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05 ottobre 2024

gli assolo di DAVID GILMOUR

La scorsa fine settimana, l’eternamente paralizzato traffico di Roma ha ulteriormente stravolto la legge sull’impenetrabilità dei corpi, per dare spazio in quel del Circo Massimo ai sei concerti consecutivi di David Gilmour, mitologico chitarrista dei Pink Floyd. E allora mi sono ricordato una curiosità che lo vede protagonista.

Ho sempre visto in Gilmour un chitarrista notevole, ma senza la voluta volontà di uscire dal suo stile: note precise, fraseggi blues, un pizzico di funky, assolo esatti… ma sempre gilmouriani.

Tra questi, reputo indimenticabili giusto quello che apre Shine On You Crazy Diamond, le fucilate di Have a Cigar e l’acciaio fuso che scoperchia Money. A latere, il suo lavoro su Animals meriterebbe un discorso a parte, ma poi vi annoierei.

Solo altri due assolo di Gilmour superano l’oltre: li trovate in The Wall, un doppio LP potente e travagliato.

Il primo è in Another Brick in the Wall part 2, che conoscete anche se non amate i Pink Floyd: è la canzone col ritornello cantato da un coro di bambini; a suo tempo, fu vietata in qualche paese poco democratico, visto che il testo è contro ogni forma di prevaricazione. Sentite bene l’assolo, attentamente: è “diverso”, soprattutto alla fine. Non tanto per la tecnica, ma per la personalità della linea musicale.

Il secondo è in Comfortably Numb: qui, per la prima volta, Gilmour racconta una storia, quasi come compendio del testo (già di per sé struggente).

Perché questi due assolo sono così poco gilmouriani? In minima parte, i motivi si annidano anche nel contesto storico: è l’ultimo LP in cui i Pink Floyd riescono a dare il meglio - e in maniera collegiale, quindi con scambi di opinioni e contributi; la dura crisi tra i componenti non è ancora deflagrata, ed è come se ci fosse una voglia non dichiarata di chiudere bene la storia del gruppo; i temi trattati, universali e intimi al tempo stesso, che quasi offuscano i vari ego; la stanchezza compositiva, che spesso genera guizzi artistici.

Il vero motivo si trova tra i nomi dei session men che collaborarono, tra cui Lee Ritenour, chitarrista raffinatissimo e capace di spaziare dal jazz al pop con uno stile cristallino, elegante, propositivo e innovativo.

Nell’intervista che ha concesso a Mason Marangella - e nell’analisi tecnica di Claudio Cicolin, troverete spunti e curiosità che raccontano il suo ruolo all’interno del progetto del Muro: nulla tolgono a Gilmour, ma chiariscono molti dubbi artistici, dando anche un’idea di cosa siano stati quegli anni, in cui la musica e le persone erano ancora al centro delle composizioni

04 marzo 2021

ANIMALS di Giovanni Rossi (Tsunami)

Credevo di essere un carbonaro solitario a ritenere "Animals" uno dei veri e propri capolavori dei Pink Floyd, tanto che spesso me lo tengo per me, pur di svicolare da quei fan leggermente matti che seguono la musica come fosse una religione.
Quando ho visto uscire questo libro, ad opera di un autore di cui avevo già parlato strabene qui per la sua eccellente biografia su Roger Waters, ho stappato la champagne: finalmente non ero solo.
Ma purtroppo il libro non conferma l'esperienza precedente. Per stessa ammissione dell'autore, c'è anche un po' di finzione; documentata e attendibile, ma pur sempre finzione. E quando ci si dà alla finzione, ci si crede anche romanzieri; ma per essere romanzieri, bisogna anche saper raccontare, indipendentemente dall'argomento. E qui, purtroppo, la narrazione è troppo amatoriale.
Anche per questo limite, per le prime 60 pagine non accade nulla. Si ha solo a che fare con lo sfoggio di conoscenze storiche ed aneddotiche, ma nulla di più. Le altre pagine sono certamente migliori, ma troppo caotiche e prive di un punto fermo. Alla fine, insomma, l'autore racconta una passione, ma senza appassionare. Fugaci, fugacissime, alcune informazioni che onestamente non avevo ancora letto (nonostante una biblioteca notevole), che però si disperdono in un libro che mi sembra veramente un'occasione persa.
A latere - ma ormai è un vizio diffuso: mancano contributi tecnici e un indice analitico; quando si parla di musica, sono imprescindibili.

