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15 novembre 2023

MA CHE COPPA ABBIAMO NOI di Giuseppe Pastore (66thand2nd)

Può sembrare una follia, un controsenso commerciale insomma, pubblicare un libro che parli solo di sconfitte.
Eppure, è un'operazione ben riuscita, in cui tutti gli ingredienti funzionano a meraviglia.
Il primo, è l'argomento: la Juventus, tanto amata quanto odiata, e le sue ennetante uscite di scena dalla Coppa dei Campioni (ora la chiamano Champions League, ma sempre lì siamo). Di fatto, anche le uniche due vinte (una col nome originario, la seconda con quello nuovo), non sono vittorie: la prima, per il disastro belga; la seconda, perché vinta solo ai rigori. Certo, si parla di tutte le partecipazioni a tutte le coppe; ma alla fine i capitoli che pulsano sono quelli.
Il secondo, è lo stile di Pastore. Ricco, tautologico al punto giusto, quasi breriano, pieno di riferimenti e di incisi che non affaticano la lettura (anzi). Una miscela sapiente e misurata anche quando non è né sapiente né tantomeno misurata. Pastore conosce lo strumento della scrittura e lo usa sia al servizio della sua (legittima) vanità che al servizio della narrazione. Complimenti, insomma.
Il terzo, è la scelta di non presentare questo dramma collettivo in ordine cronologico, ma con un ordine di crescendum drammatico: dai primi vagiti di una squadra che quasi vedeva con fastidio le competizioni internazionali, alla stolida insistenza con cui si è inseguita una coppa che di fatto è maledetta, e maledetta resterà.
Un bellissimo libro, insomma, che piacerà anche a noi juventini.

10 dicembre 2020

Rossi, PAOLO ROSSI

Sono quei momenti in cui ti arrampichi nella libreria della tua Memoria e tiri giù di tutto, ingolfando i tuoi ricordi fino a riempirti gli occhi di lacrime piene di languore e di tristezza e di tutte quelle immagini così solari e perdute che non potranno mai raccontare per intero cosa siano stati quegli anni.
ZoffScireaGentileCollovatiBergomiCabriniOrialiTardelliContiRossiGraziani, come un mantra, con tutte le poche variazioni sul tema, Caùsio compreso, con quell'accento buttato a casaccio.
Brontoliamo spesso sulle differenze generazionali, spesso a torto o con quei toni di superba commiserazione per il giovane che ci capita a tiro. Ma bisogna anche ammettere che il divario generazionale tra noi e le generazioni successive è un solco profondo e inesorabile: i modelli sono totalmente diversi; anzi, quasi di mondi che neanche si potrebbero mai toccare. Modelli, Mondi e la misura del tempo.
Ecco, il Tempo.
Byron diceva che quelle del tempo sono "ali arbitrarie", ma a chi ama il calcio frega nulla di questo spocchioso poeta inglese. Quello che è vero è che i tempi in cui noi vivevamo il Tempo erano veramente a misura di persona. 
Mercoledì di Coppe, domenica 90esimo minuto, agosto c'era il mercato e i nuovi arrivi, persino i giornali avevano meno fretta per raccontare cosa accadeva. Le partite non erano un tanto al chilo e le interviste - per quanto sempre uguali - sembravano uscite da un doposcuola artigianale.
I giocatori per primi erano responsabili dei toni che usavano e del modo di giocare, perché sapevano che venivano emulati, imitati, ricalcati, ripetuti. Ma non certo per la pettinatura o per la topona fotografata accanto a macchine stellari (per carità, c'erano anche quelle), ma perché erano come noi. Letteralmente.
Quei giocatori avevano facce che avresti incontrato all'alba dentro la metropolitana, o quelle degli avventori del bar cappuccinoecornetto, o quelli che sfiori dal giornalaio scambiando giusto un saluto educato.
Paolo Rossi non era il riscatto di una generazione: era quella generazione. Lo sappiamo, il riscatto è intriso anche di fiele e rancori, mentre nel caso di Paolo Rossi era "solo" l'uomo qualunque che dimostrava di potercela fare con i propri mezzi, autentici, veri, onesti, puliti.
E solo certi giornalisti potevano ricordare il suo coinvolgimento nello scandalo delle scommesse, quando è stranoto e ormai dimostrato che non aveva fatto proprio nulla; giornalisti che però perdonano a Maradona cose decisamente riprovevoli e altrettanto documentate.
Ma il punto è che quei ragazzi del 1982 ci donarono il senso vero della gioia, quella ancora autentica e spontanea, tutt'altro che prefabbricata o studiata a tavolino, con un Presidente della Repubblica sanguigno e coerente, che tanto onore e lustro diede a una Nazione martoriata da anni bui e violenti.
Paolo Rossi sei tu che leggi, genitore o figlia o figlio in quegli anni, oppure il mio io bambino, che il giorno dopo festeggiava 16 anni. 
Paolo Rossi è quel bambino secchetto e anonimo che conquista la vetta del mondo e che si ostina a restare dolce e umile, lentamente assediato da un'èra in cui gli eroi non emozionano più e lasciano dietro di loro solo byte e sponsor.
Al cinema, i cavalieri sono eroi senza macchia e senza paura, non temono freddo, ferite o sconfitte. Finisce sempre bene e senza remore o timori.
Nella realtà, invece, i cavalieri del 1982 erano in carne ed ossa, con quei nomi stampati a fuoco tra i singulti e la commozione: ZoffScireaGentileCollovatiBergomiCabriniOrialiTardelliContiRossiGraziani

