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22 aprile 2015

Anime Nere, una (amara) recensione tardiva

Se non avete visto questo capolavoro, fermatevi qui; altrimenti scoprite come va a finire

È incredibile come già la locandina ufficiale dia un'idea (volutamente?) diversa della trama. È come se il regista volesse giocare con lo spettatore, promettendogli un esito che invece non accadrà.
Dato che non amo far finta di sapere cosa passa per la capoccia di un regista, mi limito solo a sottolineare che questo Anime Nere riduce al silenzio un altro capolavoro: Gomorra, con cui sembra condividere perlomeno l'afflato di una denuncia mai fine a se stessa. 
Ma il confronto finisce qua, per un serie di motivi. Il primo: Gomorra partì avvantaggiato dell'esagerato successo del testo omonimo e da tutte quelle faziose liturgie che hanno ormai mortificato l'identità dell'autore, Roberto Saviano (ormai un'ombra dell'eroe che fu). 
Il secondo motivo è che mentre Gomorra non preclude lo spazio a una possibile speranza, Anime Nere la speranza la irride, la fa a pezzi, la sbriciola. Paradossalmente, e tristemente, è più realista Anime Nere.
Il terzo motivo è la regia: Francesco Munzi è al servizio della trama e dell'idea cinematografica. È spettatore, forse: ma è anche indignato (la penultima inquadratura ne è valido esempio). In Gomorra, invece, si "sente" una voglia di estetismo borioso che spesso cozza con l'invece necessario cronachismo asciutto. Per carità, funziona. Ma io sono convinto che Garrone abbia sempre tenuto un occhio fisso sull'egocentrico successo prefabbricato: paradossalmente, non ha tenuto la briglia sciolta, affidandosi invece alla sicurezza del già noto.
Il quarto motivo sono i protagonisti: in Anime Nere abbiamo a che fare con attori di nicchia, quasi sconosciuti; in Gomorra, invece, c'è stato un gioco delle parti sin troppo ammiccante.
Dato che mi rivolgo solo a chi ha visto il film, posso confessarvi che mi sono sentito una merda per un motivo quasi imbarazzante: ho fatto il tifo per la vendetta. Ho sperato, cioè, che Luigi e Rocco avrebbero lavato col sangue l'affronto subito. 
Non avendo alcuna idea della vicenda - non leggo più le recensioni da lustri (perlomeno prima), mi sono affidato a una visione avventurosa della trama (che però aveva già chiarito cosa voleva dire a un terzo del suo percorso; ma io ho fatto finta di non capirlo).
Certo, il ritmo è decisamente pacato, quasi lento. In realtà, è quel tipo di vivere che mantiene il tempo così dilatato, quasi ripetitivo (anche nei suoi messaggi di morte), raccogliendo intorno alle persone un ambiente desolante e insicuro, sorrisi assenti, ghigni costanti, sfiducia e rabbia, aggressività bestiale mascherata da un pagano senso dell'onore ben ripulito da un simulacro di cristianesimo che neanche il diavolo professerebbe.
Non c'è speranza, dicevo. Non c'è nulla per cui valga la pena di leggere, di studiare, di essere onesti e retti. 
Non c'è speranza, pensavo. Non c'è spazio all'amore, al calore umano. La natura non ha diritti. Le donne non hanno diritti. La politica non ha spazi. O meglio, gli spazi ci sono: le regole, però, sono di questa assordante delinquenza. Non può esistere una politica "pulita" in questo sud così putrefatto: o si è collusi o si mente dicendo di non esserlo.
Io mi chiedo se i nostri politicanti, i nostri garantisti del cazzo, noi borghesucci che ce la tiriamo come pazzi dentro questa finta realtà che è il web... mi chiedo, insomma, se abbiamo capito cosa sia il sud d'Italia, cosa sia veramente la criminalità organizzata, cosa siano le nostre periferie. 
Tanto vale scappare. Tanto vale lasciare che l'Italia muoia delle sue stesse anime senza speranza.

