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10 gennaio 2022

IL BAR DELLE GRANDI SPERANZE (THE TENDER BAR)

Junior vive con la mamma e un nugolo di parenti, in quel della provincia americana. Tra l'assenza dolorosa del padre (una "voce" radiofonica e poco più) e la dolcissima guida di uno zio eccentrico, troverà il suo destino di scrittore dopo un percorso di formazione un po' onirico e un po' surreale.

Film dolcissimo ma non zuccheroso, in cui ogni parte funziona perfettamente, senza mai debordare nell'ovvio e nel plastificato. Il rischio della retorica a buon mercato è sempre in agguato, così come quel vizio molto protestante di buttarla nella morale fine a se stessa; ma Clooney riesce ad evitarle accuratamente con una scrupolosa produzione in cui la sceneggiatura è stata chiaramente sfrondata di ogni possibile malanno di genere.
L'accusa rivolta da molti critici è di una regia "assente", come anche di una mancanza di "guizzi" narrativi, mentre io credo che di fronte a storie come questa, irte di rischi faciloni e acchiappalacrimucce, è proprio necessaria una regia sobria, quasi indolente, in cui ci si affida totalmente alla ottime capacità del cast.
Per quanto riguarda la fotografia, la scelta delle luci mi è sembrata splendida quando racconta il passato, ma poco aggiornata quando racconta il presente: un minimo di diversificazione avrebbe giovato agli scarti temporali. La scelta delle inquadrature, invece, è sempre precisa e mai invadente.
Montaggio sapiente e mai aggressivo.
Scelta delle musiche, notevole: gli appassionati troveranno alcune chicche di cui è stata a volte proposta la parte dei versi coerente con il momento commentato.
Per quanto riguarda gli attori, lo Junior bambino funziona meglio rispetto allo Junior adolescente; ma è merito del giovanissimo Daniel Ranieri, con due occhi così e una commovente aura fanciullesca, per fortuna lontana da certi languori da perdente in stile Truffaut. Lo Junior grande, invece, è leggermente statico, ma è un limite che passa quasi inosservato, proprio perché il film funziona a meraviglia.
Soprattutto Ben Affleck, che a mio avviso regala la sua migliore interpretazione: mai esagerato, sempre spontaneo, finalmente espressivo, dolce e contraddittorio e quindi credibile, sicuro e insicuro in egual misura, attentissimo alle sfumature e sempre concentrato sulla propria fisicità. Veramente una piacevole sorpresa.
Obbligatorio vederlo in inglese, indugiando quel tanto che basta sui titoli di coda.



22 dicembre 2021

THE LAST DUEL di Ridley Scott

Sconsiglio di andare a leggere la storia da cui è tratto questo film. L'unico elemento necessario per godere la trama - più che altro la sceneggiatura, è che si basa su un fatto realmente accaduto: l'ultima ordalia occorsa in terra francese (1386) le cui cause vengono rappresentate da tre prospettive diverse.
E anche se non conoscete il contesto o certe battaglie e alcuni nomi, poco male: li andrete a leggere dopo, altrimenti vi rovinate quell'impercettibile afrore di meraviglia e di partecipazione che si respira durante la visione, nonostante non siamo certo di fronte al capolavoro
.
C'è molto "Rashomon" in questo film, assai poco di Pirandello, anzi nulla. 
Sicuramente, non è il migliore Ridley Scott. Ma qua e là ci sono momenti di assoluta qualità, come anche un insieme che funziona e rende la visione piacevole e costante, senza guizzi evidenti ma nemmeno senza momenti di evidente stanca.
Per quanto riguarda la direzione della fotografia, ho trovato incoerente la scelta delle luci, questo sì: ogni tanto televisiva, spesso stridente nei controcampo, credibile ed efficace solo nei set all'aperto. Le inquadrature, invece, funzionano, obbligate come sono a rispettare certe angolazioni, soprattutto nei capitoli successivi al primo; altrimenti lo spettatore non riesce a percepire i diversi punti di vista. 
Il montaggio funziona abbastanza bene, soprattutto perché la sceneggiatura impone scelte ritmiche così precise che non sono consentite sbavature.
Musica quasi inesistente o comunque di contorno: ottima scelta stilistica, perché contano solo i dialoghi e i rapporti interpersonali; il resto è inutile.
È sulla scelta degli attori che avrei da ridire: non funzionano.
Tranne Jodie Comer, che riesce ad aderire a un'idea del suo personaggio - e a restituire ottimamente il terribile mondo femminile dell'epoca, sia Matt Damon che Adam Driver sono fuori contesto; più il primo che il secondo. Non so se sia il trucco/parrucco o la loro attitudine, ma sembrano veramente due tipi dell'Alabama, scesi per caso da un treno del 2021, per far finta di essere due cavalieri del Medioevo.
Paradossalmente, funziona meglio Ben Affleck, nonostante abbia una scopa di saggina in testa e quel suo approccio scocciato e monocorde di recitare.
Segnalo questo film, perché mi ha colpito il punto di vista di Ridley Scott: c'è, si sente, e sotto sotto si vede pure. È come se dicesse al pubblico che lui ha preso una posizione e che crede fermamente a una e una sola versione dei fatti. E lo fa alla sua maniera: con mestiere e professionismo, riuscendo a raccontare anche momenti scabrosi senza scadere mai nel pruriginoso.
Il mio voto è 6: il buon Ridley se ne farà una ragione?