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30 agosto 2022

LO SPECCHIO DELLA VITA di Douglas Sirk (il Saggiatore)

Regista raffinato, uomo intelligente e di elevata cultura, Douglas Sirk appartiene a quella scuola di maestri del cinema di cui si sente sempre parlare anche se non hai visto nessuno dei suoi film.
Protagonista di una vita complicata, tedesco di origini, poi in fuga perché minacciato dal Nazismo - che si ritrovava persino in casa (la prima moglie, hitleriana convinta, riuscì a impedirgli di vedere il figlio dall'adolescenza fino alla sua prematura morte), Sirk ha saputo raccontare con sofisticata profondità le contraddizioni della società americana, con una serie di film che ancora oggi farebbero impallidire certi concionatori dalla panoramica facile.
Questo splendido libro è una delle rare interviste che concesse con così tanta passione e ricchezza di suggestioni, che sembra veramente un dono dal cielo. Oltretutto, è la versione ampliata rispetto a quella che uscì qualche lustro fa, visto che l'accordo con il relatore prevedeva che il corpus integrale sarebbe dovuto uscire solamente dopo la scomparsa di tutti i personaggi citati.
Ne consiglio l'attenta lettura anche a chi non ama li cinema o che comunque lo frequenta distrattamente, perché è un libro denso di Storia, di Cultura, di un modo di essere e di pensare che oggi è decisamente scomparso.
Certo, sarebbe da augurarsi che le ennetante televisioni OTT dedichino sempre più spazio al cinema di quei tempi, senza cioè rincorrere solo le nuove proposte o il catalogo più nazionalpopolare. Anche perché poi il cinema di Sirk è decisamente più appetitoso e comprensibile di quanto si dica.

23 febbraio 2021

SAMURAI di Michael Wert (il Saggiatore)

La parabola di un mito raccontata dalle sapienti lenti di un esperto, ma che lascia sulla punta della lingua quella dolce necessità di volerne sapere di più, limitata, ahimé, dall'approccio manualistico.
In realtà, fosse stato un argomento "occidentale", non avrei sollevato questo rammarico; ma qui siamo di fronte a un'esperienza culturale così lontana dalla nostra, che valeva la pena aggiungere qualche pagina descrittiva per darle più spessore e sapore.
L'autore, cioè, si impegna in maniera inappuntabile a negare tante cacofoniche mitologie che attribuiamo alla figura del samurai, aggiungendo controprove e verità, senza però peritarsi di aggiungere contesti, storie, quotidianità, se non per soli appunti e cenni.
Il samurai, insomma, non è il mito che crediamo, e quel mito che crediamo sia esistito, si è manifestato in realtà solo durante l'ultimo periodo della sua parabola. Il resto è una leggenda alimentata in parte da ignoranza - incoraggiata da cinema e letteratura, in parte da un'agiografia anche giapponese sin troppo dedita più alla forma che alla sostanza.
È un testo, insomma, che può andare bene agli appassionati di Mishima o forse di Kawabata, e magari a chi ha apprezzato una certa cinematografia di genere esaurita entro gli anni '80 (con qualche eccezione più recente, come questa con Tom Cruise); ma per chi volesse avere in mano un manuale semplificativo ed esauriente, rischia di andare ad affaticare la propria memoria dentro troppi nomi in pochissime pagine.

16 luglio 2020

FUGA di Geoff Dyer (il Saggiatore)