17 marzo 2010

sulla scena del crimine

Quando una settimana fa lessi questa recensione, mi aspettavo un libro tipo quelli bellissimi su Star Trek del compianto Franco La Polla o quello straordinario scritto dal quasi Nobel Lawrence Krauss sulla Fisica di Star Trek (una volta in libreria qualche buontempone cancellò "si" comportando non poca ilarità tra gli avventori della libreria). Insomma, di quei libri che girano intorno ai serial televisivi per analizzarli da punti di vista inconsueti, comunque interessanti, se non addirittura divertenti.
Niente di tutto questo: la recensione è una bufala.
E quindi mi ci stavo arrabbiando di brutto.
Però, e alla fine, il libro è divertente lo stesso, e offre spunti di riflessione lontani dai mitici CSI per schiantarsi dentro sentimenti molto più seri. E gli omicidi rappresentati, le consulenze della "vera" scientifica, il comportamento delle persone comuni, la banalità del male, vengono descritte in maniera molto precisa, nitida, quasi imbarazzante.

23 febbraio 2010

memorie dal calabozo

Ho ricevuto in prestito questo libro.È una guida all'inferno più assoluto, quando cioè la viltà umana e la pochezza dei potenti raggiungono livelli di efferatezza che superano di gran lunga ogni più perfida immaginazione.
È la storia di due intellettuali uruguagi (come evrebbe detto Gianni Brera) costretti per tredici anni (13 anni!) a vivere dentro un buco, una profonda fossa, senza neanche avere il sottile privilegio di sgranchirsi le braccia, senza nemmeno potersi pulire il culo o pisciare in santa pace.
Tutto questo solo perché pensavano, ma non come i potenti dell'Uruguay, o come il Vaticano che silente osservava compiacente (aspettate qualche santo in merito), o come tutto il mondo occidentale che sapeva e assisteva senza muovere un dito.
Essere privati della propria dignità è l'abominio più basso che si possa subire. Ma evidentemente i due protagonisti di questo libro, Mauricio Rosencof e Eleuterio Fernández Huidobro, ne avevano così tanta che ancor oggi gli avanza per indicarci con entusiasmo strade di onorabile senso della dignità che neanche sappiamo immaginarci.


FAVOLA PER ADULTI
Uruguay 1973 - 1985: questi il luogo e il tempo del racconto scritto da Mauricio Rosencof e Eleuterio Fernández Huidobro, autori ma anche protagonisti di quella tragica parentesi storica che ha visto contrapposti i guerriglieri del Min (Movimento di liberazione nazionale) alla dittatura militare uruguayana. Tredici anni sottoterra, una prigionia lunga e disumana all'interno dei calabozos, celle d'isolamento alte 180 centimetri e profonde 60, di cui Mauricio Rosencof ed Eleuterio Fernández Huidobro evocano la memoria e il terrore; torture fisiche e psicologiche, alienazione e delirio sono il leitmotiv dei loro giorni e delle loro notti. Non c'è speranza per chi si oppone al regime. Finché una notte i due, relegati in calabozos contigui, riescono a squarciare il muro del silenzio creando un canale di comunicazione "altro" basato sul codice Morse: riattivare una qualsiasi forma di linguaggio significa per loro ritornare alla vita. Così Memorie dal calabozo, che è la prima traduzione italiana dell'opera, ripercorre con sarcasmo e ironia la storia dell'Uruguay, dall'apogeo al declino della dittatura fino alla liberazione, attraverso la selezione di 154 testi sui 200 dell'edizione originale, diventando un vero e proprio canto alla vita contro tutte le barbarie.





Mauricio Rosencof
nasce a Florida, Uruguay, nel 1933 da una famiglia di immigrati ebreo-polacchi. Scrittore, drammaturgo e giornalista, attualmente è assessore alla cultura nel comune di Montevideo. Numerosi testi di Rosencof sono stati tradotti in tedesco, inglese, francese, olandese e turco, ma solo nel 2008 appare la prima traduzione italiana di una sua opera, Le lettere mai arrivate, edizioni Le Lettere di Firenze.

Eleuterio Fernádez Huidobro
nasce a Montevideo nel 1942, ex guerrillero del Movimento di liberazione nazionale, nonchè uno dei 9 ostaggi della dittatura dal 1973 al 1985, è giornalista, scrittore e attualmente politico. Riveste l'incarico di senatore della Repubblica uruguayana dal 1999.
Mauricio Rosencof
Eleuterio Fernádez Huidobro
Memorie dal calabozo
13 anni sottoterra


22 febbraio 2010

amabili resti (per appunti e divagazioni)

Questo film si apre con uno dei brani più interessanti di tutta la discografia di Brian Eno: 1/1 dal sottovalutato Ambient 1: Music for Airports (gli appassionati riconosceranno tra i brani non originali anche la quasi frippiana Third Uncle da Taking Tiger Mountain By Strategy). E di questa atmosfera conserva moltissimi aspetti.
Forse non è un film eccellente, ma eccelle in molte cose, specie se teniamo conto che per mandare in frantumi il regno di Lucas e Spielberg, finora Peter Jackson aveva badato solo agli effetti e poco alla storia (in fondo il Signore degli anelli va avanti da solo).