19 gennaio 2016

Glenn Frey e uno scotch per fare il barrè

Avevo quattordici anni. Michele aveva un impianto stereo niente male. Era laziale (lo è pure oggi, ahilui). E amava la musica. Come tutti i laziali aveva una predilezione per le aquile; per assimilazione, amava anche gli Eagles.
Prese la copertina del mitico LIVE! e subito partì il fragore del pubblico, poi un calpiccichìo e... On a dark desert aiuei, cul uind in mai eir... era Hotel California.
Era un periodo in cui avevo appena scoperto Jackson Browne, i Queen, i Pink Floyd e gli Yes. Ma questi cori, questo straordinario modo di fondere country e rock, pop e west coast, mi conquistarono all'istante.
Un anno dopo mi ritrovai con una chitarra in mano, lo spartito degli Eagles, e due grosse incognite: come si legge la musica?; ma, soprattutto, come diamine si fa un barrè?
Avevo le dita stupide, deboli, incapaci di dare la giusta pressione al nylon e al rame delle Savarez Rouge. E allora escogitai un trucco: misi le dita a mo' di pistola, presi una matita e la adesivai duramente lungo tutto l'indice disteso all'inverosimile; medio, anulare e mignolo, invece, ben piegati su di loro.
Per un mese mi forzai ogni notte a mantenere quella dolorosa condizione; il giorno, invece, mi ci sedevo sopra durante tutto l'arco delle lezioni liceali.
Dopodiché, cominciai lentamente ad avventurarmi dentro quegli accordi... e ce la feci: potevo finalmente suonare con gli Eagles. Peccato che non mi abbiano mai convocato!
Ciao, Glenn Frey, mi piace ricordarti con questa chicca meno nota, ma sublime: Sad Café

26 marzo 2015

Manu Katché - Live in concert

Un capolavoro, un autentico capolavoro.
Sensuale, caparbio, aggressivo, dolce, romantico, languoroso, moderno, tradizionale, intrigante, raffinato, sofisticato... impossibile trovare un solo binario entro cui costringere questa splendida opera di uno dei più dotati batteristi degli ultimi vent'anni.
Ed è ancora più sorprendente come lavoro perché è riuscito inaspettatamente a lib(e)rarsi da certi lacci seriosi e ammiccanti dei precedenti ultimi due cd, dove secondo me l'eccesso di "stile ECM" aveva sempre più congelato l'animo dell'ex batterista di Peter Gabriel, Pink Floyd, Dire Straits, Jan Garbarek e di mille altri.
Forse il passaggio alla ACT, forse il pubblico presente (una sorta di dodicesimo giocatore in campo), forse l'attitudine live, o forse tutte queste cose messe insieme, regalano all'ascoltatore un'esperienza musicale di rara bellezza.
Da evidenziare l'elegante timidezza di Luca Aquino, trombettista leggermente legato al suo vate Paolo Fresu, che riesce però ad inserirsi con scioltezza nel combo senza temere il confronto con Tomasz Stańko, Mathias Eick o Nils Petter Molvær (suoi autorevoli predecessori alla corte di Katché). 
Riuscitissimi il pianoforte e l'hammond di Jim Watson. Contenuto e sobrio il sassofonismo gotico di Tore Brunborg.

La sequenza dei brani (tutti di Katché) 
1 Pieces Of Emoion - 06:18
2 Shine And Blue - 05:12
3 Song For Her (di cui potete ammirare l'esecuzione qui sotto) - 07:44
4 Loving You - 02:48
5 Clubbing - 09:45
6 Springtime Dancing - 05:17
7 Walking By Your Side - 06:54
8 Beats And Bounce - 07:55
9 Drum Solo - 04:56
10 Snapshot - 09:03


