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15 gennaio 2015

pensieri sparsi intorno a Charlie Hebdo (io, che non so il francese)

Durante la manifestazione di Parigi, erano presenti Neta­nyahu, Abu Mazen, il Re di Giordania, il Presidente del Mali, il Califfo del Qatar... i premier turco, tunisino, georgiano, bulgaro, greco, sloveno, polacco... i ministri degli esteri egiziano, russo, algerino, del Bahrain... l'ambasciatore saudita in Francia... tutti rappresentanti di paesi con serie difficoltà ad accettare le più banali regole democratiche.
Erano comunque Charlie Hebdo?
Ebbene, se eravamo tutti Charlie Hebdo, come avrebbe reagito la nostra Italia alla pubblicazione della vignetta qui a fianco? 
Il Comune di Manfredonia ha organizzato un concorso per vignette satiriche intitolato - guarda un po' - Je Suis Charlie; l'unica discriminante è che non saranno accettate vignette che offendano il decoro pubblico e la religione.
Va bene, la religione va rispettata. Ma quale, una, due o tutte? E, soprattutto: quanto laicamente?
Insomma, a me viene in mente il giornalista robottino che ogni volta che un arabo fa anche e solo una scoreggia, prende il suo bel microfono e va sotto una Moschea chiedendo al fedele di passaggio: "ma lei si dissocia dall'arabo che ha scoreggiato? Cosa ne pensa l'Islam?".
C'è qualcosa non mi torna, insomma. Mia moglie direbbe che amo fare il "bastian contrario". Ma forse la risposta a una domanda che ancora non riesco a farmi proviene dalla battuta di una mia collega: "noi non mitragliamo chi non la pensa come noi".
Quindi, il problema sta nella violenza?
Non voglio ricordare la condizione dei gay in Italia (figuriamoci in ben altri paesi), anche se è comunque una forma di violenza.
Non voglio ricordare quanto sia difficile per una donna lavorare e avere figli contemporaneamente (per non parlare del fare carriera), anche se è comunque una forma di violenza.
Non voglio ricordare il predominio economico e culturale del Vaticano in Italia... né tantomeno - per dirne una - che gli USA hanno una moneta (e il giuramento del Presidente) esplicitamente devoti al dio cristiano.
Dimentichiamoci pure che la cultura cristiana ha massacrato le popolazioni americane. È un evento troppo lontano, ed è ridicolo ricordarlo (oddio, 80 milioni di morti... ma chissenefrega).
Dimentichiamoci pure che la cultura bianca ha umiliato gli africani, annientando le loro culture e deportandone in abbondanza (18 milioni ridotti in schiavi, 18 milioni spariti nel nulla).
Dimentichiamoci pure che la cultura europea ha anche ideato 6 milioni di ebrei gassati, etnie inventate come Hutu e Tutsi che poi si sono massacrate col nostro beneplacito, un milione di armeni uccisi, due guerre mondiali, la divisione arbitraria dell'intera Africa e di buona parte dell'Asia.
Dimentichiamoci di tutto questo, dài: altrimenti facciamo la figura delle zecche rompicoglioni e "bastian contrarie" (che poi lo sono veramente, per carità). 
La domande vera è: sul serio non è un problema con l'Islam? 
Ditemelo chiaramente, però!
Tutto il resto mi sembra una cornice di comodo, un'ipocrita e contraddittoria cornice di comodo.