A dispetto di quanto scrive David Denby sul New Yorker (qui in lingua e qui tradotto dai ragazzi di Internazionale) sia il libro che il film non sono un lavoro da "artigiani capaci e opportunisti". Come purtroppo si sa - si dovrebbe sapere (perlomeno tra giornalisti) - la Sebold fu veramente violentata, e Jackson è stato già ampiamente rivestito d'oro per mettersi poi lì a giochicchiare con un argomento così devastante come la pedofilia.


Ad un certo punto i tempi diventano il lato debole dell'intera operazione. Da metà film in poi è come se mancasse un'idea d'insieme: l'intera macchina narrativa tentenna, quasi sbanda, per poi riprendere percorsi diversi a volte incoerenti. Credo forse che la paura di descrivere male il male assoluto, il terrore di scendere nel banale in questa rappresentazione di limbo per anime incomplete, il rischio di diventare noioso o moralistico, abbiano costretto Jackson a continui ripensamenti di sceneggiatura. E il ritmo ne risente. Tanto che è in agguato un quasi triplo finale.


Facendo finta di non aver visto l'inutile pre-epilogo in stile Ghost tra la bimba defunta e il quasi ex fidanzato, va detto che non è una storia di fantasmi. O meglio: non come li intendiamo noi. I loro differenti mondi si sfiorano ma non si toccano, si intuiscono ma non si vedono, si cercano ma non si trovano. E in fondo è più un problema per la defunta che per i vivi, non solo per l'iniziale angoscia della sofferta consapevolezza di essere morta (resa perfettamente sia dall'attrice che dalla regia), ma perché non può far sapere chi sia l'autore dell'omicidio.


Più in generale, Jackson mette la tecnologia al puro servizio della storia, regalandoci momenti veramente incredibili, come quando il padre distrugge le navi in bottiglia e contemporaneamente lei le vede frantumarsi in quei fantomatici scogli, oppure quando l'ambiente reagisce visivamente all'intimità dei suoi stati d'animo più profondi.Certo l'alberello parabiblico disturbicchia (come anche il campo di grano in stile Ade da Gladiatore), ma l'insieme del mondo "altro" ha spessore, oltre che visiva maraviglia. Fa soffrire e sorridere, sperare e anche meditare... e un po' anche diverte, diciamolo.


E nel reale? Anche qui Jackson lavora abbastanza bene: non esagera con le situazioni standard che devono farti affezionare al personaggio e/o alla sua famiglia e/o alla vita da sogno che solo i fanciulli possono vivere. È tutto abbastanza equilibrato, per nulla borghese o leccato o da famiija de' poracci: sembra credibile e vero, proprio perché normale; e normale purtroppo è l'assedio del Male. La sequenza della violenza subita è una perla di rara eleganza e di misuratissima angoscia.


Senza scomodare Viale del tramonto e American beauty (per citarne due) da cui Jackson e la Sebold hanno preso l'idea di una trama che parte dalla fine, dove cioè sappiamo già chi morirà e seguiamo a ritroso gli eventi che hanno portato alla sua fine, di citazioni raffinate (su cui si indugia quel tanto che basta) ce ne sono, eccome: prima di concepire l'ultimo figlio, la sempre brava Rachel Weisz legge L'Exil et le royaume di Albert Camus, attuale e preziosa raccolta di racconti (tradotta in pellicola due anni fa).

La protagonista viene soprannominata Suzie Q, come l'omonima canzone resa famosa dai Creedence Clearwater Revival (e danzicchiata da un paio di ragazzine francesi dall'elicottero di Apocalypse now!).
E poi c'è l' immancabile Der Wanderer über dem Nebelmeer di Caspar David Friedrich (qui a destra) che campeggia su una parete della casa.
E come non dimenticare lo scespiriano Othello nell'allusa interpretazione cinematografica di Laurence Olivier...
Non credo che siano citazionismi saccenti o di converso buttati là; semplicemente fanno parte della storia, e magari artificiosamente dimostrano come Jackson abbia più ciccia in testa di quanto i suoi precedenti lavori non lasciassero intravedere.