26 gennaio 2015

Ciao Edgar Froese

Che questo pianeta sia bislacco, lo dimostra il fatto che solo oggi sui giornali è apparsa la notizia della morte di Edgar Froese
Ed è ancora più triste immaginare il vostro legittimo "... e chi è?".
Mettiamola così: se non ci fossero stati i suoi Tangerine Dream, oggi non parleremmo di Pink Floyd e di David Bowie, o di William Friedkin e Werner Herzog... per buttare giù i primi nomi che mi vengono in mente.
I Tangerine Dream non solo sono stati tra i pionieri della musica elettronica, ma qualcosa di più: sono riusciti, cioè, a coniugare con rara sapienza e maestria lo sperimentalismo più estremo con un saper raccontare storie musicali perlomeno in maniera popolare, o comunque virtualmente accessibili a tutti.
Possiamo discutere per ore se la musica elettronica possa essere o no "potabile", ma dovremo sempre e comunque qualcosa ai Tangerine Dream. Ed Edgar Froese ne è stato valido sacerdote e onniscente protagonista (l'unico presente in tutte le multiformi formazioni).
Dai 103 album (più 34 colonne sonore) risulta difficile proporvi qualcosa, per almeno due motivi: le opere degli anni '70 sono molto dilatate e forse datate; fornire degli assaggi musicali è sempre rischioso, perché per essere ammiccanti si rischia di essere scorretti.
Però vi posso assicurare che se provaste a esplorare cose come Logos o come Livemiles potreste già farvi un'idea dei due estremi compositivi. 
Certo, le primissime prove sono più genuine di Thief; però è l'idea Tangerine Dream a essere rimasta sempre intatta, coerente con se stessa. 
Ciao, Edgar Froese, che la terra ti sia lieve.


05 gennaio 2015

Roger Waters - Oltre il muro (la biografia di Giovanni Rossi)

Quando m'inventai questa fintissima recensione di Roger Waters sull'"ultimo" dei Pink Floyd, non sapevo gli fosse stata dedicata addirittura una biografia, credetemi.
Lo dico perché io avevo esplicitamente giocato ad intuire certi aspetti della sua personalità, basandomi solo sull'ascolto di tutta la sua discografia e sulla lettura di qualche intervista da alcuni libri dell'allora pionieristica Gammalibri. Pochi elementi, insomma.
Eppure, in questo ottimo libro di Giovanni Rossi li ho trovati confermati e ampliati: segno che forse il buon bassista può fare l'ombroso e l'introverso quanto gli pare, ma che il suo cuore e la sua anima alla fine ci sono arrivati sani e saldi.
Il primo pregio di questo testo è la documentazione. Basta fare alcuni controlli incrociati (la bibliografia sopra citata, l'autobiografia di Nick Mason e questo gioiello), e ci si rende conto che Rossi ha restituito una storia umana e professionale tra le più vicine alla realtà. Poi, è ovvio, si basa solo sul "riportato" di altri protagonisti: però, è altrettanto evidente come l'autore abbia saputo divincolarsi tra le mille difficoltà che il cronachismo comporta.
Il secondo pregio è il saper coinvolgere il lettore, anche quello meno pinkfloydiano. Insomma, è Storia della Musica, e non solo la storia di un complesso musicale.
Il terzo pregio è che l'autore non parla di sé, delle proprie presunzioni, non stravolge significanti e significati, citando a man bassa qualsiasi cosa soddisfi il suo egocentrismo (per dire: non straparla di Weltanschauung o di Adorno). Giovanni Rossi, insomma, parla solo di Roger Waters.
Nonostante, e ormai, io sia sempre più attratto dal jazz e da musica meno "prevedibile", leggendo questo ottimo testo ho avuto un fremito di nostalgia, ricordandomi le belle sensazioni che provai aprendo con frenetica perizia il cellophane nero di Wish You Were Here.
Non so se sia disponibile ancora in libreria (io l'ho trovato fortuitamente ad Orvieto): però potrete pur sempre ordinarlo qui.



12 dicembre 2014

Which One's Mule?

Entri in un negozio di dischi, ti guardi intorno e il tuo occhio viene catturato da questa copertina. 
All'inizio pensi a uno scherzo, poi alla solita cover band di palloni gonfiati che prova a imitare quelle quattro note stranote (sbagliando, figurati)... poi scruti il commesso: ha poco più della tua età, ci hai parlocchiato già altre volte, nonostante sia scontrosetto capisce di musica e ha una mente aperta ma non stupida.
Insomma, ti consiglia questo Dark Side Of The Mule, gioiellino dei Gov't Mule, jam band americanissima nata dalla costola dei più gloriosi Allman Brothers
E come può un'accozzaglia di spudorati americani imitare il suono dei Pink Floyd? Domanda sbagliata!
A parte che - lo sanno pure i muli (ehm) - furono semmai Waters e Barrett ad ispirarsi ai nomi di due strasconosciuti bluesmen americani, altroché! Ma poi, e paradossalmente, ad ascoltare questo triplo cd (con l'aggiunta di un pregevole dvd live) ci si rende conto di quanto siano stati blues fino al midollo proprio i Pink Floyd (e non progressive come recita frettolosamente Wikipedia - o psichedelici, come fa comodo dire).
Ad ascoltare questo megaomaggio, si apprezza meglio quella musica che nel conoscerla troppo a memoria avevamo ormai stipato dentro il cassetto delle affettuose e nostalgiche prevedibilità. Insomma, è proprio nel "violentarla", che i nostri muli la nobilitano, la raccontanoo come fosse qualcos'altro, ne ritrovano radici e origini - e forse anche motivazioni: parafrasando Carmelo Bene, sembra quasi che siano stati i Gov't Mule ad essere apparsi a Waters e Gilmour.
Un consiglio: appena acquistato il triplo cd, andatevi ad ascoltare The Great Gig In The Sky. È meglio della versione originale, molto meglio.


