Diventa attuale il contesto di questo film. All'improvviso.
Ancor più penetrante se si pensa che Eastwood ha raccontato una realtà senza aggiungere moniti o messaggini di sorta: la storia sta lì, nuda e vera e realmente accaduta, senza che si possa fare nulla per cambiarla, senza che lo spettatore possa aggiungere qualcosa di presuntuosamente proprio.
E il filo rosso che unisce i fatti di Charlie Hebdo e la vita di Chris Kyle è assimilabile in un solo punto: il nostro modello di vita. I morti del settimanale ne rappresenta(va)no l'essenza estrema, perché il nostro modello di vita glielo consentiva; disegnare, fare satira, passare il tempo cioè a cazzeggiare sulle nostre contraddizioni, sulle nostre inutili inutilità.
Chris Kyle, invece, rappresenta l'estremo difensore di questo modello. Il primo baluardo in difesa del nostro diritto di cazzeggiare.
Può piacere o non piacere, ma le cose stanno così.
Onestamente, non conoscevo la vicenda - soprattutto il tristo epilogo: ho potuto, quindi, godermi al meglio l'intera parabola narrativa senza perdermi dietro a preventive analisi tecniche ed estetiche. Certo, il film soffre di "troppa" asciuttezza; si sente, poi, un tentativo di evitare l'agiografia ad ogni costo, soprattutto perché i supermacho reali hanno stancato, relegati ormai - e necessariamente - nelle tutine dei supereroi... però si percepisce nitidamente il crescendum del disagio psicologico del nostro erore, in tutta la disarmante semplicità delle sue possibilità culturali.
Già...
Chris Kyle, cioè, non fa ragionamenti a colpi di Proust, di dotte enunciazioni, di salottiere mistificazioni. Chris Kyle difendeva un modello e difenderà poi le vittime che difendono questo modello. Il suo è un altruismo da soldato, e da soldato dovrà necessariamente morire.
Grande fotografia.
Intrigante la scelta di non incastonare musica nella colonna sonora: l'eccellente epilogo di Morricone dirà tutto (curiosamente non originale: preso, cioè, da uno spaghetti "minore").
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11 gennaio 2015
08 gennaio 2015
l'unico amico di Charlie
Il 12 ottobre del 2010, quelli di Spinoza raggiungono il fondo con un post ributtante. Nel nome, cioè, della libertà di essere liberi, gettano fango e letame contro quattro dei nostri ragazzi saltati in aria su una mina del "nemico" (o comunque di quello che il governo da noi eletto democraticamente ha considerato come tale, perlomeno in quel momento).
Io scrivo le mie rimostranze, e mi becco risposte stupide e sciocche che hanno il significato che hanno. Da quel giorno, non li leggo più. Neanche si accorgeranno di aver perso un lettore, figuriamoci: però ho un cervello e una dignità, e non posso certo sprecarli nel sito di quattro deficienti.
Però: non sono entrato nel loro palazzo, non ho sparato all'impazzata contro nessuno di loro, non li ho nemmeno presi a calci nel culo come avrebbero decisamente meritato.
Perché?
Perché siamo occidentali, un paese democratico, uno Stato libero, ricco di contraddizioni e di storie perlomeno originiali, ma pur sempre dignitoso almeno nella sua essenza teorica.
Certo, per quelli di Spinoza vale l'antica regola del Marchese del Grillo: problema loro (e dell'intelligenza di chi li legge, è ovvio). Per un paese serio e civile, invece, quello di Spinoza è il tipico sacrificio dell'intelligenza: dare spazio anche a loro, per confermarsi e confermare che la democrazia non può buttare via nulla di se stessa, neanche gli sfinteri.
Vero è che la satira si misura proprio dall'essere capace di spararla grossa senza avere bisogno di appellarsi a un diritto; se la tua parola è forte, il tuo diritto è la tua parola.
Veniamo alla strage di ieri: è vero che la memoria e il rispetto che si deve ai quattro morti di cui sopra non è dialetticamente comparabile con l'importanza ontologica della figura religiosa di Mamometto o di Allah (che poi, non dimentichiamo, per alcuni raffigurare questa figura è già considerato blasfemo); è vero anche che un conto è la sensibilità dei singoli verso i singoli, un conto il rispetto - anche e solo strategico - che si deve nei confronti di un simbolo venerato una un miliardo e mezzo di esseri umani.... ma se tu manchi di rispetto nei confronti di un morto o di un dio, sei solo un coglione. Punto.