Due cose sono certe: la prima, è un film da vedere; la seconda, tale è la rabbia che vi crescerà dentro contro la pedofilia, che all'uscita della sala vi verranno in mente cose terribili pur di punire questi bastardi.

E il bello è che il film non fa mai vedere nulla, quasi neanche intuire. La gaiezza di certe sequenze, l'innocenza di certi dialoghi, la totale assenza di simbolismi sessuali più o meno dissimulati, hanno - però e appunto - l'esatto effetto opposto: creano indignazione, rabbia e sofferenza per uno dei mali più ributtanti che un uomo possa mai concepire.


27 novembre 2009

come nasce un bullo

Diciamo che potremmo aprire la descrizione con la fine, un commento buttato là: "che vuoi che sia?". Poi, camminando a ritroso, potremo renderci conto che nessun genitore dice più "no".
Infine arriviamo all'inizio, da una pallonata: distacco della retina, operazione d'urgenza, alla Tac risulta qualcosa di più grave, il pensionando passerà un anno di tribolazioni perdendo anche l'opportunità di un rinnovo contrattuale per altre due stagioni che gli avrebbe certo fatto comodo.
L'ambiente: Testaccio, il bellissimo rione a ridosso dell'Aventino, il più antico colle romano, da dove cioè Romolo si dice abbia scagliato la lancia che si conficcò nel Palatino per poi fondare la Città Eterna.
Testaccio ha tre amplissimi campi sportivi gratuiti, uno parrocchiale e due scolastici (aperti e controllati fino a sera), una piscina dai costi contenuti, due campi di calcio a basso costo che possono essere affittati da più genitori contemporaneamente al ritmo di pochissimi euro al giorno.
C'è anche una lunga pista ciclabile che percorre tutta via Rubattino, con annessa riva ciclabile subito dopo il Ponte Sublicio (anch'esso tra i più antichi di Roma, più di Ponte Milvio).
E invece i ragazzi si concentrano qui, al centro di Piazza Santa Maria Liberatrice, uno slargo asfaltato e delicatamente alberato tutt'altro che attrezzato e ricco invece di insidie fisiologiche, dove passano e riposano persone anziane, bimbi in carrozzina, esseri umani insomma, liberi di vivere come si dovrebbe in un ritrovo così bello e sicuro.
In più, nel giro di pochi metri le auto che transitano rischiano o di prendere pallonate che potrebbero compromettere l'attenzione alla guida, o di investire imprevedebili e improvvisati calciatori presi dalla legittima foga del gioco.
A riguardo già solo il Codice della Strada vieta qualsiasi attività sportiva al di fuori degli spazi previsti: ma qui non siamo nelle aride periferie; qui gli spazi ci sono a volontà e pure coperti da assicurazione per eventuali infortuni.
Non solo, ma più i pupi crescono e più aumentano i comportamenti fuori luogo: con motorini e biciclette sui marciapiedi slalomano tra persone anziane e fastidiosi esseri viventi, oppure scatenano ovunque cani sguinzagliati e cacherecci, stereo ad alto volume, atti di vandalismo sulle infrastrutture e cose simili... perché?
Perché provare a dire "no", provare a far capire che la loro libertà è ben che tutelata in appositi confini significa subire l'aggressione dei genitori e il "che vuoi che sia" dei passanti.
È un po' come quando certe deficienti attraversano la strada buttando avanti prima la carrozzina col figlioletto. Il "ricatto" dell'infanzia, insomma. È un bambino? Può fare quello che cazzo gli pare. Punto e basta.
E quando poi sono adolescenti, cosa sono diventati? Questo?
Per la cronaca: ora il vecchietto ci vede, ma non esce più di casa: gli hanno estirpato la sua piazza, le sue panchine, i suoi spazi. Nessuno gli ha mai chiesto scusa. Nessuno ha punito l'autore della pallonata.