30 novembre 2014

parlando con Roger Waters di The Endless River dei Pink Floyd (magari)

Roger, permetti una parola
Se vuoi parlarmi di "quello lì", scordatelo
Lo vorrebbero tutti...
Allora, smamma
Aspetta, vediamo come posso conquistarti... se ti dicessi che considero Amused To Death un ottimo lavoro?
Lo è; quindi, non attacca
Se ti dicessi che ho ascoltato più volte Ça Ira?
Chi è che non l'ha ascoltato?... poi, però bisognerebbe vedere se gli è piaciuto... lasciami in pace, su
Scontrosetto, eh? In fondo devi a noi il tuo successo
"Noi", chi? Forse siete voi che dovete ringraziare me perché ho creduto nei Pink Floyd più dei Pink Floyd stessi
E allora perché cacciasti via Richard Wright?
Perché gli volevo bene, e non potevo accettare che si comportasse come si è comportato
Beh, e come si è comportato?
Wright è stato uno dei più grandi tastieristi pop e rock degli anni passati, e nessuno glielo riconoscerà mai
Eppure "quello lì" gli ha dedicato Endless River
Facile, ti dico, l'ha fatto con le clip avanzate di Division Bell
Vero, però gli ha riconosciuto l'importanza che aveva
E allora perché non l'ha difeso in vita?
Per contratto?
Vero... ma con i soldi che abbiamo guadagnato grazie a "voi", "quello lì" avrebbe potuto combattere di più per Wright, non credi?
Allora, se ti dicessi che amo Animals più di The Dark Side Of The Moon?
Saresti l'unico... insieme a me, ovviamente. E perché ti piace tanto?
Non so dirlo di preciso. Però è uno di quei lavori dei Pink Floyd in cui amo perdermi maggiormente, in cui sembrate ben amalgamati, in cui ognuno dice la sua individualmente ma nello stesso tempo insieme all'altro
Quindi, mi confermi una sindrome da Beatles?
Io i Bitols non li sopporto, troppo sopravvalutati... però chi di voi due era John Lennon?
Eh, bella domanda. Guarda, io credo che a noi sia mancato il Paul McCartney della situazione, uno capace di saper vedere in prospettiva le cose che facevamo, senza quelle sovrastrutture borghesucce alla John Lennon. Ringo era Mason (guarda caso, stesso strumento); Harrison era Wright (stessa indole); "quello lì" ed io sembravamo più Lennon che McCartney. Si provava a essere McCartney, ma ci mancava l'attitudine della prospettiva
Forse è per questo che ad un certo punto vi siete fermati, ripetendovi all'infinito?
Brutta domanda, ma forse vera... Cosa è 'sta roba in sottofondo?
Things Left Unsaid
Da quella cosa con il tipo al timone?
Sì, dall'ultimo dei Pin...
Mi ricorda quel momento sospeso, proprio a metà di Close To The Edge degli Yes... sai, quando tutto si ferma, prima che riprenda la vocina da chiesetta provinciale di Anderson? Ecco, Things Left Unsaid mi ricorda quel brano
Vogliamo andare oltre?
Sì, ma in cambio voglio il tuo Laphroaig, il quarter cask...
Ma costa quasi 200 euro!
Waters commenta "quello lì"? Waters vuole il tuo quarter cask.
Ascolta allora la successiva: It's What We Do
Ma dimmi tu: hanno preso Welcome To The Machine e ci hanno infilato dentro il Bolero finale da Shine On, una di quelle cose che solo Wright sapeva fare e che nessun critico del cavolo colse
Questa è di transizione, s'intitola Ebb And Flow
Roba inutile, sento. Spesso facevamo questi giochetti solo per godere di una parte più rilevante di diritti d'autore
Ok, ma è sempre composta da Gil... "quello lì" e da Wright
Non vuol dire nulla, credimi. Il mondo dei diritti d'autore è una trappola a cielo aperto
Questa s'intitola Sum