09 febbraio 2014

#GenerationWar, ovvero: dimenticare i volenterosi carnefici

Pare fatto apposta - anche se non lo è - che proprio a ridosso del Giorno del Ricordo, Rai3 abbia proposto Generation War, una miniserie su cinque giovani tedeschi che passano attraverso le atrocità della Seconda Guerra Mondiale uscendone trasformati, e in un certo senso vincenti.
Perché la battuta sul Giorno del Ricordo? Perché la coscienza civile dei paesi che hanno una Storia recente fatta di sangue, di sopraffazione e di dolore - cioè Italia e Germania - sembra vivacchiare nel saper attendere, con la speranza che il Tempo dissolva la Verità, con la certezza che il popolo non sappia, non voglia sapere, non ascolti, non voglia ascoltare.
E se il Giorno del Ricordo è una speculazione storica escogitata da italiani per coprire le atrocità di altri italiani che ebbero come conseguenza anche le Foibe (Alessandra Kersevan insegna), mi meraviglio che i tedeschi abbiano edificato un'opera così scomposta e ricca di indulgenze, di contraddizioni e di sottilissime dimenticanze.
Ora: per quanto un film non possa - e non debba - sintetizzare qualcosa in maniera perfetta e soddisfacente; per quanto bisogna accostarsi alle opere senza aspettarsi quel che si pretende venga rigorosamente narrato; per quanto la Storia sia fatta di duttile Verità e di macroscopici machiavellismi... ridurre la responsabilità tedesca nel modo narrato da Generation War fa veramente male. Insomma, anche i rigorosi tedeschi hanno dimenticato Kant per entrare dentro la stanza crucca della più comoda mistificazione.
Partiamo dagli aspetti tecnici, che potrebbero restare solo tali, ma che forse sono anche figli di un lapsus mentale. La musica, rabberciatamente debitrice del secondo movimento del Concerto Imperatore di Beethoven, lavora di nostalgia, di languore, di pathos preconfezionato e sempre molto puntuale e azzeccato.
La fotografia è sempre identica a se stessa, senza quell'elegante accortezza di saper presentare lo svolgersi del tempo con viraggi differenziati. In più, genera nello spettatore una costante sensazione a metà tra il ricordo doloroso e la (presunta) ricostruzione storica, supportata da una voce fuori campo sempre sul punto di assolvere i peccati dei cinque, e quindi dei tedeschi.
I protagonisti sembrano vittime del sistema, costretti a fare quello che fanno solo dal perfido Hitler e non da un consenso popolare che superò di gran lunga quello del Fascismo (una lettura di Daniel Goldhagen non farebbe male a nessuno).
La Shoah viene spostata in un angolino, in maniera irritante e imbarazzante.
Addirittura, i partigiani polacchi sono trattati alla stessa stregua degli aguzzini nazisti... su questo va fatta una doppia distinzione. La prima: i nazisti costruirono i lager soprattutto in Polonia, perché non volevano urtare la sensibilità della popolazione tedesca (che comunque sapeva, altroché), e perché contavano sul silenzio di una fetta consistente dei polacchi, notoriamente poco inclini all'ebraismo. Ma se poi andiamo nel Giardino dei Giusti, scopriamo che di eroi polacchi che hanno lottato per gli ebrei, ce ne sono. Ergo, la reductio filmica è grossolana e fuorviante.
Secondo motivo: è vero che noi abbiamo Pansa qui in Italia che si sollazza infangando i nostri partigiani; è anche vero che più in generale alcuni partigiani non erano stinchi di santo... ma lasciarsi andare a una furbata mistificatrice ne passa.
È poi evidente, quasi eclatante direi, come una parte delle sequenze sia debitrice dell'ottimo Le benevole di Jonathan Littell. Solo che Littell non assolve, documenta, racconta, e soprattutto non gioca a rimpiattino con le responsabilità del popolo tedesco. In più, il suo cronachismo così asciutto, lineare, ricco di sfumature mai ostentate ma ben evidenti, consente al lettore di fare una viaggio nel dolore e nella miseria senza uscirne né vivo (metaforicamente parlando), né tantomeno conciliante.
Se, insomma, gli autori volevano raccontare una serie di storie tedesche incrociate, potevano evitare sia di alludere troppo a certe vergogne che di scivolare nell'aneddotica spiccia.
I personaggi, poi, sono la fine di ogni possibile dibattito, se non altro perché tutti abbastanza prevedibili; comunque paradigmatici di una sorta di assoluzione collettiva. 
L'ebreo innamorato della futura cantante famosa, sembra uscito da un filmetto minore di Allen, sempre pronto a mostrare un'espressione a metà tra l'inespressivo e l'imbambolato. Questo aver presentato un ebreo tra non ebrei, ricorda un po' certi film americani politically correct in cui bisogna per forza circondare l'eroe del film di neri, ebrei e omosessuali. A casa mia si chiama "uso strumentale". 
Il nazista nudo e puro, invece, presenta rimorsi di coscienza pressoché immediatamente, come se la sua breve carriera da ufficiale (è del 1921) non sia stata invece cosparsa anche da adunate a Norimberga e da festeggiamenti convinti dell'eterno Terzo Reich. Dovrebbe addirittura proteggere il fratello, mentre alla fine è capace solo di disertare senza emendarsi in maniera almeno dignitosa.
Il fratello, invece, esordisce come intellettuale dichiaratamente contrario alla guerra (ma quando mai, perlomeno in maniera così smaccata), si trasforma in robot cinico, ritorna umano, in tempo per far prima scappare l'amico ebreo e quindi salvando da morte certa un plotone del Volkssturm, immolandosi come l'Elias di Platoon.
L'infermiera, prima denuncia platealmente un'ebrea, poi, di fronte all'incalzare della sicura sconfitta, salva il destino di alcuni soldati procrastinando il loro ritorno in battaglia. Viene salvata da stupro sicuro proprio dall'ebrea che aveva denunciato (ebrea che nel frattempo comanda una pattuglia di regolari sovietici!). Comunque, se la cava.
Sulla cantante quasi-ex-fidanzata dell'ebreo, viene intortata una trama strampalata. Va a letto che un tipo della Gestapo per ottenere un salvacondotto per il quasi-fidanzato; e quindi non "pecca", perché il suo gesto è altruistico. Però, seguendo rigorosamente la cronologia del film, in realtà va prima a letto col tipo per diventare famosa; poi, visto che c'è, usa le sue grazie per ottenere il salvacondotto. Fin qui, fatti suoi (e chissenefrega, insomma). Certo è che si presenta stolida e superficiale quando è costretta ad assistere i feriti tedeschi reduci dall'assedio di Stalingrado. Poi, appena rientrata a Berlino, si presenta redenta e disillusa proferendo una provocazione disfattista davanti ad alcuni ufficiali. L'omone della Gestapo la fa prima rinchiudere e quindi fucilare. 
Per concludere, perché il titolo originale è stato modificato nel più asettico "La generazione della guerra"? Unsere Mütter, unsere Väter” (“Le nostre madri e i nostri padri”), è sottile e allusivo, e dovrebbe suscitare argomentazioni e indignazioni ben più profonde di un semplice "vietato ai minori".
In effetti, il direttore di Rai3 Andrea Vianello ha sbagliato (in buonafede, per carità): una pellicola simile andava accompagnata da un'introduzione storica, e conclusa con un dibattito serio tra esperti competenti. Se avete tempo da perdere, iniziate da qui e qui.
A latere, appena ho twittato le mie riserve sul film, un tipo ha replicato: "Perché parli di sottile revisionismo? Un po' di indulgenza effettivamente c'è. Cmq l'ho trovato ben fatto e storicamente accurato". In effetti, se dovessi fare un film sui tedeschi vissuti durante la Seconda Guerra Mondiale, eviterei di parlare dei morti: quasi sei milioni di ebrei, oltre duecentomila tra rom e sinti, oltre duecentomila disabili, ventimila omosessuali, quasi un milione di dissidenti politici... 

