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10 dicembre 2021

WAR OF THE WORLDS (2021), la seconda stagione

ATTENZIONE AGLI SPOILER
A dispetto della prima, che elogiavo senza freni, qui siamo di fronte a una mediocre seconda stagione. Lo stile sospeso e la tensione emotiva che tanto avevano reso prezioso l'inizio di questa avventura, qui diventano di mestiere e quasi un mascheramento di una storia tirata per le lunghe, con dinamiche interpersonali stucchevoli e una trama che arranca verso un finale comunque nobile.
Ammetto che già il colpo di scena del finale di prima stagione mi aveva un po' disorientato, visto che fa "vedere" gli alieni in maniera quasi banale; il rischio di cadere nel macchiettistico c'era. Ma il "come" mi ha addirittura sorpreso, perché è stato immediato e repentino: la magia sinuosa e pervasiva degli inizi si è subito persa per strada con frettolosa facilità. E non è solo un problema di sceneggiatura: regia, montaggio e recitazioni si sono subito adeguati a questo stiracchiamento generale.
A latere, colpisce come la legge non scritta dei paradossi temporali sia stata disattesa con smaccata evidenza.
Seguitemi.
Gli alieni sono come noi; anzi, sono noi del futuro che tornano nel passato; anzi, sono i pronipoti dei due ragazzi (lei inespressiva come un palo della luce, lui antipatico come un provinciale col borsello e la tuta acetata). 
Bene: se il megascienziato torna indietro nel tempo solo grazie alla tecnologia aliena che aliena non è, come può farlo se poi nel passato ucciderà proprio la ragazza da cui nascerà l'invasione aliena che aliena non è?
Nella sceneggiatura c'è un buco grosso così, insomma, che poteva essere risolto con qualche guizzo creativo. Ma che diventa una voragine se pensiamo che restano funzionanti la corrente elettrica e internet, in un contesto in cui gli alieni-non-alieni ci hanno sterminati proprio con una ennepotentissima radiazione elettromagnetica.
Per carità, è un difetto ormai ricorrente: per esempio, nella tri-saga di Walking Dead le benzina verde mantiene le sue proprietà anche dopo anni, i walkie-talkie funzionano sempre (ma come fate a ricaricarli, benedetti figlioli?), le auto - pulitissime! - si accendono al primo colpo, anche dopo lustri di immobilità. 
Il finalone comunque si salva, perché "redime" e "punisce" il megascienziato: da una parte, può chiedere finalmente scusa per i suoi errori di marito/padre alla moglie e al figlio; dall'altra, però, viene arrestato per l'omicidio della ragazza. E quindi, in questo bailamme di trame smozzicate, abbiamo salvato almeno l'etica.
Ah, dimenticavo: stanno girando la terza stagione...

13 ottobre 2021

WAR OF THE WORLDS (2019)

C'è qualcosa di speciale in questa serie televisiva anglofrancese, qualcosa che forse riguarda più l'infanzia di noi boomer che quella dei ragazzi di oggi. Per carità, non è una frasetta antigenerazionale: è che nelle serie attuali manca totalmente l'understatement, il non detto, l'allusione; mentre, invece, in questo piccolo gioiello sono proprio queste chiavi che ne fanno assaporare la trama, l'andamento quasi ipnotico, la quasi lentezza (che la fa sembrare in "tempo reale").
Sembra di stare dalle parti dei Sopravvissuti o dei tempi narrativi oziosi di UFO o dentro certi ambiti tipicamente ottocenteschi e british del romanzo originario. Se leggete il libro, provate a non sorridere quando una delle astronavi si schianta su un prato durante l'ora del tè: la flemmatica reazione del britannico testimone è tutta un programma.
È vero anche che il discettare sulle differenze tra libro e film tratto da questo libro sia un gioco inutile e quasi dannoso. Secondo me, il nesso tra libro e film dovrebbe essere più un restituirne un sapore che proporre una narrazione filologica, quasi esatta. La sintassi letteraria e quella filmica sono due universi totalmente diversi. Del resto, per fare un esempio estremo, il film Paziente inglese si ispirava vagamente a solo una ventina di pagine del corposo romanzo omonimo, che invece si soffermava su ben altro.
Insomma, questo War of the Worlds restituisce alcuni aspetti del mood di H. G. Wells, ma soprattutto ha il gran pregio di non far vedere nulla: gli alieni non ci sono, ma la paura e l'angoscia che generano sì. 
La Morte è costantemente presente, sorniona quanto asettica. La Natura non è neanche spettatrice: si fa i fatti suoi e nulla più (del resto, il bosco francese non fa paura).
L'unica aliena veramente presente e costante è la musica, anzi i suoni. Sembrano lavori tipo Tangerine Dream o Popol Vuh. Suoni eccellenti e puntuali, che appena possono lasciano spazio al silenzio o ai rumori, senza generare suspense a buon mercato, ma mantenendo costante angoscia e partecipazione.
E i protagonisti si appigliano disperatamente al sopravvivere, senza perdersi, senza cedere alla rassegnazione della fine, con fragile dignità, credibile e tutt'altro che filmica.
C'è forse un reiterato indugiare sui drammi dei singoli - che di fatto sono un secondo livello narrativo. Ma è anche vero che se un disastro del genere dovesse accadere, sicuramente anche noi indugeremmo su tali comportamenti. 
Paradossale, poi, il fatto che l'unica a vedere qualcosa sia la londinese cieca. Ma qui mi fermo per evitare spoiler.
Non è un capolavoro assoluto, per carità, ma è una serie che merita di essere vista, almeno la prima stagione, possibilmente in originale.