Come prendere la seconda parte di Echoes e buttarci dentro Sheep. E questo dici che è nuovo? Voglio la mia parte, diamine!
Andiamo oltre, dài, non ti scaldare. La quinta s'intitola Skins
E che ci faccio? Di nuovo Echoes, ma che incontra questa volta Saucerful Of Secrets... che poi fu un'altra cosa felice di Wright, altroché. La versione dal vivo, in Ummagumma puoi sentire la migliore, non ha mai reso onore alle idee di Wright... fu "quello lì" ad imporsi con un oooooooh del cavolo
La successiva s'intitola Unsung
Breve e inutile, scommetto che l'ha composta Wright e "quello lì" l'ha inserita solo per i diritti di cui sopra
Segue Anisina... Che mi dici di questa?
Sembra Baby Can I Hold You di Tracy Chapman ammucchiato dentro Us And Them e infarcito con un arrangiamento orchestrale da Comfortably Numb
The Lost Art Of Conversation?
Ah, bella... Meravigliosa! Peccato sia breve. Questo è il Wright che ci invidiavano tutti, persino Barrett
Senti, visto che ci siamo: ma è vero che Wish You Were Here è dedicato a lui... tutto l'LP, intendo
Uhm, che risposta vuoi che ti dia? Barrett ci è sfuggito di mano più di quanto tu creda: ne siamo stati responsabili, e forse carnefici della sua disfatta... anche se sono convinto che "quello lì" possa dire di più di quanto non abbia mai fatto prima... cosa è 'sta cosa di Morricone in sottofondo?
Non è Morricone, è On Noodle Street... pure il titolo ci somiglia, eh?
Bah, inutile, veramente inutile. Caruccetto, ma inutile
Night Light?
David Sylvian spiccicato. Quasi mi trovo in imbarazzo per loro
I Pink Floyd, intendi?
NON ESISTONO PIÙ, lo vuoi capire: sono FINITI!
Ok, scusa... andiamo oltre. Questa s'intitola Allons-Y (1)

Identica a Run Like Hell, né più ne meno... non mi piacque allora e non mi piace adesso: e questa è una brutta copia, peraltro stanca
La successiva s'intitola Autumn '68... che forse chiude il cerchio con Atom, non trovi?
Può essere... è pure carina. Ma da un momento all'altro mi aspetto che arrivino Popol Vuh, Herzog, Aguirre... sai, questo cinema così? Come s'intitola questa cosa che segue?
Allons-Y (2)
Ecco, "quello lì" mi ci ha messo roba tipo Mike Oldfield che straparla con Michael Jackson citando Run Like Hell. Ma come gli viene in mente?
Ecco Talkin' Hawkin'
Bah, 'sta storia delle parole computerizzate mi stava bene quando la feci io con Radio Kaos. Ma poi basta, no?
Veramente è la voce di uno scienziato strafamoso e superimportante, però disabile al 1000%
Guarda che lo sapevo, eh! E non faccimo i Lennon pietosetti, che con me non attacca. Non mi dice nulla di nulla, punto! Dài, cosa abbiamo poi?
Calling
Guarda che hai sbagliato: questo è Vangelis!
No, mi dispiace: è Calling dei Pink... di "quello lì", insomma... La successiva s'intitola Eyes To Pearls
[silenzio]
[silenzio] 
[Waters inizia a parlare con toni glaciali]
Qui c'è Barrett, qui certe idee di Animals e qui la mia Set the Controls for the Heart of the Sun! Lo sai che è l'unico brano registrato con noi cinque che suoniamo tutti insieme? Porca miseria, Gilmour mi sentirà, eccome se mi sentirà... questa cosa non è sua! È dei PINK FLOYD!
[evito di fargli notare che ha finalmente chiamato per nome "quello lì"]
Quanto manca ancora alla fine di questo strazio?
Solo due brani, dài. Il primo s'intitola Surfacing
Anche questo sa di già sentito: Sheep e Poles Apart triturate insieme; solo che queste sono le bucce, e non la polpa
L'ultima è l'unica cantata. S'intitola Louder Than Words
[silenzio]
Bah... aveva una gran bella voce. Gliela dovevo ritoccare sempre, altrimenti mi diventava solluccheroso. Hai mai sentito i suoi tre lavori da solista? Brutta voce lì, eh? Quando stava con noi [già, ha detto "noi"], gli tiravo fuori una gran bella voce. Brutta la canzone, pesante il ritornello, pessimo assolo... lui, che con quella chitarra mi ha spostato le montagne, qui ha buttato giù giusto una cacchetta di piccione
Insomma, mi sembra di capire che questo The Endless River non ti sia piaciuto
Questo "cosa"?
Abbiamo ascoltato insieme l'ultimo dei Pink... di "quello lì", e tu l'hai commentato in cambio del mio whisky 
Io non ho ascoltato nulla
Uhm... mi racconti di Animals, ti va?
Mi sorprende che ti sia piaciuto
Te l'ho detto, più di Dark Side e Wish You Were Here messi insieme 
Credo che questo sia l'inizio di una bella amicizia
Speriamo. Però io sono filoisraeliano; tu, no
Nessuno è perfetto

