È morto. Non ci sta proprio niente da fare: Chris Squire è morto. Uno dei più grandi bassisti di tutti i tempi, un monumento delle armonie più intriganti, un generoso gigantone ricco di inventiva e di contraddizioni... è morto. Mor-to.
E io non riesco a immaginarmi la storia della musica, la storia della mia adolescenza, senza la presenza di quel terrificante basso che ha spostato oceani, laghi e fiumi, ma soprattutto il mio stomaco.
Un basso maschio, audace, prepotente, arrogante ma anche dolcissimo, al servizio del gruppo, della musica, dell'insieme... un basso superveloce ma di cui sapevi assaporare con indolenza ogni singola azzeccatissima nota, un musicista che ha portato sulle spalle uno dei complessi più longevi (e più uguali a se stesso) che la storia del rock progressivo ricordi: gli Yes.
E non solo di quella, visto che la leggenda vuole che Pastorius sia diventato Pastorius proprio grazie all'ascolto di Chris Squire.
Un basso+voce che è uscito dalla strada risicata di McCartney per sfidare quelle in nuce di Greg Lake, di John Wetton, di Boz Burrell, e di tutti i basso+voce che hanno costellato la storia della musica di Sua Maestà. Un basso che non voleva solo armonizzare la ritmica, ma indicare potenzialità e territori inesplorati dando quindi più spazio (e rischi) a tutti gli altri strumentisti (Howe e Rabin sembravano sempre dover rincorrere le note dal ventesimo tasto in su).
Se non conoscete quel bassismo così unico, ascoltate Heart Of The Sunrise oppure Yours Is No Disgrace oppure tutta Magnification; opere che resistono ancora oggi all'attacco del tempo, e che forse resisterebbero ancora più se le tastiere avessero suoni meno datati.
Io Chris Squire l'ho conosciuto nella maniera sbagliata: sparandomi, cioè, prima il maledetto Tormato (una schifezza ambulante la cui unica perla è Onward, guarda caso sua), e poi il fastidioso Drama (quello da cui fu presa la sigla del televisivo Disco Ring più riuscito, per intenderci).
Poi decisi di iniziare con le due bibbie - Fragile e Close To The Edge - e dissi a me stesso "ma chi sono i Genesis?, dei pipponi!". Potete immaginare le discussioni animatissime tra gli "Yes fan" come me e i gabrielani. Divertentissime.
Che poi, tecnicamente gli Yes hanno sempre vantato strumentisti di indubbia qualità tecnica; i Genesis, invece, hanno faticato a uscire dalle ovvietà di certe costruzioni sin troppo autoreferenziali. Gli Yes erano sperimentazione, i Genesis mammolette al servizio dei propri ego. Per carità, voglio bene a entrambi: ma alla lunga io mi perdo nelle complessità così acquatiche del quintetto più terrificante che la musica abbia visto insieme, Anderson, Squire, Howe, Bruford e Wakeman, altroché.
Sfortuna vuole che io abbia visto il primo e i secondi tre in una delle tante avventure musicali collaterali frutto di litigi tra ex-compagni-poi-di-nuovo-non-più. Ma Squire, no, non l'ho mai visto dal vivo. E mi dispiace tantissimo, dio come mi dispiace.
So long, gigantone dal basso bianco.
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29 giugno 2015
29 aprile 2015
gli eroi di iiro rantala
Parliamo di pianisti: ne conosco così tanti che trovo perlomeno ingiusto stilare una classifica. Se, però, insistete, possiamo pensare che il mondo del pianoforte jazz sia un po' come una piramide, la cui punta è Keith Jarrett e tutto il resto scende giù... Allevi? Nessun problema: non è un pianista.
Ebbene, dove andrebbe collocato Rantala? Eh, è una bella domanda. Perché se dovessimo basarci solo sul singolo ascolto di questo Lost Heroes ci verrebbe istintivo collocarlo vicino all'entrata dei visitatori di questa ipotetica piramide.
Certo, alcuni brani sono comunque - e chiaramente - complessi o tendenti al complesso: però, poi, è chiaro che Rantala tenti più di comunicare qualcosa direttamente e senza fronzoli, piuttosto che restare pervicacemente rinchiuso in se stesso, costringendo l'ascoltatore ad entrare chissà in quale antro mistico. Del resto, nell'intervista che trovate alla fine di questo post, il nostro amico dichiara esplicitamente questa attitudine.