Geoff Dyer può scrivere di qualsiasi argomento, senza strafare o senza sembrare incompetente: entra subito nel cuore di ogni possibile contenuto, lo sviscera, lo sminuzza, lo racconta da prospettive inedite, poi si alza e se ne va, sorridente e guascone come solo sa essere lui. È una dote, rara, rarissima, soprattutto in questo mondo di supponenti armati di hashtag, che credono di avere il diritto di parlare di tutto senza conoscere niente.
E poi ha un sense of humor sempre puntuale, mai caciarone, sottile quando è necessario, caotico quanto basta. E in questo libro, di humor ce n'è in abbondanza. Soprattutto perché il film ri-raccontato è così ampolloso e contraddittorio di suo che se non lo presenti con il giusto sorriso, finisce che gli dài o troppa importanza o troppo disprezzo.
Dove osano le aquile è quel tipo di pellicola che appena la incontri durante lo zapping non puoi farne a meno: devi rivederlo di nuovo, confondendo per l'ennesima volta dove accade quello o dove muore quell'altro. Giuro, l'avrò visto trenta volte e ancora non riesco a ricostruirne la trama in ordine... ma perché l'ordine non c'è; e chissenefrega se non c'è, perché è un film amabilmente amabile.
Geoff Dyer ama questo film e lo ama in maniera così totale che le battute folgoranti con cui lo descrive o lo circoscrive sono sempre molto affettuose e mai irriverenti; e se sono irriverenti è perché gli vuole troppo bene. 
Peccato che il libro sia così breve, o magari è la sua fortuna, perché maneggiare simili cose troppo a lungo diventerebbe stucchevole.
Certo, dovete conoscere una 'nticchia di trama. Ma, in fondo, alzi la mano chi non ha mai visto Dove osano le aquile.

20 gennaio 2020

gli scenari de IL GIORNO IN CUI TUTTO FINISCE

Le sorti reali della Corona Inglese hanno sempre più il sapore sottilmente distopico della pregevole serie The Crown, tanto che per molti osservatori dopo Elisabetta II si concluderà questa romantica istituzione.
Ma ci sono altri probabili scenari su cui speculare non è solo divertente ma anche necessario per prepararsi al futuro prossimo venturo: appurato che il doping è sempre più subdolo e raffinato, avrà ancora senso combatterlo? È possibile diventare veramente immortali? L’uso massivo degli antibiotici avrà conseguenze disastrose? Cosa accadrà quando non ci saranno più animali negli oceani? Come reagiremo il giorno in cui arriverà un segnale dagli alieni? Ma è poi vero che se la caldera del Parco di Yellowstone dovesse svegliarsi, sarebbero guai seri per tutto il Pianeta?
Sintetizzate in questo modo, sembrano più le domande del Guzzanti di rieduchescional ciannel; ma poste dalla giusta prospettiva, diventano le basi per una seria e approfondita analisi, come quella di Mike Pearl, nota firma di Vice, autore de “Il giorno in cui tutto finisce”, Il Saggiatore.
La tecnica narrativa è scorrevole e intrigante: si apre sempre con uno schema di probabilità (e/o di necessità); si sviluppa con un breve racconto dal futuro ipotizzato; si chiude con una sorta di lucida analisi di tutti gli scenari possibili derivanti dall'ipotesi di partenza.
Va detto che il titolo originale, The Day It Finally Happens, ristabilisce le originali intenzioni di questo saggio, preciso, profondo, scritto con leggerezza e competenza, ma soprattutto con una documentazione di qualità.
I capitoli più interessanti sono dedicati allo scenario di un quasi improbabile crollo di internet e… agli schiavi: a tutt’oggi, in tutto il Pianeta se ne contano oltre 40 milioni, soprattutto donne e bambini.