07 ottobre 2014

Le biciclette bianche di Joe Boyd

La mia musica e gli anni Sessanta, recita il sottotitolo.
Ma più che un noioso elenco di nostalgie, questo piccolo gioiello autobiografico è un voler indicare al lettore cosa veramente siano stati gli anni Sessanta extra bitols; senza cioè quella fastidiosa celebrazione ad oltranza dei quattro di Liverpool, di cui francamente non se ne può più.
Joe Boyd ha incrociato, prodotto o masticato personaggi come Jimi Hendrix, Bob Dylan, Nick Drake, Fairport Convention, Muddy Waters, Martin Carthy, John Martyn, Richard Thompson, Bob Marley, Steve Winwood, Steve Howe, Miles Davis, The Incredible String Band... e i primissimi Pink Floyd.
Per il suo UFO Club passarono i giovanissimi Michelangelo Antonioni e Monica Vitti, pronti a regalare al mondo del cinema pellicole indimenticabili. Sua fu anche la produzione del film Scandal - Il caso Profumo, dove sostanzialmente si respirava proprio il periodo di cui parla questo libro.
Onnivoro e curioso, Boyd incrocia anche Chris Blackwell, il papà della etichetta Island che darà spazio anche ai primi King Crimson e agli oggi sputtanati U2 (allora, invece, preziosi e genuini).
Insomma, queste pagine sono una gradevole passeggiata in un mondo che non c'è più: chi è meno nostalgico ma anche realista, capirà pure quanta differenza ci sia tra l'odierno proporre e produrre arte e quel modo invece originale e innovativo in cui vinceva ancora l'uomo e non la meccanica.
Unico difetto, una traduzione decisamente dozzinale.

31 luglio 2014

potremo mai imparare dalle formiche?

Saul Bass
è uno di quei geni del cinema e della grafica che conoscete tutti quanti, senza sapere di conoscerlo. Tra manifesti, storyboard e idee varie, ha deliziato la storia del cinema (e della grafica) per parecchi lustri.
Per farvi capire cosa ha curato, basta ricordare i titoli di testa di Anatomia di un omicidio, le scene di massa di Spartacus, la sequenza della doccia in Psyco... così, presi nel mazzo (chi lo conosce, sa che ho trascurato palate di collaborazioni illustri).