20 settembre 2013

William Friedkin, tante lezioni in un'autobiografia

Ho fatto un test, raccontando a chi mi stava intorno i seguenti aneddoti, ma senza specificare chi ne fosse il protagonista pasticcione: un tipo si ritrovò tra le mani alcuni fogli disegnati in maniera poco ortodossa, e decise di buttarli nella spazzatura. Peccato che l'autore fosse Basquiat.
Allo stesso tipo arrivarono i nastri di un giovane musicista di colore che lo pregava di dirigere alcuni suoi video. Li ascoltò, non li gradì, e diniegò l'offerta. Peccato che il musicista fosse Prince.
Infine, un bel giorno, gli si avvicinò un giovane diabetico e insicuro che gli propose la produzione di un film ambientato nello spazio. Il nostro tipo rifiutò, e Star Wars divenne leggenda.
Insomma, chiunque abbia ascoltato queste tre storielle, ha subito reagito esclamando "ma questo è proprio uno scemo".
E, invece, è William Friedkin, un regista "osservatore", di quelli cioè che usa la macchina da presa come fosse una testimone discreta, quasi trasparente, ma che poi sa anche spostare il climax di un'azione, smanettando a dovere le fasi di montaggio. Ancora oggi, il celeberrimo inseguimento del suo Il braccio violento della legge viene visto e rivisto da imberbi montatori per imparare l'abc della difficile arte del montaggio.
William Friedkin ha scritto una bellissima autobiografia, tradotta coi piedi però, che riesce a raccontare contemporaneamente i propri pregi/difetti, la storia del cinema, la tecnica del cinematografare. 
È un libro ricco anche di aneddoti e di curiosità, senza che affatichino la lettura, ma che trascinano il lettore in un vortice di tante cose belle e saporite che vorresti non finissero mai.
In più, dimostra fattivamente che la voglia di fare, il coraggio - e anche un minimo di incoscienza - vengono sempre premiati... in un ambiente che lo permette, figuriamoci.
Se poi volete una guida all'acquisto dei dvd delle sue opere, vi consiglio (in ordine di gusto):
  • Festa per il compleanno del caro amico Harold (The Boys in the Band, 1970)
  • L'esorcista (The Exorcist, 1973)
  • Il braccio violento della legge (The French Connection, 1971)
  • Vivere e morire a Los Angeles (To Live and Die in L.A., 1985) 
  • Cruising (1980) 
  • The Hunted - La preda (The Hunted, 2003) 
  • Regole d'onore (Rules of Engagement, 2000)