14 novembre 2019

Non ho niente da nascondere, intervista a MICHAEL HANEKE

Conobbi Haneke per sbaglio, acquistando in edicola il dvd di Funny Games, il primo, l'edizione austriaca insomma. E fu amore a prima vista. 
Per comprendere se un film mi stia piacendo, verifico mentalmente la mia postura sulla poltrona; di casa o del cinema, poco importa: se sto sulle punte dei piedi, seduto in pizzo e aggrottato, il film funziona, quale che sia il suo genere - anche quelli della Marvel, intendiamoci. Tant'è che per me vedere film che mi piacciono è anche uno sforzo fisico, visto che a proiezione conclusa ho mal di schiena e dolori ai piedi.
Fatto sta che appena vidi Funny Games, mi ritrovai dolente in ogni parte del corpo, ma soprattutto con l'anima a pezzi e la coscienza colma di dubbi. E mi resi immediatamente conto come fosse possibile devastare la coscienza dello spettatore senza far vedere nulla: tranne la scena (volutamente ridondante) della fucilata contro uno dei due delinquenti - poi volutamente riavvolta, il resto del film è un continuo gioco di allusioni.
Sapete qual è la cosa che più mi ha stregato? La pallina che rotola verso lo spettatore, partendo da una porta socchiusa e in penombra: c'è stato un omicidio efferato, ma ti arriva prima dentro, nell'anima, e solo dopo nella pancia e nel cuore.
Haneke è un regista asciutto, molto asciutto. Netto, nitido, senza pregiudizi e senza moralismi d'accatto. Lui racconta, e sa raccontare; è lo spettatore il vero arbitro della vicenda. E quasi sempre ne esce distrutto, pieno di dubbi e di incertezze... il che, onestamente, è la via migliore per crescere, sia come spettatori che come persone.
Basta guardare Il tempo dei lupi, dove gli eventi si susseguono spontaneamente e inevitabilmente, quasi fossero scritti in diretta dagli stessi attori. Dove il Male e il male dell'essere umano convivono amabilmente.
Basta inseguire La pianista, così nevrotica ma algida, piena solo di se stessa e delle sue poliritmiche schizofrenie.
Basta arrampicarsi dentro la storia di Niente da nascondere, dove le inquadrature sembrano lunghe e statiche; e invece stanno dimostrando angoscia e ipocrisia.
Non ho mai amato Amour, mentre trovo Il nastro bianco la massima espressione della poetica di Haneke, dove il tempo sembra scorrere indifferente, mentre invece il dramma della pedofilia e quello del nazismo sono lì, vividi spettatori accanto a noi.
In questa ottima e corposa intervista, Haneke non è mai pieno di sé: sa raccontare la sua "professione" di regista e autore con grazia e cortesia, senza mai perdersi in voluttà autoreferenziali, senza compiacere gli intervistati, senza imporre dogmatismi di sorta, senza credere di essere al centro del Mondo e/o del Cinema.
Le domande sono sempre puntuali e accurate, precise e ricche di una competenza che poteva essere solo di due ottimi critici francesi.
Va detto che nell'edizione italiana il riassunto della trama dei Lupi dimentica di parlare dello stupro della minorenne; violenza che si intravede a malapena, ma che è il nodo narrativo per il drammatico epilogo finale. Scelta o svista editoriale che sia, poco importa: andrebbe corretta.
Consiglio la lettura di questo libro anche ai neofiti, a quelli che masticano la settima arte da pochi anni, perché non c'è niente di meglio che studiare questa meraviglia così giovane ma già in via di estinzione quale solo sa essere il cinema.

13 novembre 2009

l'orchestra elettrica di Miles Davis



19 agosto 1969. Mentre si ripulivano i prati di Woodstock, Miles Davis portò in studio un’«orchestra» senza precedenti: tredici solisti con chitarre e tastiere elettriche, quattro percussionisti, un clarinetto basso, un sax soprano. Con qualche appunto sulla carta e dopo solo una serata di prove, in tre mattine si registrò un disco la cui portata storica fu subito chiara.
D'ora in poi, quando si parlerà di saggi, nel senso veramente vero del termine, bisogna aggiungere "come il Bitches Brew di Enrico Merlin e Veniero Rizzardi".
Il primo è noto per aver catalogato l'opera omnia del grande artista "abbronzato", il secondo per aver studiato Luigi Nono in profondità.
È un corposo e complesso saggio "sistemico", attraverso cui cioè riesci ad esplorare tutto: il contesto, i fenomeni sociali, gli aspetti estetici, artistici e tecnici.
Raramente due italiani hanno messo in piedi un'opera simile: ve ne consiglio caldamente l'acquisto.