23 maggio 2007

i predoni dell'infanzia

L era il nostro professore di italiano. Reduce antico della storica battaglia di Valle Giulia (di cui portava i segni di una manganella nel frontone semicalviziato), aveva intrapreso un lungo percorso psicologico e spirituale, tanto da passare dal comunismo razionale alla vocazione religiosa irrazionale.
Nella dialettica, però, manteneva un contegno tipicamente pre '77, rasentando qualche volta il ridicolo, ma disarmando sempre e comunque i suoi interlocoturi. Sull'amicizia una volta disse che "è come fare l'amore". Detto da lui, assumeva un significato per nulla volgare, anzi.
A era forse il mio migliore amico al liceo. Condividevamo solo la vicinanza dell'elenco alfabetico, sempre attaccati in quei lunghi cinque anni. Però lui era di destra, io no. Lui era appassionato di cose, io di spiritualità. Lui era laziale, io juventino...
Aveva una madre tipicamente italica, appiccicosa; un padre tipicamente italico, assente; una sorella tipicamente italica, isterica. A scuola e nella vita andava sempre così e così; purtroppo non gli bastava la mia amicizia, forse perché avevo la sua stessa età e non potevo confortarlo con un approccio adulto.
Un bel giorno venne da me stremato e disperato: L l'aveva invitato nella sua casa campana e aveva più volte dormito con lui. E la cosa si era ripetuta per quasi due mesi. Da quel "dormito" in poi cominciò a lacrimare sommessamente cercando di nascondersi dal mio sguardo. Là dove io avevo fallito con l'amicizia, era arrivato L con il suo corpo.
Il problema era: se ne parla col "padre preside"? No, perché mamma-papà-sorella di A avrebbero saputo. In più proprio il preside era stato protagonista di una proposta smaccatamente indecente nei miei confronti, i cui esiti drammatici riuscii ad evitare per pura fortuna.
Insomma, eravamo soli e non potevamo dire a nessuno di quella violenza e di quel tentativo di adescamento. Il tempo alleviò quelle ferite, ma paradossalmente da quel giorno la nostra amicizia si fermò.
Non ho più visto A, so solo che fa il poliziotto.
Quando finii il liceo, non m'iscrissi subito all'Università: per quindici mesi feci il volontario in un posto. Lì di casi di pedofilia non si potrebbe parlare perché i ragazzi in cura erano comunque quasi o almeno maggiorenni. Però so per certo che tre di questi disgraziati furono allontanati, proprio perché avevano subito da giovani prelati attenzioni simili a quelle che L aveva destinato ad A. Anziché colpire i carnefici, il responsabile di quel posto aveva cacciato via le vittime.
Avrei altri esempi da raccontare, ma sarebbero troppo evidenti e rischierei qualcosa.
In più c'è una cosa che nessun giornalista ha il coraggio di dire: in Italia la lobby dei pedofili è potentissima.
Già, i preti pedofili. La denuncia della Bbc era cosa nota, almeno per chi sapeva girare in rete. Il problema è che il parlarne adesso e apertemante non può essere considerato un attacco al VaticanChiesa, sarebbe da furbi intrisi di malafede.
Anzi, il VaticanChiesa per primo dovrebbe allontanare ogni sospetto di omertà, promulgando e diffondendo questo terribile filmato. Non dovrebbero chiarirci la posizione di Joseph, ma il perché esista di fatto un documento che inviti all'omertà - documento ribadito negli anni '80. Insomma, spostare così platealmente e furbescamente il motivo del contendere fa male alla verità e non blocca alla radice il perpetuare questi reati.
Eppoi, che la cosa accada solo al di fuori del Rubicone dovrebbe insospettire chiunque. Possibile che in Italia non ci siano mai stati casi simili? Possibile che il caso di L sia isolato?
Nei tanto odiati USA hanno adottato contromisure addirittura imbarazzanti: nel mio post pasquale invitai a visitare un database che gli statunitensi usano per conoscere quale diocesi sia macchiata di pedofilia.
È notizia di pochi giorni fa che un pezzo grosso di quelle parti abbia dovuto stravendere gioielli e possedimenti per pagare i risarcimenti alle decine di bambini martoriati.
Se la Rai non trasmetterà l'inchiesta della Bbc si dimostrerà almeno omertosa. Eppoi il video gira in rete da tempo, l'abbiamo visto in molti, forse troppi. Lo dico perché tra chi l'ha visto ci son anche i ragazzetti di oggi, che hanno grosse difficoltà ad usare un barlume di spirito critico.
Non posso dire che il VaticanChiesa protegga i preti pedofili o la pedofilia, ma posso pensare liberamente che se gli alti cardinali continueranno su questa strada, contribuiranno attivamente a minare il Vangelo ma soprattutto l'infanzia dei nostri bambini.
È un prezzo troppo alto.


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