Non è che io vengo lì e ti sparo a bruciapelo. Tutt'al più non ti compro.
Su questo, immagino, non ci piove.
Qualche derelitto dirà che sto scrivendo "se la sono cercata". Non è vero. Anzi, prima di aprire bocca, verifichi la sua copia di Lotta Continua di qualche lustro fa: scoprirà chi urlò "se l'è andata a cercare", e avrà qualche simpatica sorpresa.
Né tantomeno voglio mettermi lì a scrivere i "sì, ma" che hanno smosso certi intellettuali da strapazzo.
Però c'è qualcosa che va detto: non aggrappiamoci a delle vignette stupide e blasfeme per difendere la nostra libertà di pensiero.
Già... perché quella satira è stata "solo" libertà di pensiero, ma non di pensare. Già... pensare significa anche capire che se tu disegni Maometto a pecorina con il buco del culo a forma di stella di David, non hai aggiunto o tolto nulla alla causa democratica né dell'Islam né del mio paese: hai dato visibilità solo alla tua volgarità, peraltro abbastanza facilotta. Punto.
Chi dimentica queste cose per scrivere stronzate come questa (è del 2006, ma è stata ribadita poco fa dall'autore stesso), o come questa, o come questa, sta solo dando spazio al proprio ego, non a un dibattito. Anzi: c'è addirittura chi twitta una sciocchezza come questa
Dov'è che voglio arrivare?
Che adesso sarà più facile difendere i "valori" dell'Occidente, come faceva istericamente la superfascista Oriana Fallaci, non distinguendo diritti e doveri.
Sarà più facile st(r)ingersi intorno al Vaticano che fino a pochi secondi fa vantava una storia di abomini e di stragi analoghi.
Sarà più facile ricicciare l'antica idea di Europa superiore all'Islam (ricordate la gaffe di Christian Rocca che blaterò sull'inconsistenza di un'opposizione interna all'integralismo, beccandosi reprimenda da tutti... tanto che ci ha bloccati in massa?).
Sarà più facile uscirsene come il sucitato Costa, pretendendo reciprocità culturale, di obblighi culturali al femminismo, di tante altre cose, ma senza dare un'occhiata al contesto.
Credo si debba affrontare il tutto partendo da altre premesse.
Se è un problema di religione, ogni religione è un problema. Del resto, è anche nelle nostre chiese che mi sento imporre che il dio cristiano è anche mio (che sono ateo) o di un ebreo o di un islamico. E anche "loro" fanno così dalle "loro" parti.
Se è un problema di coerenza democratica, l'Italia ha qualche problema in merito: la nostra reciprocità si è dimostrata leggermente debole, mi sembra.
Se è un problema di difesa dell'identità, mi chiedo a quale identità facciamo riferimento: qui ci si ricorda di essere bianchi-cristiani-occidentali solo in queste occasioni.
Se è un problema di terrorismo, va combattuto come tale. Quindi: militarmente prima, culturalmente poi. Né in Afganistan né in Irak ci stiamo riuscendo, mi sembra.
Se è un problema di convivenza culturale, togliamoceli dai coglioni allora, nella stessa misura però in cui dobbiamo toglierci noi dai loro coglioni. Però, poi, addio libero mercato.
Se è un problema di progresso, il progresso sta nell'essere progrediti e non nel progredire. E allora un Mamometto che la prende nel culo da chissà chi, non mi sembra una prova di satira.
Se è un problema di modernità, vedrete che il popolo italico si sveglierà solo quando si sentiranno cantare i primi razzi israeliani e/o statunitensi.
Quello che voglio dire è che l'11/9 non ci ha insegnato un tubo. Dovevamo uscire da certi vortici, costruire un mondo nuovo e diverso, e invece abbiamo fatto di tutto per peggiorare la situazione.
Se devo ragionare come un giornalista snob rinchiuso nella mia torre d'avorio, provo pena e dolore senza fine per Ahmed Merabet, prima ferito e poi "giustiziato" da uno dei killer. Merabet stava proteggendo con la propria divisa un valore di cui immagino non sapesse neanche l'origine: un valore che per puro gusto della provocazione irrideva la sua stessa religione... un valore che si basava sul capovolgimento di un'antica (presunta) regola volteriana: gli altri devono morire per difendere le mie idee, che se poi mi danno fama e gloria e visibilità eterna, meglio. Del poliziotto di quartiere Merabet, però, non ne parleremo mai più.
