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01 giugno 2021

LA DONNA ALLA FINESTRA (con spoiler)

Anna Fox è una psicologa agorafobica (che è un po' come parlare di Siffredi casto). Segue la vita quotidiana dei vicini di casa: mamma simpatichella, padre snob e incazzoso, figlio con i canonici problemi adolescenziali. 
Tutto fila liscio, compatibilmente con il suo indugiare tra pillole e vino rosso, quando ad un certo punto vede l'incazzoso pugnalare la moglie. 
Di lì segue una serie di rivelazioni ed equivoci che si concludono con un colpo di scena finale che il pubblico aveva già capito durante i titoli di testa.

Chiaramente a Hitchcock hanno fischiato le orecchie, tipo trombe del giudizio. Però è un film che prova a dire anche altro, andando avanti con qualche tentone di troppo.
Innanzitutto, parliamo di cosa salvare: la fotografia. Eccellente. Affascinante. Sperimentale, ma anche agée. È sicuramente aiutata da una intrigante scenografia, ma la sa rendere pulsante e viva... persino troppo.
E già, la regia, infatti, si avvita sopra le inquadrature, senza mai riuscire a imprimere un ritmo adeguato. Si ha l'esatta sensazione che il regista sia rimasto beato di fronte allo splendidume delle luci e che non abbia saputo reagire in alcun modo. 
Per carità, del piattume monocorde è responsabile anche la sceneggiatura: si accontenta del mestiere, senza minimamente preoccuparsi che sa tutto di già visto e provato.
Del resto, è l'insieme del ritmo ad essere monotono: non c'è guizzo, non c'è scarto, non c'è un crescendum che sia tecnico o narrativo: anche le recitazioni ne risentono, tanto che a volte mi sembrava di vedere gli attori ansiosi di terminare il set.
La musica sembra promettere bene; poi, durante la prima rivelazione (quella falsa, insomma), è come se il compositore avesse detto: "sai che ti dico? butta 'sta nota qui, 'sta croma qua... fregatene dei cambi di tempo e di spazio". 
Amy Adams è superba, irriconoscibile, quasi puzzolente di vino e miseria. Gary Oldman gigioneggia forse troppo, ma gli si vuol bene. Julianne Moore sembra sempre aspettarsi il ciak di Altman.
Per gli appassionati di cose della Marvel, ci sono due dei tre protagonisti della serie-tv appena uscita, The Falcon and The Winter Soldier.
5 e mezzo stiracchiato, da vedere con qualche pischello, per poi spiegargli che Hitch, Argento e De Palma facevano 'ste cose meglio e a occhi chiusi.

02 febbraio 2014

#AmericanHustle, chi?

Sono sicuro che se avessi visto il film in lingua originale, non gli avrei dato un 6 stiracchiatissimo, ma qualcosa in più: il doppiaggio, insomma - perlomeno questo modo di doppiare così sciatto - penalizza moltissimo American Hustle, rendendolo addirittura insopportabile in certi momenti.
Al di là di questo, è un film troppo lungo, con troppi gigionismi, e un tentativo sin troppo evidente di dare ad ogni attore la giusta dose di visibilità. Ne escono bene (benissimo) Christian Bale e Jennifer Lawrence; ne esce quasi incolume Jeremy Renner; ne escono malissimo Amy Adams e Bradley Cooper. 
Ormai Christian Bale può recitare anche dormendo: ha un tale controllo della fisicità e della mimica che può permettersi di tutto. Tra tutti gli attori del momento, mi sembra quello con più sfumature e più coraggio (la trilogia di Batman insegna).
E anche Jennifer Lawrence non è da meno. Oltretutto, non è di una bellezza particolare, ma molto standard e senza guizzi estetici. Eppure sa tener testa alle inquadrature con navigata disinvoltura. Un tempo si chiamava "presenza scenica".
A Jeremy Renner uno vuole bene. Ha dei limiti, molto evidenti peraltro, ma non fa niente per nasconderli né tantomeno fa finta di poterli superare.
Bradley Cooper mi è sempre sembrato poco attento alle sfumature, sin dai tempi di Alias. Ha l'evidente difetto di recitare all'inizio di una storia come se già sapesse come va a finire. Non c'è sorpresa o rabbia nelle sue espressioni, ma solo mestiere a buon mercato.
Amy Adams, infine, ha un'espressione, solo una: la porta addosso dall'inizio alla fine, lasciandosi aiutare da un vestiario che lascia poco all'immaginazione, ma che dopo un po' diventa stucchevole e ripetitivo.
Sul cameo di Robert De Niro neanche mi pronuncio, gli voglio troppo bene.
Anche la regia sembra approssimativa: alcune sequenze sembrano ciak di riserva, forse scartati, e poi rimessi lì perché non c'era altro.
Bella, invece, la fotografia, anche se troppo uniforme. 
Ottima, com'è noto, la scelta delle musiche: a volte fuori contesto (volutamente, immagino), ma decisamente accurata e di indubbia qualità; memorabile il breve ma gustoso show della Lawrence sulle note di Live and Let Die dei Wings (vale la spesa del biglietto).
Insomma, per ora la mia corsa degli Oscar è ancora ferma al palo: vediamo cosa mi diranno le prossime pellicole.