Ebbene, il nostro si è cimentato una sola volta nella regia con un film di rara bellezza che purtroppo non riscosse il successo dovuto, vuoi perché ai limiti della fantascienza, vuoi perché ai limiti del film allegorico; alla fine, non ha soddisfatto il pubblico dell'una e dell'altra sponda.
Eppure Fase IV è un capolavoro, leggermente condizionato dai tempi lenti del periodo in cui fu girato (1974), ma con espedienti narrativi e di fotografia di rara bellezza (per dire: una formica viene ripresa mentre cammina tra un braccio e un tessuto... da brividi).
In sintesi, per un casino astronomico che piacerebbe tanto ai grillini, le formiche di una zona semiarida dell'America più recondita subiscono una brusca evoluzione del proprio comportamento: restano piccole piccole come sono già (quindi niente film b.e.m. all'orizzonte, insomma), ma cominciano a sfruttare al massimo le proprie potenzialità di superorganismo (ho citato volutamente l'ottimo e omonimo saggio di mirmicologia edito da Adelphi).
Due scienziati che studiano il fenomeno (più una fanciulla scampata a una strage - l'interprete fu l'ultima e bellissima moglie di Peter Sellers), sono costretti a numerose peripezie per tenere testa a una siffatta e precisa organizzazione.
La spiegazione della trama procede per fasi (da qui il titolo del film, splendidamente romanzato poi da Barry Malzberg), e ha una conclusione allegoricamente efficace, anche se forse troppo allusiva.
Fatto sta che la scena di cui vorrei parlarvi, e che motiva il titolo del post, ha a che vedere con l'inizio dell'assedio. I nostri due eroi hanno installato un laboratorio supertecnologico ai piedi delle torri che le formiche usano come nido. Laboratorio che ha delle difese ben congegnate per resistere a un assedio così microscopico (in fondo, stiamo parlando di formiche).
Ad un certo punto, il capo della spedizione preme il suo bel pulsantino e irrora il circondario di giallo, un insetticida potente che fa strage di insetti per un'area molto vasta.
Cosa fanno le formiche superstiti?Accompagnata da una musica tipicamente anni '70 che ricorda un po' i Soft Machine e un po' i Pink Floyd di Saucerful of secrets, una formica stacca un pezzettino di insetticida e lo trascina con sé verso il nido. Ma poi, inevitabilmente muore. Ne arriva un'altra che prende con sé quel pezzettino, e dopo pochi metri muore. Ne arriva un'altra che prende quel pezzettino di insetticida, e poi muore. Insomma, alla fine, sacrificio dopo sacrificio, il frammento di giallo viene consegnato alla formica regina che inizia ad analizzarlo, lo seziona accuratamente e lo ingerisce. Dopo pochi secondi, dal suo addome escono delle uova gialle, future formiche che sapranno resistere alla terribile arma "nemica".

13 settembre 2012

il ritiro di Robert Fripp, la fine di un'era

La  notizia è doppiamente dolorosa, sia per il fatto in sé che per il motivo: il 3 agosto scorso, Robert Fripp ha annunciato il suo ritiro.
Partiamo dal secondo motivo: il tentativo (eroico e disperato) da parte di Robert Fripp di tutelare le sue creazioni, di stabilire l'esatto significato di diritto e di autore, di riconoscere agli artisti il pregio del loro impegno, si è scontrato con una major non di poco conto: la Universal Music Group, che di fatto detiene i diritti di pubblicazione di buona parte del suo corpus discografico, e che fa un (bel po') di testa sua.
Da tempo, ormai, Fripp non si sente più vicino alla musica: l'impegno psicologico e fisico profusi contro questa lotta non solo giudiziaria, lo hanno allontanato dal gusto e dalla passione. Il passo è stato quasi una naturale conseguenza.
E il fatto che abbia rilasciato un'intervista (cosa già eccezionale) al Financial Times piuttosto che a riviste specializzate, dimostra sia la mentalità aperta della rivista che le intenzioni concrete del nostro piccolo eroe della chitarra. 
Lo so, adesso vi aspettate la battuta contro i fighetti nostrani. Be', va detto che hanno sottovalutato la notizia, ridicolizzandola, sia perché non conoscono la Storia della Musica, sia perché il mondo che sta uccidendo l'arte è anche il mondo che dà spazio ai mediocri.
È in gioco non solo un destino di un singolo musicista/compositore, ma la mentalità che dovrebbe riconoscere agli artisti i giusti meriti: invece di pretendere tutto (e gratis), bisogna sempre ricordare che dietro un brano musicale bello (quindi Allevi è fuori) c'è un impegno che va premiato e riconosciuto.
Robert Fripp ha sempre lottato per i singoli diritti dei singoli musicisti che hanno lavorato per/con lui. Tant'è che buona parte dei brani dei King Crimson (nelle loro differenti line-up) segnava come autori i singoli musicisti che avevano contribuito anche con una minima idea alla riuscita del brano. Attenzione, non un mero stratagemma per evitare liti interne (usato dai Pink Floyd e dai Queen con modalità differenti), ma un modo pragmatico (e romantico) di riconoscere i meriti dei singoli.
Per quanto Bruford si sia sforzato di "parlar male" di Fripp (le virgolette sono volute, perché sono stato grossolano), nella sua autobiografia gli riconosce sempre questo disperato tentativo di rispettare la musica e i suoi musicisti.
Il (mio) dolore per motivi artistici, invece, parte da mille rivoli della mia memoria di musicista e/o di amante della musica. 
Devo chiarire che amo Fripp non per afflato isterico o da fan senza ratio: chi mi legge da sempre sa che non amo gli ultimi King Crimson (almeno da The ConstruKction of Light in poi, Scarcity incluso), e che mai ho sopportato certe scelte musicali di stanca routine.
Io amo Fripp perché "dice" le cose esattamente come avrei voluto dirle io. E usa esattamente quel suono e quelle note che avrei usato io, se solo fossi stato alla sua incomparabile altezza (la caccoletta che è in me sta ridendo per queste frasi in stile CarmeloBeneappareallaMadonna).
In più, la sua poliedricità, il suo continuo sperimentare, il suo sapere esattamente quando stare zitto (Islands è un suo brano, e non c'è traccia di chitarra), quando accennare (Book of Saturday) e quando sublimare (The Night Watch), quando corcare di botte (Fracture) e quando ridere (tutto Beat, se vogliamo), quando sperimentare in maniera oscura (frippertronics, prima; soundscapes, poi) e quando in maniera diretta (i vari Lark's)... 
E le collobarazioni? Sylvian, Bowie, Gabriel, Byrne, Eno, Porcupine Tree, No-Man. Non esiste stanza musicale che Fripp non abbia perlomeno visitato in questi ultimi 40 anni. Non esiste genere, musicista, complesso, giornalista, che non debbano qualcosa alla sua inventiva e alle sue idee.
E l'approccio? Fripp ha scritto tonnellate di parole. Ma a me restano sempre impresse due pietre miliari del suo pensiero. La prima ("Discipline is never an end in itself, only a means to an end"), è un aforisma laico e potente. La seconda (i King Crimson sono "un modo di fare le cose"), cozza inevitabilmente con i superficiali che lo ricordano solo per l'ellepì con il faccione, dimenticando che la Storia della Musica dice molto altro.
Ragionando fuori da ogni schema, avrei preferito una dipartita drastica, piuttosto che saperlo lì, seduto davanti alla sua chitarra, in solitaria meditazione.