Il cd è un evidente omaggio ai compositori (o amici) più amati da Rantala. Molti sono noti: Bill Evans (il pianista, ovviamente), Toots Thielemans, Michel Petrucciani, Jaco Pastorius, Errol Garner, Art Tatum, Oscar Peterson. Un paio sono "classici": Sibelius e Pavarotti; un altro paio di nicchia: Pekka Pohjola e Esbjörn Svensson.
L'etichetta che lo rappresenta ne decanta la misura e l'eleganza: e in effetti sono due pregi che si sentono e si vivono con dolce intensità; soprattutto colpisce l'esattezza delle note, che è un'attitudine che a me piace moltissimo.
Ebbene, non sono riuscito ad appassionarmi totalmente a questo lavoro, finché non ho incrociato il secondo video che trovate qui sotto: è l'elegia dedicata a(l mio amatissimo bassista) Pekka Pohjola, riproposta dal vivo con l'intrigante chitarra di Marzi Nyman e... il beatbox di Felix Zenger. Surreale quanto eccezionale.
08 febbraio 2015
Peter Erskine fuori e dentro i Weather Report
Divertente, interessante e anche istruttivo: i tre aggettivi che vengono in mente appena conclusa la lettura di questa autobiografia di Peter Erskine.
Un libro che merita l'acquisto, anche da parte di chi non è appassionato di batteria e percussioni.
Salta subito all'occhio l'intenzione di non perdersi dietro inutili racconti d'infanzia o aneddoti troppo personali. Peter Erskine, infatti, ama divertirsi e far divertire il lettore, mettendo immediatamente in primo piano la musica e il suo strumento preferito: quella batteria, cioè, che lo trasformò in brevissimo tempo in un innovatore ancora attualissimo e in un pioniere della fusion meno ovvia (anche se lui per primo rifugge da questa definizione, ammettendo però la necessità economica di essersi dovuto cimentare anche con la muzak più insopportabile).
Ritroviamo grandi del passato come Jaco Pastorius, Joe Zawinul e Mike Brecker, più altri come gli Steps Ahead, Stan Kenton, Dave Weckl, Joni Mitchell, gli Steely Dan, Pat Metheny, Elvis Costello, Diane Krall, Wayne Shorter, John Patitucci... la lista è lunga e piena di sorprese.
Anzi, scopriamo pure gli angoli segreti di autentici monumenti come Manfred Eicher (un caratterino niente male) o Chick Corea (nella veste di inedito quanto eccellente batterista). In coda al testo figurano cinquanta titoli preferiti dall'autore tra i centinaia cui ha collaborato, anche come leader (anche qui molte sorprese).
Un libro che merita l'acquisto, anche da parte di chi non è appassionato di batteria e percussioni.
Salta subito all'occhio l'intenzione di non perdersi dietro inutili racconti d'infanzia o aneddoti troppo personali. Peter Erskine, infatti, ama divertirsi e far divertire il lettore, mettendo immediatamente in primo piano la musica e il suo strumento preferito: quella batteria, cioè, che lo trasformò in brevissimo tempo in un innovatore ancora attualissimo e in un pioniere della fusion meno ovvia (anche se lui per primo rifugge da questa definizione, ammettendo però la necessità economica di essersi dovuto cimentare anche con la muzak più insopportabile).
Ritroviamo grandi del passato come Jaco Pastorius, Joe Zawinul e Mike Brecker, più altri come gli Steps Ahead, Stan Kenton, Dave Weckl, Joni Mitchell, gli Steely Dan, Pat Metheny, Elvis Costello, Diane Krall, Wayne Shorter, John Patitucci... la lista è lunga e piena di sorprese.
Anzi, scopriamo pure gli angoli segreti di autentici monumenti come Manfred Eicher (un caratterino niente male) o Chick Corea (nella veste di inedito quanto eccellente batterista). In coda al testo figurano cinquanta titoli preferiti dall'autore tra i centinaia cui ha collaborato, anche come leader (anche qui molte sorprese).
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Weather Report
31 dicembre 2012
#UmbriaJazz Jimi Quintorigo Hendrix
Difficile parlare dell'omaggio a Hendrix da parte dei Quintorigo, per almeno due motivi: lui scrisse musica comunque eccezionale, che difficilmente può essere eseguita male; loro sono uno dei pochissimi complessi italiani che meriterebbe gli spazi di notorietà che in troppi regalano invece a certe nullità.
Stimare quindi entrambi non rende l'approccio serenamente oggettivo.