24 luglio 2013

la sensibilità

Tutti sono sensibili.
Anche chi consideriamo una bestia.
Perché la sensibilità è un attitudine neutra. Prendiamo come esempio la pellicola fotografica, che appunto è "sensibile": può impressionare il sorriso di un bambino o una bomba atomica.
Stabilita questa ovvietà, c'è però un passo successivo da fare, che forse è addirittura banale: esiste una misura della sensibilità che può essere soggettiva (io piango per Il paziente inglese, tu per l'inno della tua squadra; eguale dignità, quindi), ma esiste anche un valore assoluto della sensibilità (che più o meno forzatamente deve essere condiviso).
Sensibilità come valore è fare silenzio in chiesa, anche se non si crede.
Sensibilità come valore è non rubare il posto di un disabile.
Sensibilità come valore è riconoscere il diritto di chi ci sta di fronte, e rispettarlo indipendentemente dal nostro tornaconto e dalla sua condizione.
Ma siamo ancora nel banale, lo so e me ne scuso.
Ebbene, se durante un gioco di qualsivoglia tipo, ci lasciamo andare, sta alla nostra sensibilità stabilire i limiti dei nostri eccessi o sta alla sensibilità come valore assoluto?
Ecco, io credo, sono convinto, che in questo caso queste due interpretazioni debbano coincidere na-tu-ral-men-te, senza tante chiacchiere.
E credo anche che chi viola questa sensibilità come valore debba essere punito e messo in condizioni di non avere gli stessi diritti di chi, invece, questa sensibilità come valore ce l'ha.
Per dire: usare una condizione sessuale come insulto; usare una scelta religiosa come insulto; usare una provenienza geografica come insulto... non sono scelte sensibili, né tantomeno ascrivibili a una qualsivoglia forma di sensibilità.
Ebbene, la notte scorsa a Testaccio è accaduta qualcosa di molto grave: se ci fosse stato ancora Alemanno come sindaco, Repubblica - e i giornali che menano moralismi a go-go - si sarebbero fatti in quattro per esprimere sdegno e condanna. E, invece, la cosa è letteralmente passata inosservata, avallando di fatto la non sensibilità dei 500 teppisti che hanno lanciato bombe carta e imbrattato le mura pubbliche con scritte indegne e bestiali.
E di tutte quelle porcate che ho visto compiere dalla teppaglia, quella che mi fa ancora soffrire è quell'aver usato come fosse un insulto il cognome di un poliziotto ucciso dalla teppaglia catanese.
Filippo Raciti fu ucciso nel 2007 a lavandinate in faccia (ripeto: lavandinate in faccia), mentre cercava di sedare una megarissa a ridosso dello stadio del Catania.
Immaginate la scena. 
Immaginate queste bestie che sghignazzano mentre vedono un loro amico colpire a morte questo ragazzo. 
Immaginate la moglie e i famigliari di Filippo Raciti che a loro volta immaginano questa terribile scena.
E poi guardate questa scritta. 
Cosa suggerisce la sensibilità? La vostra, eh!




23 luglio 2013

l'ennesimo sgarbo alla città di Roma

Ieri sera, verso le 22:00 e qualcosa, si è consumato a Testaccio l'ennesima manifestazione sgarbata e incivile da parte di un nutrito gruppo di teppisti travestiti da tifosi.
Con la scusa di festeggiare non so quale ricorrenza della squadra di calcio della Roma, simpatici figuri hanno lanciato bombe carta, insultando le opposte tifoserie con urla antisemite, omofobiche, razziste (soprattutto, contro albanesi) e ributtanti allusioni all'agente Raciti, ucciso nel 2007 durante scontri con teppaglia del Catania.
Curioso che il tutto sia stato consentito a due-isolati-due dalla residenza privata del nostro premier.
Curioso che nessun giornale ne abbia ancora parlato, nonostante il fuggi fuggi generale di turisti e passanti di fronte al lancio continuo di bombe carta.
Curioso che la cosa passerà sotto silenzio come passano continuamente schifezze come questa.
Le foto testimoniano il giorno dopo. Dubito che la società sportiva farà qualche dichiarazione, se non aggiungendo che si è trattato di una minoranza. Dubito che la società sportiva cercherà almeno di ripulire le mura dell'intero Rione, alcune ripulite da pochissimo con spese dedotte dalle nostre tasse.



 




13 giugno 2012

#Cassano e Grey's Anatomy

Le fanciulle appassionate ricorderanno sicuramente il bel tenebroso Isaiah Washington, giovane promessa della serie Grey's Anatomy. Interpretava il fascinoso Dottor Preston Burke.
Un bel giorno - nel 2007, litigando con uno dei superprotagonisti, definì "faggot" ("frocio", insomma) un altro collega. Che lo fosse o no, poco importa. Fatto sta che un tecnico che passava lì per caso, sentì l'impulso di segnalare immediatamente a chi di dovere l'uso di quell'epiteto.
L'emittente cambiò addirittura le sorti dell'intera serie pur di cacciare via Washington, perdendo - va detto - un ottimo personaggio, forte sul piano narrativo e anche morale.
Certo, il tipo ha chiesto poi scusa, e la punizione è stata così pesante forse e anche per una sorta di velato razzismo dei dirigenti della ABC - visto che Washington è nero ("abbronzato", direbbe qualcuno).
Però il parallelo con Cassano ci sta tutto: oltretutto il nostro calciatore ha sparato la sua omofobia (perché tale è) in televisione, con indosso la divisa del nostro paese, in pubblico, senza filtri; peraltro tristemente contornato da crasse risate dei presenti e dal successivo gioco al distinguo di "Stadio Europa".

20 marzo 2012

lettera su Repubblica in difesa dei #gay: la versione originale

Caro Augias,
non credo sia necessaria una sentenza, per quanto autorevole, per stabilire un diritto inalienabile dei nostri concittadini gay: non si capisce perché, insomma, non debbano godere dei nostri stessi diritti e piaceri della vita, e sposarsi tranquillamente come facciamo “noi”.
Non mi meravigliano tanto le stolide ritrosie da destra, quanto invece i mille distinguo e ipocrisie di casa nostra, dove ci si appiglia a motivazioni ridicole e “rispetto per chi è contrario”, che nulla hanno a che vedere con il sacrosanto diritto all’uguaglianza.
Ho letto a suo tempo persino uno come Severgnini appellarsi al “così la pensa la maggior parte degli italiani”, “i liberal americani la pensano come me” (che poi non è più vero), “è contronatura”, e amenità simili.
Al che viene da chiedere a persone simili: ma se la maggioranza degli italiani si butta dalla finestra, uno che fa? Li segue?!
Insomma, a me quello che addolora dal più profondo del cuore (ormai vicino ai 50), è vedere tutto questo astio, questo accanimento, questa mancanza di sensibilità nei confronti di due persone che si vogliono bene, che si amano, che hanno deciso di condividere il tubo di dentifricio spremuto a metà, la tazzina lasciata sul comodino d’epoca, i cassetti disordinati, come anche lo stare seduti accanto la sera e mettersi il cervello all’ammasso a godere di un film stupido o di un varietà scemo.
Insomma, il gusto e la fortuna di condividere la vita fino a perdere i capelli, indossare la dentiera, camminare mano nella mano…
Perché io e mia moglie possiamo, con tutte le fortune che la legge ci dispone, e “loro” no?
Mi stia bene,
Alessandro