Io scrivo le mie rimostranze, e mi becco risposte stupide e sciocche che hanno il significato che hanno. Da quel giorno, non li leggo più. Neanche si accorgeranno di aver perso un lettore, figuriamoci: però ho un cervello e una dignità, e non posso certo sprecarli nel sito di quattro deficienti.
Però: non sono entrato nel loro palazzo, non ho sparato all'impazzata contro nessuno di loro, non li ho nemmeno presi a calci nel culo come avrebbero decisamente meritato.
Perché?
Perché siamo occidentali, un paese democratico, uno Stato libero, ricco di contraddizioni e di storie perlomeno originiali, ma pur sempre dignitoso almeno nella sua essenza teorica.
Certo, per quelli di Spinoza vale l'antica regola del Marchese del Grillo: problema loro (e dell'intelligenza di chi li legge, è ovvio). Per un paese serio e civile, invece, quello di Spinoza è il tipico sacrificio dell'intelligenza: dare spazio anche a loro, per confermarsi e confermare che la democrazia non può buttare via nulla di se stessa, neanche gli sfinteri.
Vero è che la satira si misura proprio dall'essere capace di spararla grossa senza avere bisogno di appellarsi a un diritto; se la tua parola è forte, il tuo diritto è la tua parola.

Non è che io vengo lì e ti sparo a bruciapelo. Tutt'al più non ti compro.
Su questo, immagino, non ci piove.
Qualche derelitto dirà che sto scrivendo "se la sono cercata". Non è vero. Anzi, prima di aprire bocca, verifichi la sua copia di Lotta Continua di qualche lustro fa: scoprirà chi urlò "se l'è andata a cercare", e avrà qualche simpatica sorpresa.
Né tantomeno voglio mettermi lì a scrivere i "sì, ma" che hanno smosso certi intellettuali da strapazzo.
Però c'è qualcosa che va detto: non aggrappiamoci a delle vignette stupide e blasfeme per difendere la nostra libertà di pensiero.
Già... perché quella satira è stata "solo" libertà di pensiero, ma non di pensare. Già... pensare significa anche capire che se tu disegni Maometto a pecorina con il buco del culo a forma di stella di David, non hai aggiunto o tolto nulla alla causa democratica né dell'Islam né del mio paese: hai dato visibilità solo alla tua volgarità, peraltro abbastanza facilotta. Punto.
Chi dimentica queste cose per scrivere stronzate come questa (è del 2006, ma è stata ribadita poco fa dall'autore stesso), o come questa, o come questa, sta solo dando spazio al proprio ego, non a un dibattito. Anzi: c'è addirittura chi twitta una sciocchezza come questa
Sarebbe bello e commovente vedere ora manifestazioni nel mondo islamico paragonabili a quelle di quando un matto bruciò il Corano.
— Francesco Costa (@francescocosta) 7 Gennaio 2015
dimostrando una irritante malafede.Dov'è che voglio arrivare?
Che adesso sarà più facile difendere i "valori" dell'Occidente, come faceva istericamente la superfascista Oriana Fallaci, non distinguendo diritti e doveri.
Sarà più facile st(r)ingersi intorno al Vaticano che fino a pochi secondi fa vantava una storia di abomini e di stragi analoghi.
Sarà più facile ricicciare l'antica idea di Europa superiore all'Islam (ricordate la gaffe di Christian Rocca che blaterò sull'inconsistenza di un'opposizione interna all'integralismo, beccandosi reprimenda da tutti... tanto che ci ha bloccati in massa?).
Sarà più facile uscirsene come il sucitato Costa, pretendendo reciprocità culturale, di obblighi culturali al femminismo, di tante altre cose, ma senza dare un'occhiata al contesto.
Credo si debba affrontare il tutto partendo da altre premesse.
Se è un problema di religione, ogni religione è un problema. Del resto, è anche nelle nostre chiese che mi sento imporre che il dio cristiano è anche mio (che sono ateo) o di un ebreo o di un islamico. E anche "loro" fanno così dalle "loro" parti.
Se è un problema di coerenza democratica, l'Italia ha qualche problema in merito: la nostra reciprocità si è dimostrata leggermente debole, mi sembra.
Se è un problema di difesa dell'identità, mi chiedo a quale identità facciamo riferimento: qui ci si ricorda di essere bianchi-cristiani-occidentali solo in queste occasioni.
Se è un problema di terrorismo, va combattuto come tale. Quindi: militarmente prima, culturalmente poi. Né in Afganistan né in Irak ci stiamo riuscendo, mi sembra.