L'operazione proposta è eccellente, specie tenendo conto che le due voci si sono dimostrate all'altezza delle più esigenti aspettative: Moris Pradella (nero figlio di bianchi), eccellente nel restituire la intenzioni vocali del Jimi più intimista; Eric Mingus (bianco figlio di cotanto nero), spavaldo nel ritrovare l'anima blues dell'Hendrix più aggressivo (con quale estensione, poi!).
Ad essere pignoli, ogni tanto sono mancati i Quintorigo: è come se la devozione verso Hendrix abbia preso il sopravvento nei confronti di un modo tutto loro di stravolgere e ricomporre i brani dei grandi.
Per darvi un'idea: ricordate come fecero la porteriana "Night & Day"? C'erano delle quintorigate di disarmante bellezza.
Ecco, ieri si è percepito questo approccio solo durante il meno noto (ma divenuto classico anche grazie a Pastorius) "Third Stone From The Sun". Lì erano i Quintorigo all'ennesima potenza.
Attenzione, sto parlando di quisquilie, perché il concerto merita - e anche il disco, e loro restano un meritevole faro di musica di qualità e popolare al tempo stesso.
Tutti molto bravi. Due estremi da sottolineare: ottimo Valentino Bianchi al sax; sacrificato Stefano Ricci al contrabasso (quando ha raccontato "Little Wing " con sola campionatura seriale, ha dimostrato tutte le sue doti, piuttosto celate durante il resto dello show).
Stimare quindi entrambi non rende l'approccio serenamente oggettivo.
L'operazione proposta è eccellente, specie tenendo conto che le due voci si sono dimostrate all'altezza delle più esigenti aspettative: Moris Pradella (nero figlio di bianchi), eccellente nel restituire la intenzioni vocali del Jimi più intimista; Eric Mingus (bianco figlio di cotanto nero), spavaldo nel ritrovare l'anima blues dell'Hendrix più aggressivo (con quale estensione, poi!).
Ad essere pignoli, ogni tanto sono mancati i Quintorigo: è come se la devozione verso Hendrix abbia preso il sopravvento nei confronti di un modo tutto loro di stravolgere e ricomporre i brani dei grandi.
Per darvi un'idea: ricordate come fecero la porteriana "Night & Day"? C'erano delle quintorigate di disarmante bellezza.
Ecco, ieri si è percepito questo approccio solo durante il meno noto (ma divenuto classico anche grazie a Pastorius) "Third Stone From The Sun". Lì erano i Quintorigo all'ennesima potenza.
Attenzione, sto parlando di quisquilie, perché il concerto merita - e anche il disco, e loro restano un meritevole faro di musica di qualità e popolare al tempo stesso.
Tutti molto bravi. Due estremi da sottolineare: ottimo Valentino Bianchi al sax; sacrificato Stefano Ricci al contrabasso (quando ha raccontato "Little Wing " con sola campionatura seriale, ha dimostrato tutte le sue doti, piuttosto celate durante il resto dello show).
12 settembre 2007
Hey Joe (Zawinul)
Ieri è morto Joe Zawinul, luminoso pianista/tastierista che inventò un modo diverso di fare jazz, prima con Cannonball Adderly e poi con Miles Davis.
Coi suoi Weather Report ricostruì la musica contemporanea, per avvicinarci al regno degli dei e dei guerrieri di ogni tempo... musica allo stato puro, di quelle che restano avanti anche quando le hai raggiunte.... e poi, come non dimenticarlo, ci fece conoscere uno dei più grandi bassisti di tutti i tempi/pianeti: Jaco Pastorius.
Io lo conobbi tramite Luciano, un fidanzato di mia sorella, affetto da sclerosi multipla, vivo e forte come non mai.
Banale forse ricordare questo grande musicista con IL suo classico per eccellenza; banale forse, ma anche molto bello.
Grazie Joe.
Joe Zawinul, Miles Davis, Cannonball Adderly, Weather Report, Birdland, Musica, Jazz
Coi suoi Weather Report ricostruì la musica contemporanea, per avvicinarci al regno degli dei e dei guerrieri di ogni tempo... musica allo stato puro, di quelle che restano avanti anche quando le hai raggiunte.... e poi, come non dimenticarlo, ci fece conoscere uno dei più grandi bassisti di tutti i tempi/pianeti: Jaco Pastorius.
Io lo conobbi tramite Luciano, un fidanzato di mia sorella, affetto da sclerosi multipla, vivo e forte come non mai.
Banale forse ricordare questo grande musicista con IL suo classico per eccellenza; banale forse, ma anche molto bello.
Grazie Joe.
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