07 marzo 2012

lettera aperta a Severgnini

Gentile Severgnini,
a distanza di molto tempo provo a riaprire una dura polemica che ci ha visti l’uno contro l’altro armati.
Ricorda? Io - seppure eterosessuale - trovavo speciose le sue argomentazioni contro il matrimonio tra gay. Le sue giustificazioni, insomma, superavano il ridicolo.
E quando la attaccai come ben meritava (al contrario dei componenti i salotti metaforici che lei frequenta, e che hanno fatto finta di niente), lei rispose:
che tutti i liberal americani la pensavano come lei (che poi non è vero, e lei lo sa bene… e poi: se si buttano dalla finestra, li segue?),
che la maggioranza degli italiani la pensava come lei (che non è certificato di qualità... ne sa qualcosa chi ha vissuto durante il ventennio),
che il matrimonio tra gay è contronatura (evidentemente non ha letto testi sull’argomento)
che io volevo addirittura tapparle la bocca (cosa impossibile, perché non m’interessa nulla farle notare la sua pochezza, perlomeno in questi ambiti; io sto difendendo un diritto, punto e basta).
Insomma, dopo tanti incisi e parentesi (che lei aborra, si sa), la domanda sorge spontanea: ha cambiato idea?
È diventato un uomo adulto e maturo?
Ha capito cosa sia veramente la democrazia?
Sa cosa è un diritto inalienabile?
Si rende conto che la sua è un’arroganza bella e buona?
Cosa si prova ad essere così "cattivi" da argomentare tanto per argomentare contro un desiderio sacrosanto di altri esseri umani?
Dopo il caso di Dalla, ha capito cosa significa impedire a una persona di poter condividere chiaramente e pubblicamente il suo amore per un’altra persona, e chissenefrega del sesso?
Insomma, Severgnini, ha il coraggio di ammettere che è stato un omofobo, all’acqua di rose (come suggerisce la sua dialettica parapacata), ma pur sempre un omofobo?
Un caro saluto,
Alessandro

ps se le faccio ancora così paura, tranquillo: troppi italiani insistono a pensarla come lei

22 marzo 2011

Severgnini e i matrimoni gay?
breve carteggio col Direttore di Sette

Quando pochi giorni fa, ho letto questa risposta di Severgnini, ho fatto un salto dalla sedia: ma come, prima il suo "buon senso" gli suggerisce di essere contrario ai matrimoni tra gay (violando quindi l'articolo 3 della Costituzione Italiana, oltre che quello non scritto della civiltà), e poi si lascia andare a una difesa simile?
È vero che il lettore cui ha risposto, evidentemente non ha seguito i trascorsi del nostro terzistone con la scucchia; è vero anche che Severgnini lo sa, e fa il pesce in barile; però tutto questo sapeva troppo di presa per i fondelli.
E, quindi, ho preso tastiera e mail, e ho scrito al direttore di Sette, settimanale su cui il Severgnini sciorina le sue ovvietà.
Incidentalmente: secondo nuovissimi sondaggi, il 53 % degli americani (cui Severgnini si aggrappava per nobilitare il suo oscurantismo antidemocratico) sarebbe favorevole ai matrimoni tra gay;  il repubblicano Theodore Olson sta continuando la sua battaglia in difesa dei matrimoni gay (“Non credo che la nostra società potrà mai essere all’altezza della promessa di uguaglianza e del diritto fondamentale alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità finché non fermeremo un’odiosa discriminazione fondata sull’orientamento sessuale”).
Nonostante la vacuità di quanto mi ha risposto il Di Piazza, io continuerò a tormentarvi, almeno finché Severgnini non chiederà scusa per le sue affermazioni, almeno finché l'Ordine dei Giornalisti non lo punirà come capita nei paesi veramente all'avanguardia (eppoi, è pure interista...).

Gentile Direttore,
mentre Beppe Severgnini non è stato rigorosamente punito per le sue affermazioni contro i gay, guardi cosa accade nei paesi civili.