Se è un problema di convivenza culturale, togliamoceli dai coglioni allora, nella stessa misura però in cui dobbiamo toglierci noi dai loro coglioni. Però, poi, addio libero mercato.
Se è un problema di progresso, il progresso sta nell'essere progrediti e non nel progredire. E allora un Mamometto che la prende nel culo da chissà chi, non mi sembra una prova di satira.
Se è un problema di modernità, vedrete che il popolo italico si sveglierà solo quando si sentiranno cantare i primi razzi israeliani e/o statunitensi.
Quello che voglio dire è che l'11/9 non ci ha insegnato un tubo. Dovevamo uscire da certi vortici, costruire un mondo nuovo e diverso, e invece abbiamo fatto di tutto per peggiorare la situazione.
Se devo ragionare come un giornalista snob rinchiuso nella mia torre d'avorio, provo pena e dolore senza fine per Ahmed Merabet, prima ferito e poi "giustiziato" da uno dei killer. Merabet stava proteggendo con la propria divisa un valore di cui immagino non sapesse neanche l'origine: un valore che per puro gusto della provocazione irrideva la sua stessa religione... un valore che si basava sul capovolgimento di un'antica (presunta) regola volteriana: gli altri devono morire per difendere le mie idee, che se poi mi danno fama e gloria e visibilità eterna, meglio. Del poliziotto di quartiere Merabet, però, non ne parleremo mai più.
21 gennaio 2011
spinoza ancora una volta insulta i morti
Afghanistan, un morto e un ferito. Sono italiani. Specialmente quello morto.
(L’ennesima vittima italiana. È incredibile che con queste notizie ci aprano ancora i tg)
Un soldato italiano ucciso e un altro ferito in un conflitto a fuoco. Illeso il pianista
Sembrava che l’alpino fosse caduto vittima del fuoco amico. Poi il sospiro di sollievo.
Queste perle di inciviltà sono apparse sull'ultimo post di Spinoza, come se la "libertà di satira" consenta automaticamente di mancare di rispetto ai ragazzi che abbiamo mandato a morire per qualcosa che credo non sia chiaro nemmeno a molti di loro.
Certo è che provare ad esprimere sdegno e fastidio per questo approccio (per tacer di una battutaccia anche sul cancro), significa subire sempre e solo l'insulto.
Ne avevo già parlato qui e qui, subendo commenti nei due post veramente eterogenei, alcuni interessanti, molti incivili.
Quello che disorienta è l'approccio sistematico - e condiviso - che i commentatori/lettori e i proprietari del blog hanno contro chi non la pensa come loro (scrutate i commenti fino alla fine): si va sul personale (addirittura sul privato), sulla definizione gratuita ("lavora in Rai!", come fosse un reato), sull'insulto, e cose simili.
Addirittura c'è chi tira fuori il mio romanzo, denigrandone l'autopubblicazione (che per definizione è un gioco semiserio che non fa male a nessuno), sminuendone l'intenzione, appoggiandosi a frasi fatte e a un riassumere la mia personalità con epiteti gratuiti e cretini.
Eppoi, perla delle perle, si mischiano le carte tra i miei commenti in loco (diretti a personaggi diversi, e quindi diversi per approccio e intenzioni) e a frasi prese a caso da questo blog, per poter restituire un'idea solo negativa - vaga ma efficace - del sottoscritto, lontana mille miglia anche dai miei peggiori difetti, addirittura contraddittoria nella forma e nella sostanza.
Il bello è che dentro Spinoza, spesso si addebita a Berlusconi l'incapacità di accettare critiche, si addebita a Berlusconi il buttarla sempre in caciara, si addebita a Berlusconi la maleducazione al confronto, e poi ci si comporta esattamente come lui e i suoi sodali.
La domanda, allora, sorge spontanea: che differenza c'è?
Forse è proprio vero che i difetti che addebitiamo solo a Berlusconi, in realtà sono attitudini tipicamente italiche.
Che peccato...
19 ottobre 2009
l'ignoto milite
Mi sento a disagio pensando a quelli singoli, isolati dalla Storia, che muoiono fuori dall'eco dello sgomento.
Non sapremo mai i loro nomi, né tantomeno ci soffermeremo anche e solo un attimo per pensare a questi giovani strappati alla vita per uno scopo così infame ma utile.
Come si chiama il ragazzo morto l'altro giorno? Cosa stanno vivendo i loro famigliari?
Non lo sapremo mai.
Mai.
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