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29 dicembre 2014

Doctor 3 a #UJW22

Ho un mio personalissimo modo di intendere i ruoli in un interplay (sicuramente lontano da quello che sarebbe nella realtà): il contrabbasso indica un paesaggio, il pianoforte lo esplora, la batteria pone le fondamenta (doppie) di una cultura e della sua "religione".
Insomma: rischio, sicurezza e tribalismo si devono mescolare a dovere per donare all'ascoltatore il meglio di un'avventura musicale.
Se poi la vedetta è Enzo Pietropaoli, l'esploratore Danilo Rea, il cerimoniere Fabrizio Sferra, la vostra vita avrà senso.
Gran bel concerto dei redivivi Doctor 3 che hanno rispettato il sacro tempio del jazz invernale con un'ora e quaranta di jazz tirato ma mai serioso, di melodie affabili ma mai ovvie, di sperimentazione azzardata ma mai cerebrale.
Si è passati da Ain't No Sunshine a Hey Jude, da Carole King a Petrucciani, da Moon River a De André, senza alcuno sforzo, senza rigide teorie o inutili prove muscolari.
Rea ha fatto pochissime e misurate daniloreate, Sferra e Pietropaoli hanno regalato una sontuosa lezione di stile.
Grande chicca per palati fini: Answer Me My Love di rarefatta dolcezza.

04 settembre 2014

Doctor 3, il ritorno

Un'opera solida, ben fatta, dove vale l'idea del gruppo in ogni minima nota, dove l'ego dei singoli si amalgama in maniera elegante, senza fronzoli e senza ammiccamenti. 
Nonostante la scelta dei brani faccia presagire chissà quali virtuosismi, non esistono momenti solistici evidenti, ma una chiara intenzione di muoversi tutti insieme dentro brani più o meno noti del vasto panorama pop/rock/jazz.
Insomma, è come se i tre dottori avessero deciso di accompagnarci in una loro improvvisata passeggiata musicale, indicandoci note e silenzi di brani più o meno riconoscibili, a volte ricamando intorno a linee immediate, spesso scovando tra le pause delle partiture originali alcuni cenni di possibili "note altre" che magari ci erano sfuggite.
Ad essere petulanti, trovo meno riuscite Life on Mars (Bowie) e How Deep Is Your Love (Bee Gees), guarda caso già rivoltate come un pedalino dai Bad Plus col cui batterista il buon Rea sta per collaborare.
Quasi da Doctor 3 prima maniera, invece, la (ri)lettura di The Nearness of You (Carmichael) e di Ain't No Sunshine (Withers). 
Sicuramente avvolgenti i (nuovi) misteri sonori di Will You Still Love Me Tomorrow (Goffin e King), Light My Fire (Doors), Moon River (Mercer e Mancini) e Unchained Melody (North e Zaret). 
Strepitosa la versione di Hallelujah (Cohen, ma in fondo è anche di Buckley) che secondo me potrebbe diventare una nuova frontiera sonora in cui i tre potrebbero avventurarsi.
Il pianoforte di Danilo Rea si mantiene uguale a se stesso: eccellente, ma ormai stabile in quella sua tecnica molto italiana, attenta alla melodia e all'insieme. Il contrabbasso di Enzo Pietropaoli è come il vino: invecchiando migliora, dimostrando una serenità espositiva in costante stato di grazia. Fabrizio Sferra si conferma tra i migliori batteristi italiani del momento.

02 gennaio 2014

Tribe di Rava #UJW21 (recensione da #Orvieto, #jazz)

70 minuti consecutivi di musica contemporanea, tiratissima e seducente, hanno inchiodato 350 spettatori alle poltrone lasciandoli senza fiato, con gli occhi sgranati per raccogliere ogni minimo dettaglio, e l'udito avvolto da suoni e da echi ricchi di radici eterogenee.
C'è molto jazz "bianco" in questo Rava, fortemente influenzato dalla dodecafonia meno ardimentosa e dal Berio più folcloristico, con un occhio rivolto a certe soluzioni dell'ultimo Evans, quando lavorò insieme a Cugny. In più, si percepisce costantemente questa incontrollabile passione per il jazz e per le nuove leve.
Incredibile - e incontenibile - il trombone autorevole di Petrella; fondamentale la batteria di Sferra; vacuo ma fluido il pianismo di Guidi (che ancora non riesco a far mio); timidissimo ma promettente il contrabbasso di Evangelista.
Insomma, una degna conclusione di un Festival articolato e ricco di novità.