19 agosto 2009

i segreti di un piattino

Spesso l'iPod si ferma dove meno t'immagini, e neanche sai il perché.
L'altra sera abbiamo mangiato in un pub di Acaya (l'unico). Ci sembrava buono. Oltretutto mi aveva colpito la musica di sottofondo, una scelta raffinata che credo mai ritroverò in nessun locale: l'intero "A Saucerful Of Secrets" dei Pink Floyd, compresa la bellissima e sperimentale omonima suite strumentale!
Il tutto guarnito dalla visione del tramonto ai piedi del Castello.
Ma il cibo penoso e il costo esagerato hanno rovinato l'incantesimo.
Però quel momento musicale, in quel contesto poi, e con Silvia accanto, mi rimarrà sempre impresso. Chissà perché.
Stamattina ho ripreso l'iPod dopo due giorni: si era fermato proprio su "A Saucerful Of Secrets" dei Pink Floyd.

17 settembre 2008

Richard Wright

La morte di Richard Wright fa male, così come fece molto male quella di George Harrison (e lo sapete che non sopporto i Bitols): due persone compassate, naturalmente eleganti, sia nei modi che nel suonare, con quell'innato senso del saper rendere sferiche melodie spigolose, e misteriose le partiture altrimenti banali.
Circondato da autentici serial killer della tastiera (Keith Emerson, Keith Tippet, Mike Garson, Richard Wakeman, David Stewart...), il nostro sapeva dire e dare le note giuste al momento giusto, senza mai scomporsi più di tanto, sia quando raffinava pezzi veramente esemplari (Us And Them o The Great Gig In The Sky), o quando costruiva suoni totali, di quelli che puoi fare mille volte, ma che non saranno mai come li pennellava lui (Echoes o Shine On, anche se le ultimissime note ricordavano troppo il Bolero di Ravel).
Mi sfugge perché nessuno lo abbia celebrato anche per quel micidiale capolavoro (suddiviso in tre splendide parti) dedicato al mito di Sisifo e contenuto in Ummagumma, doppio LP ricco di sperimentazioni notevoli (alcune leggendarie, come The Narrow Way).
Certo è che con la sua morte (dopo quella ormai lontana di Ian Stewart, il quinto Stone) si chiude definitivamente un modo di essere pianoforte che molto avrebbe da insegnare ai musicisti di oggi.

Appena ho letto della sua morte su un misero take del televideo, mi son venute in mente le parole di Breathe (reprise).
So long, Richard, so long.

Home, home again
I like to be here when i can
When i come home cold and tired
It's good to warm my bones beside the fire
Far away across the field
The tollling of the iron bell
Calls the faithful to their knees
To hear the softly spoken magic spells