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05 gennaio 2022

DON'T LOOK UP, ma neanche di sfuggita

Una stagista con la frangetta-ammazzabellezza scopre per puro caso che un enormissimo asteroide polverizzerà la Terra tra sei mesi e qualche giorno.
Il suo capo, goffo e sudaticcio come pochi, prova quindi a segnalare l’allarme a una plasticosa presidentessa statunitense, più trumpiana di Trump. La tipa, però, prima non capisce la portata del dramma, poi prova a scagliare ennemissili distruttivi contro il supersasso, poi ci ripensa seguendo consigli vanesi e speculativi di un suo scemissimo grande elettore che sembra un incrocio tra Bezos, Jobs e un calzolaio di Velletri.
Intanto, i due scienziati dimostrano un balordo approccio con media e social, generando equivoci e casini abbastanza scialbi.
Alla fine, il tipo ricco e scemo fallisce nella sua missione e la Terra si becca il previsto ceffone pietroso. Muoiono tutti, tranne quelli scappati nella scialuppona del “velletrano”, che, dopo ennemigliaia di anni, atterrano su un pianeta rigoglioso ma poi non tanto accogliente.

Confesso di averlo prima abbandonato dopo mezz’ora, e poi di averlo visto integralmente a velocità doppia: comunque, una noia infinita. Sceneggiatura stropicciata e piena di buchi come crateri. Tempi narrativi incoerenti. Dialoghi presi dal cestino del Mel Brooks peggiore. Montaggio da prima elementare, con alcune imperdonabili “capocciate” che neanche un b-movie di Corman avrebbe consentito. Regia inesistente. Direzione della fotografia di prassi. Attori da nomi fumanti ma fumosi e senza perno: la Lawrence si annoia tantissimo, Di Caprio propone gli scarti degli scarti dei suoi scarti, la Streep non vede l’ora di andare a casa e la Blanchette sembra sempre più una copia sbiadita dello pneumatico di una jeep.
Ma il vero problema di questa operazione senza senso è il successo di pubblico che ho percepito in giro. I gusti sono gusti, per carità: sono io il primo a dirlo e a difendere questo diritto con il mio stesso sangue. Ma questo film è brutto pesante!
Potrà pure essere “di denuncia” quanto vi pare, ma è il come che andrebbe valutato: non è che se fai polemica contro la crisi ambientale, sei automaticamente un fico! Altrimenti, giriamo venti minuti di puzzette della mia gatta costretta a mangiare cibo di dubbia provenienza, e facciamo prima.
Certo, se poi questa sarà la sintassi con cui vogliamo coprire i prossimi anni di contenuti polemici contro il sistema, contro i media, contro l’inquinamento, alla fine l’asteroide arriverà sul serio e neanche ce ne accorgeremo, visto che saremo troppo concentrati a dirci “bravi” per aver girato ca@ate come questa.
E poi, perdere tempo e danaro ed entusiasmo dietro questo tipo di lavori così sbracosi, fa male alla “causa” e alla sua credibilità.
E non mi parlate di linguaggio “da capire” e di nonsense brillante e geniale, perché questa modalità aveva forza e credibilità tra gli anni 60 e 70: adesso suona stonata e ridicola, oltreché esaurita e senza più una visione originale che sia una.
Aridatemi 2022:i sopravvissuti, che almeno aveva i piedi per terra e una visione distopica credibile e ben raccontata.

19 febbraio 2018

hanno attaccato tre manifesti sul post del treno di Eastwood chiamandolo col mio nome

SPOILER OVUNQUE, siete avvertiti

Tre manifesti a Ebbing, Missouri dovrebbe essere un film grottesco, o almeno sembra aspirare a tanto. Però: se non lo è, la trama fa acqua da tutte le parti; se lo è, la trama fa acqua da tutte le parti.
Io credo che se hai deciso di girare un film grottesco devi per forza abusare della realtà, dandole però un senso... grottesco, appunto.
Frankenstein Junior, per dire, ha sequenze impossibili ma coerenti e sensate: ogni cosa torna al suo non-posto senza mietere dubbi nel cervello dello spettatore (cervello ab-normal, come si conviene...).
Hollywood Party è inverosimile, ma le scene impossibili del party hanno un inizio, un arco narrativo e una fine; hanno, cioè, una direzione.
In questi Tre manifesti, invece, un poliziotto butta dalla finestra un disgraziato, ma non viene arrestato né processato. La protagonista tira molotov contro un distretto di polizia, ma le indagini si riducono a una chiacchierata condominiale.
Ma soprattutto: il presunto sospetto dello stupro entra ed esce dal negozio della protagonista... senza alcun nesso narrativo.
Più in generale, la sceneggiatura è sfilacciata, si perde in almeno tre finali diversi, non crea alcuna empatia tra protagonista e spettatore, si perde in alcune sequenze prevedibili quanto lente.