16 giugno 2020

ITALIA GERMANIA 4 a 3 secondo Maurizio Crosetti

È un libro fuori dagli schemi, il cui titolo secondo me non è del tutto azzeccato. 
Anzi, immodestamente, avrei trovato più corretto intitolarlo come il titolo di questo post: c'è molto Crosetti e pochissima cronaca di quella partita.
Cronaca che peraltro viene data per scontata, come se l'autore volesse andare a cercare chi c'era e la ricorda, piuttosto che fare un esercizio anche storico come il bellissimo La Partita, dedicato invece all'altra epopea, quella del 1982: Italia Brasile, 3 a 1. 
Attenzione, anche in questo libro ci si trovava di fronte anche - ripeto: anche - alla storia personale dell'autore; ma, appunto, con un approccio che sapeva coinvolgere e affabulare diverse generazioni.
Certo, ognuno interpreta le cose come vuole, ma il titolo di un libro è una dichiarazione; e se titoli graniticamente con il nome di un evento così storico, ho il diritto di immaginarmi che mi ci porterai dentro.
E, invece, Crosetti ci accompagna nella sua vita, confondendo e fondendo continuamente sensazioni intime e private con i minuti di quella partita così gloriosa. E allora io mi sono perso sia la partita che la vita privata di Crosetti.

Chiarito questo, nonostante la fatica mentale nel superare un limite così limitante, ho terminato il libro con la mia consueta velocità: a parte alcune parentesi/incisi lunghe 15/20 righe (!), lo stile è abbastanza avvincente, come è avvincente il passare dalle visioni di Corsetti bimbo ad alcuni momenti dei giocatori e/o della partita; commoventi alcuni ricordi del padre di Corsetti (la cui recente morte ha minato profondamente l'autore); divertenti alcuni purtroppo rari aneddoti sui giocatori più rappresentativi.
Onestamente, non so se consigliare un libro del genere alle generazioni successive alla mia, perché troveranno ben poco sia della partita che di quei anni; però chi l'ha vista e vissuta, forse troverà anche qualcosa di sé.

14 ottobre 2019

giocando con il LADIES FOOTBALL CLUB di Stefano Massini

Il fenomeno del calcio femminile nacque in Inghilterra, negli anni della Prima Guerra Mondiale. Squadre divenute poi leggendarie come le Dick Kerr’s Ladies si formarono fra le operaie di stabilimenti tessili o di munizioni, e in breve tempo crebbero a dismisura nell’affetto e nel seguito del pubblico, procurandosi l’aperta ostilità delle istituzioni maschili del calcio. Molte di queste squadre furono dunque costrette a sciogliersi per legge, dopo pochi anni di incredibili successi. Questa è la storia di una di loro.

