visione religiosa che a quella laica.
Se Matheson ha condizionato il genere con una sola opera (Io sono leggenda), Romero ne ha usato la sintassi per rileggere la nostra società nei vari momenti epocali che l'hanno contraddistinta (con La notte dei morti viventi, Zombi, Il giorno dei morti viventi e La terra dei morti viventi).
Questo Diary of the dead lo potete trovare a puntate su YouTube. È il quinto episodio di una storia che mai avrà fine.

30 maggio 2009

l'Eur al cinema

Credo di essere uno dei pochi romani ad amare l’Eur, quello strano quartiere ideato da Mussolini e concepito con un’architettura razionalista che è stata sfruttata in film molto belli.
Ricordo il bellissimo
La Notte (1961) di Michelangelo Antonioni, L’Ultimo Uomo Sulla Terra (1964) di Ubaldo Ragona e Titus (1999) di Julie Taymor. In quest’ultimo la regista proponeva all’interno di uno stesso dialogo un campo sul Colosseo Quadrato e il controcampo sui Fori Romani, dimostrando un’abilità di elevatissima raffinatezza.
L’Eur sembra un ambiente adatto alla solitudine.
O meglio: nonostante abbia numerosi negozi, banche e una nota sede prestigiosa al centro del laghetto, nonostante sia supertrafficato alle giuste ore, nonostante un’intera area sia densa di tristi attività notturne, sembra sempre sul punto di svuotarsi e di riempirsi subito dopo.
Questi lunghi colonnati, queste strade larghe con un verde misurato e alberi ammiccanti, ricorda certi film di fantascienza basati su un futuro devastante e senza speranza. Eppure io lo trovo bellissimo.
Tenendo conto che ho (avuto) la fortuna di abitare in tre delle zone più belle di Roma (Prati, Celio e Testaccio), sembra che stia andando contro il buon gusto. Ma questa strana aria di freddi marmi e di architetture sempre identiche dà un’idea di disimpegno che raramente si può vivere nella capitale, circondata com’è da vestigia di ogni tempo.






13 maggio 2009

hanno ucciso Kirk

È dal 7 gennaio scorso che non vado al cinema.
Io, che vedo almeno film 150 l'anno... non so se mi sono spiegato.
Allora mi son detto: se devo provare a vedere quanto reggo con la gamba/tutore piegata per due ore, proviamo con i miei amici di sempre.
Appartengo a quelli che hanno avuto il privilegio di vedere la nota primissima puntata della Serie Originale su TeleMonteCarlo, nel lontanissimo 1978.
Ho tutte le serie, libri, curiosità, roba più o meno rara. Recito a memoria interi capitoli della saga... e mi aspettavo di tutto, ma non quest'immensa schifezza.

Questo non è Star Trek!
Il bello è che non è nemmeno un prequel, come dicono i meno avvertiti.
Anche i muri sanno che i Romulani non erano mai stati visti in volto prima della missione quinquennale (14 esimo episodio della prima stagione della Serie Originale), così come il cambio di comando con Pike accade in ben altre circostanze (cfr Lo zoo di Talos, poi riproposto con montaggio differente sempre nella Serie Originale ma con altro titolo), così come la sala di comando non è dove l'hanno messa...
E che dire dei dialoghi dotti, delle avventure semplici ma coinvolgenti, delle idee futuristiche (il cellulare per esempio), e di Shalespeare e Matheson (saccheggiati a man bassa), del rigore deontologico (Spock che bacia una donna? mapperfavore).
... e se qualcuno mi dice che è un
prequel su un futuro parallelo, potevano chiamarlo tranquillamente Pizza e Fichi e facevano prima.

Mannaggia!

06 aprile 2008

Charlton "Ben" Heston

Charlton Heston non c'è più.Sì, lo so, era un cattivone amante delle armi.
Ma io lo ricordo quando al Cinema Labirinto (ormai chiuso dal Vaticano) mi facevano entrare di nascosto per farmi vedere più e più volte la "scena delle bighe", o come quando lo ammiravo in
Occhi bianchi sul pianeta Terra (secondo dei tre film ispirati all'Io sono leggenda di Matheson), o nel Pianeta delle scimmie, o per finire in 2022: i sopravvissuti.

Lui, che marciava accanto a Marlon Brando per appoggiare il sogno di Martin Luther King, che denunciò Kissinger e Nixon per il macello vietnamita, e che poi cambiò radicalmente posizione dopo una notte di turbamenti. Fosse che fosse che la "sinistra" americana di allora era come la nostra di sempre, ipocrita, furba e farisea?
Ah, saperlo.
Certo è che faceva rabbia - perché armato di fucile - e compassione - perché minato dall'Alzheimer - quando fu messo alle corde dal coraggioso Moore di Columbine.
Grande Heston, le tue due-espressioni-due sono la storia del cinema.
So long, Charlton... e affanculo i tuoi detrattori.




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