Il Post è un bel film già scritto: doveva essere girato come l'ha girato Spielberg, doveva essere interpretato da due monumenti quali la Streep e Hanks. 
C'è un elemento nodale che forse è sfuggito ai critici: in questo film non si parla solo della libertà di stampa; si parla anche del coraggio dei politici, di qualunque fazione. 
Quando, cioè, un ideale assoluto viene messo in crisi o addirittura minacciato, non importa a quale partito appartieni: devi schierarti in difesa del principio, costi quello che costi.

Ore 15:17 - Attacco al treno è un bel film, non il migliore di Eastwood, ma è asciutto, nitido, pulito e senza autocelebrazioni. 

C'è un netto ed evidente contrasto tra la tecnica di ripresa che prepara all'evento drammatico e quelle che lo raccontano con misurata quanto rapida dovizia di particolari. Ed è una bella scelta: nonostante sappiamo come va a finire, ci raggomitoliamo sulla sedia in attesa della vittoria dei buoni.
Colpisce il fatto che i tre protagonisti siano quelli veri, anche per un motivo tutt'altro che banale: a volte, non c'è bisogno delle accademie per interpretare un dramma.
Certo, non vedremo mai più (?) i tre eroi recitare altri ruoli, però c'è un dubbio che mi attanaglia: fosse stata una produzione italiana, lo avremmo elogiato parlando di neo-neo-neorealismo? 

Chiamami col tuo nome è, invece, un film brutto e noioso, senza speranza alcuna: dopo un'ora volevo già andar via dalla sala.

Ed è anche un film presuntuoso, perché parte dal presupposto che parlare dei sentimenti in quel modo consenta automaticamente la loro strumentale banalizzazione.
Purtroppo è un film che deve piacere, perché il timore borghese suggerisce che certe tematiche non possano essere criticate. 
Come nella Stanza del figlio di Moretti o nella Grande bellezza di Sorrentino, non ci si appassiona, non si entra in empatia con i personaggi: si vivono i momenti drammatici solo riferendoli a noi stessi e alle nostre esperienze. Ebbene, io credo che quando costringi uno spettatore a sopperire alla tua sceneggiatura, vuol dire che sai solo mostrare senza saper raccontare. Hai fallito nel tuo scopo, insomma.
E spero vivamente che abbiano sbagliato la lente del proiettore della sala. Raramente ho visto inquadrature così pervicacemente sbagliate: più volte mi sono sorpreso a spostare la testa in alto sopra lo schermo, alla ricerca di un frammento di spazio altrimenti soffocato.

28 maggio 2008

la nostra Africa (ciao, Sidney Pollack)

Accade.
Accade ogni santa volta che mi lavo i capelli.
E subito mi viene in mente Robert Redford che li lava a Meryl Streep.
Lei, così bella e sensuale, lontana da ogni maschilista desiderio di possesso fisico, di quelle donne che staresti ad ascoltare per ore, anche quando parlano di cose futili.
Lui, che non sai se invidiarlo perché è bello, o biasimarlo perché è bellissimo.
E l'Africa.
Io in Africa ci sono stato. Sperduto nella savana keniota. Scendo per pochi secondi, pochissimi secondi, dal camioncino che ci stava traghettando tra mille sapori e colori, e guardo davanti, verso l'orizzonte. Un tremore improvviso mi fa sentire uno stronzetto piccolo piccolo: l'Africa è infinita... e non vedo nessun treno sbucare dal nulla. Mannaggia.
E accanto a me, lui, Sidney Pollack. Che mi ha portato a New York sulla bicicletta di Robert "Condor" Redford. Che mi ha convinto come i leoni scappino via anche e solo se li urli contro. Che ha giocato a biliardo contro Tom Cruise. Che ha cazziato Dustin "Tootsie" Hoffmann. Che ha discusso con George "Clayton" Clooney.
So long, Mister Pollack. So Long.
Che la terra ti sia lieve.


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