Da un sito a sostegno dei malati di cancro alla gaffe sui gay. Brutta avventura per Hugh Grant domenica scorsa in diretta sulla Bbc mentre Inghilterra-Scozia si sfidavano sul campo del Sei Nazioni. L'attore è intervenuto per parlare di un sito che ha aperto per dare spazio alle persone colpite da tumori dove poter condividere emozioni e problemi, un'idea nata in seguito alla malattia e alla morte della madre. Ma durante l'intervista, interpellato sul suo passato di rugbista, si è lasciato sfuggire una frase scorretta sull'atteggiamento da tenere in campo, offensiva per il mondo gay. Immediate le scuse del network britannico
da Notiziegay.com


Per la cronaca: Severgnini si è dichiarato contrario al matrimonio tra gay perché “contro il buon senso”, “lo pensa la maggior parte degli italiani”, “il mondo liberal americano la pensa come me”, “è contro natura”, chi non la pensa come lui gli vuole “tappare la bocca”, e altri sciocchezzai simili.
Contro il buon senso - A quando gli stivali chiodati e i sacchi di sabbia vicino la finestra? Ma che razza di argomentazione è mai questa! Si è reso conto il terzista snob che così dà adito a comportamenti e affermazioni gravissime? E poi, la Costituzione Italiana nell’articolo 3 non difende esplicitamente ogni forma di scelta sessuale? E la Carta dei Diritti dell’Uomo?
Lo pensa la maggior parte degli italiani - E perché Severgnini sente il bisogno di cotanto presunto conforto? E poi, massa uguale qualità? Non è bastato il ventennio? E dove sono le statistiche? Ha parlato con 60 milioni di italiani?
Il mondo liberal americano è con lui - Peccato che parte dei più retrogadi conservatori americani convengano sul fatto che un matrimonio gay è garanzia di stabilità economica, utile anche e soprattutto alla società. E poi, anche se fosse, doppia presunzione: accostarsi ai grandi pensatori americani; pretendere che il loro verbo sia sempre e solo sinonimo di verità.
Severgnini non accetta critiche, altrimenti vuol dire che gli si vuole tappare la bocca - Mi scusi, lui può esprimere la sua dissimulata (e quindi vigliacca) omofobia, e nessuno glielo può far notare? E poi, Severgnini ha così paura di me che gli sbatto la sua mancanza di senso civico in faccia? Sono così potente? Non sapevo…
Davvero l’omosessualità è contro natura? Primo, anche se lo fosse, non significa nulla. Secondo, non è documentato in materia (e non solo su questa), perché la Natura non ha bisogno di “accettare” qualsivoglia comportamento: se mantiene una specie, ha valore; altrimenti prima o poi si estingue. Il bello è che in natura l’omosessualità esiste; e da sempre.

Sono sicuro che se io avessi sciorinato simili amenità, e fossi stato altrettanto famoso (ma non collegabile a conventicola alcuna), si sarebbe scatenato l’inferno in terra. Specie con queste argomentazioni così infantili e scellerate.
Dimenticavo: non sono gay, ma mi vergogno di un settimanale che consenta oscurità simili. Qui non si tratta di libertà di parola, ma di… “buon senso”.
Cordiali saluti,
Alessandro Loppi

Gentile signor Loppi,
Io non so esattamente che cosa pensi la maggioranza degli italiani sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. Le posso solo dire che, personalmente, io sono favorevole al matrimonio tra gay.
In questo la penso in maniera differente rispetto al mio amico e collega Beppe Severgnini.
La forza di un giornale come il nostro è che le diverse opinioni possono coesistere, nell’assoluto reciproco rispetto.
Grazie comunque per avermi scritto.
Un caro saluto
Giuseppe Di Piazza