Un libro che parte con questa premessa - scritto peraltro da un maschietto, potrebbe andare incontro a numerosi difetti: l'agiografia, l'ammiccamento, il finto femminismo, il femminismo da maschio col senso di colpa, il maschio che fa finta di capire la psicologia femminile... tutti trabocchetti, insomma, che le lettrici conoscono bene, specie se di mezzo c'è uno sport, come quello del calcio, la cui liturgia imperante pretende che sia cosa solo maschile.
Eppure Stefano Massini riesce nella dolcissima impresa di non caderci con tutti gli scarpini, regalandoci una storia - anzi: tante storie - che non voglio neanche sapere se siano vere o no; tanto che neanche sono andato a documentarmi. Per me sono vere adesso, esattamente come sono state raccontate in questo piccolo delizioso libretto.
Ironia, molta ironia; leggerezza, ma di quella che non fa finta di essere né leggera né profonda. Una sapiente capacità di indovinare tempi e spazi narrativi. Una scelta (sicuramente aziendale ma che esteticamente funziona) di lasciare le righe isolate, gli spazi vuoti, i momenti lontani uno dall'altro.
Un libro, insomma, che si legge tutto d'un fiato, sperando sempre che l'assunto di partenza non sia vero e che le nostre ragazze continuino a giocare all'infinito.
Credo si possa passare anche per questi libri per far capire a certi capoccioni che non dobbiamo vedere le cose da una prospettiva sessista: lo sport non è né un diritto né una fazione; lo sport è un gioco da giocare (to play, dicono gli inglesi), che va condiviso e vissuto insieme, sugli spalti e sul campo... a meno che a qualcuna non venga in mente di portarsi via la palla.

18 luglio 2019

LA PARTITA. Il romanzo di Italia-Brasile

Di quel 1982 ricordo tutte le partite, tutte le azioni. Scrivevo le mie critiche e i miei voti e poi li faxavo immediatamente a un quotidiano sportivo nazionale, che ovviamente non mi si cacava di striscio. E però un paio di volte qualche pesante copiatura l'ho ritrovata.
Vidi anche le partite trasmesse in differita, compresa la vergogna di Gijón e il Kuwait che voleva abbandonare lo stadio. Non riuscivo a staccarmi dal televisore. E spendevo la mia paghetta solo in periodici sportivi. Era come se dentro di me sapessi già che quello sarebbe stato il mio Mondiale. E del resto è stato l'ultimo che ho seguito integralmente e con passione.
La vera e unica partita resterà per sempre Italia - Brasile. E non solo per motivi storici. Noi non avevamo niente da perdere, mentre a loro bastava un pareggio.
Che poi, avevamo iniziato malissimo: tre pareggi mediocri - uno contestatissimo da Oliviero Beha... risorti contro l'Argentina di Maradona; contro quel Brasile non ce l'avremmo mai fatta.
Confesso che quando Rossi segnò il primo gol, mi sembrava un inclemente spostare in avanti la lancetta dell'inesorabile sconfitta. Tanto che quando pareggiò l'immenso Socrates, io spensi il televisore e mi rintanai dentro la mia stanza. Poi, però, qualcosa si svegliò in me e mi fiondai di nuovo davanti alla tivù. E fu una battaglia nel salotto di casa. Mancava qualche giorno ai miei 16 anni, e ancora non sapevo cosa avrei avuto in regalo: addirittura un Mondiale... :-)
Di tutta la partita a me resta impressa sempre e solo un'azione: il gol di Falcão. Con una elegantissima finta spostò l'intera difesa italiana, aprendosi un varco utile per un terrificante golelegante-dei-suoi da poco fuori area. 
Era il 2 a 2, era finita.
Poi Rossi tirò fuori dal cilindro un gol impappinato "alla Paolo Rossi". Se provate a rivedere quello che farà poi alla Germania durante la finalissima, la posizione e il guizzo sono pressoché sovrapponibili. Rossi era stato partorito lì, e ancora oggi il suo letto è a foggia di area piccola del portiere.
Gracile, mezzo rotto, striminzito, con un nome/cognome di rara banalità, quel piccolo folletto ci regalò una vittoria miracolosa.
Poteva andare meglio se non fosse stato annullato il gol di Antognoni... 
Ma sono tutte storie che conoscete: ognuno di voi potrebbe raccontarle a modo suo.
Quello che vi consiglio di fare è di acquistare questo libro di Trellini: è evocativo, liquido, ricco di storie e riferimenti e di magia.
E lo dico nonostante l'autore racconti anche il contorno: storie di dittature e di crisi politica italiana, storie di brigatisti e di calcio scommesse, storie di tradimenti e di corruzione, storie di un calcio che sta perdendo la sua leggerezza e di lì a poco diventerà sponsorizzato e plastificoso, storie di uomini e di personaggi che erano già leggendari ancor prima di diventarlo.
È un libro intenso e serio, ben scritto e ben strutturato, che sa dire e dare emozioni genuine.
Io ci sto lasciando il cuore dentro.
Buona lettura