22 febbraio 2011

tornare e non morire

Ogni volta che entro in sala operatoria, spero sempre di risvegliarmi in un mondo migliore; e, invece, basta affacciarsi alla finestra del reparto per rendersi conto che il mondo è sempre lì, sornione e furbacchietto, a dirmi che dovrò ancora una volta rimboccarmi le maniche, giusto per mantenere salda la mia dignità, visto che il resto ormai conta ben poco.
Mi chiedo sempre quanto valga la pena provare a migliorare le cose, se poi le cose dicono di odiare il letame in cui sopravvivono, ma poi ci sguazzano amorevolmente.
Ritorno un po' su tutti i miei standard, perché la casella di posta era piena, e di spunti in sospeso-ma-attuali ne ho trovati.
In primis l'omofobia di Severgnini. Un suo lettore mi inoltra questa mail (che Severgnini ha visto bene di non pubblicare):
Caro Severgnini
Le confesso di essere rimasto un po' deluso nel leggere la sua risentita risposta al lettore A. Loppi, che qualche giorno fa la accusava, senza troppi giri di parole, di essere omofobo. Lei ha reagito dicendo chi la ritiene omofobo “vorrebbe tappare la bocca a chi esprime un parere diverso”. Eh no, mi scusi ma qui ha ragione Loppi. È un po’ come se un razzista si lamentasse di coloro che lo chiamano tale dopo che lui è andato in giro dicendo che ai neri non devono essere concessi gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. Lei ritiene che alle coppie omosessuali non dovrebbe essere consentito di potersi sposare né tantomeno dovrebbe essere concesso loro di poter adottare figli. È un modo come un altro per sostenere, implicitamente, che le persone omosessuali sono esseri umani inferiori e dunque non devono poter fare cose che invece agli eterosessuali, come lei, sono concesse. E poi si inalbera se qualcuno le dice, chiaramente, che lei è omofobo? I suoi toni saranno forse più educati di quelli un po' bruschi del signor Loppi ma il suo messaggio antiuguaglianza, che le piaccia o no, è un messaggio degradante che lei rivolge a tutti i suoi concittadini omosessuali. Non si offenda se qualcuno glielo fa notare.
Un suo lettore (deluso).
Da fargli un micromonumento; tenendo conto poi che ha riassunto perfettamente il mio pensiero; tenendo conto poi che qualche giorno dopo il Severgnini rincarava la sua posizione dicendo "La mia opinione la conoscete, e credo corrisponda a quella della grande maggioranza degli italiani", come se fosse un certificato di automatica qualità; tenendo conto poi che insisteva nell'alludere al mio presunto volergli "tappare la bocca" (guardi che preferirei tapparne altre di bocche... eppoi sono così temibile?; tutto qui il suo coraggio, caro Severgnini? Facile difendersi dietro un sistema che non la costringerà a rimangiarsi le sue gravissime affermazioni). A conclusione di ciò, né l'Ordine dei Giornalisti né il direttore del magazine del CorSera lo hanno punito professionalmente, com'era giusto che fosse... ah, ovviamente i fighetti sono stati zitti. Dico: solo a me il leggere che il matrimonio tra omosessuali "è contro il buon senso" fa automaticamente sentir provenire dalla strada un rumore di stivali chiodati?
Il lettore dice anche che sono brusco, e in altri contesti c'è chi ha usato questo mio difetto per giustificare la poca affluenza di lettori al mio blog.
Può essere.
E allora, però, vi porto come esempio di sgarberia costante un'altra mia vittima, Luca Sofri: come esempio tra tanti, guardate come ha insultato i suoi commentatori; il giorno dopo, stessi lettori, stesso successo. Eppure, tratta sempre tutti con spocchia e alterigia, oltretutto con argomenti e sintassi da incubo.
Ma piace...
... mi ricorda qualcuno...
Più in generale, è ormai evidente che in Italia la visibilità egeliana e la credibilità sostanziale non si raggiungono con il duro e serio lavoro: la si hanno in dote. Haivoglia a sforzarti. Haivoglia a restare coerente (dico: scrittori di Mondadori, Berlusconi avrebbe pagato Ruby anche con soldi derivati dai vostri successi!). Haivoglia a indicare vie pulite, restando però pulito. Non serve a un beneamato nulla! Solo al tuo amor proprio e alla tua dignità!
Beninteso, caratterialmente non sono il tipo da volere qualcosa in cambio. Ma pretendo, esigo, che certe nobili parole e qualità non vengano attribuite a chi non le merita! Basta, insomma!
Eppoi, si sa, se il comportamento dei Severgnini o dei Sofri, o di tutta questa massa di fighetti che sconquassa la cultura italica, venisse attuato da uno qualsiasi di noi, haivoglia a condanne moralisticheggianti. Altro che Berlusconi!
Del resto, scusate, nel parapiglia delle case trivulziane, quanti dei "nostri" e dei "loro" sono stati beccati col sorcio in bocca? E la lista di tutti questi furbacchioni dove sta? Io voglio leggere i nomi di chi pagava in pieno centro di Milano un affito mensile inferiore a quanto paga uno studente fuori sede per una singola stanza puzzolente nella periferia romana! Possibile che nessuna delle conventicole sia così pulita da poter additare alle altre questa ennesima clamorosa sporcizia?
È che in fondo la miseria dell'egoismo diffuso - accentuata anche dal pessimo uso che si fa delle attuali straordinarie tecnologie - consente a tutti di pensare ancor di più al proprio misero cortiletto, infischiandosene del vicino. Ci si mette lì a blaterare tanto dei propri diritti, senza immaginare però che vanno anche praticati, giorno dopo giorno.
Meglio aspettare la prossima anestesia: almeno mi illuderò per un misero istante di potermi poi risvegliare in un mondo migliore.

11 febbraio 2011

il "buon senso" di Severgnini contro il matrimonio gay

Se uno scrive una mostruosità come quella che segue, la rabbia e l'indignazione di una persona perbene salgono vorticosamente su per il sangue insieme al tasso delle transaminasi e del colesterolo. Leggete questa bofonchiante scemenza di cui riporto il passaggio nodale
Non sono favorevole all'adozione e, prima ancora, al matrimonio [tra gay, ndr], che è per definizione l'unione di un uomo e di una donna. Non accetta il mio argomento? Provi a seguirmi. Perché, allora, il matrimonio non può essere fra tre persone? O fra quattro? O fra tre uomini, due donne e un avatar? Se la sua risposta fosse «Eh no, bisogna essere in due!», vuol dire che anche per lei esiste una definizione di matrimonio, basata su una categoria: il numero. Per me ce n'è un'altra: la differenza di sesso. Non lo chiede solo la religione cattolica; lo suggeriscono il buon senso, la storia e la natura (che punta, implacabile, alla procreazione e alla conservazione della specie).
Qui non si tratta di un'opinione, ma di una gravissima affermazione, che se fosse stata anche e solo enunciata in un qualsiasi altro paese civile, sarebbe stata passibile - legittimamente e doverosamente - almeno di una multa per discriminazione (del resto anche l'articolo 3 della Costituzione Italiana "sarebbe" ben chiaro in tal senso).
Scrivere, cioè, che il "buon senso" suggerisce un'automatica e implicita obiezione contro il matrimonio tra gay, dà adito a così tante pericolose interpretazioni, che solo ad un irresponsabile poteva venire in mente di scriverla con cotanta superficialità... forse che forse perché sa perfettamente che in Italia le conventicole incrociate non lo biasimerebbero mai? Boh!
Fatto sta che ho avuto la pessima idea di scrivere al nostro capriccioso bambino quanto segue:

Gentile Severgnini,
non ho mai provato simpatia per il terzismo perché tutt'altro che sintomo di moderazione - semmai di opportunismo del momento. Però non ho mai trovato serio mettermi lì a perdere tempo con Lei per motivare questo mio fastidio: ognuno è quello che vuole essere; l'importante è che certi difetti rientrino nei limiti della norma.
Ma se questa sua equidistanza - di comodo, e non di sostanza - va a toccare certi argomenti, è meglio o stare zitti o pensare veramente a quello che si sta dicendo.
Ho letto la sua risposta contro i matrimoni gay: una risposta omofobica, diciamola tutta. E non mi tiri fuori che ha amici gay o sciocchezze simili, perché - e appunto - la sua risposta pseudomoderata e terzista nasconde malamente una mentalità che di fronte al fatto concreto trasforma i "sì, ma..." del terzismo in un bel "no" di stampo ottuso e clericale.
Tra le tante assurdità, Lei dice che in primis sarebbe il buon senso a suggerire che un matrimonio debba essere solamente tra due persone di sesso opposto! IL BUON SENSO?!?
E chi stabilisce i limiti del buon senso? LEI?!?
Mi creda: tra questa sua omofobia al cashmere e quella di un bulletto che spranga i "froci", preferisco il secondo: almeno non ammanta la sua pochezza con frasette salottiere e di circostanza.
Dimenticavo: non sono gay, e non me ne frega nulla di esserlo. So solo che quando leggo risposte vacue e oscurantiste come la sua, ho davanti agli occhi la sofferenza dei gay che conosco, costretti a vivere in una società in cui anche un "intellettuale" (o presunto tale) si manifesta così cattivo nei loro confronti.
Neanche posso urlare "si vergogni!" perché in Italia il sentimento della vergogna è un lusso che hanno in pochi.
Buona giornata,
Ovviamente il Severgnini non ha replicato direttamente, ma indirettamente scrivendo:
Ciao Michele. Ciao Alessandro [non sono io, ndr]. Moltissime lettere sul tema. Molti commenti anche su Twitter. Alcuni gentili, altri meno. Trovo assurdo, per esempio, l'appellativo "omofobo": so di non meritarmelo e lo sapete anche voi. So anche che gli omosessuali sono un gruppo di pressione molto forte e organizzato, in tutto il mondo occidentale. Ma poiché contiene molte persone intelligenti, spero che non voglia provare a tapparmi la bocca. Ho solo espresso educatamente un'opinione. Ho detto che le coppie omosessuali vanno riconosciute e protette dalla legge; ma non sono favorevole al matrimonio e all'adozione di bambini. E ho spiegato perché. Una posizione, la mia, non distante da quella di tanti liberali americani. Farmi passare come un bieco, spietato conservatore - qualcuno ci ha provato - mi sembra profondamente sleale.
Dunque, Severgnini non recede neanche di un millimetro, dimostrandosi ben al di sotto delle sue (supposte e presunte) qualità. Insiste e piagnucola, insiste e piagnucola, e si autodefinisce come più gli fa comodo, dimenticandosi che se io dicessi una sciocchezza come la sua, al massimo rimedieri un vaffa dal primo che passa: ma lui, essendo bene in vista, e magari influenzando certe persone, ha il dovere di misurare concetti e parole. Altroché.
Preso da raptus, mi armo di tastiera e schermo e... succede questo:



Curioso (e furbo) che faccia l'offeso, quando è lui ad aver offeso sia la sua (presunta, ormai) intelligenza che una "categoria" di persone - i gay, appunto - che da almeno 5000 anni subiscono porcate di ogni tipo.
La pubblicazione di questo mio scatto d'ira ha comportato parecchie reazioni volgari e minatorie (sul serio, altro che i miei toni). La più civile è stata questa:
Ma basta accusare e sparlare contro chi esprime le sue idee!
Chiunque abbia buonsenso e non si sia fatto prendere la testa dall'anticristianesimo è contro i matrimoni tra gay.
Personalmente non sono credente ma la famiglia è composta da un padre e una madre e dei figli.
Punto.
Se lei ha un parere diverso lo esprima senza insultare, il vero chiuso mentale sembra proprio lei.
Cordiali saluti,
Lorenzo
Le due (e)re(a)zioni si commentano da sole, anche perché mi attribuiscono attitudini (da parte del Severgnini) e mentalità (da parte del signor Lorenzo) che non ho, e che comunque non appaiono neanche lontanamente nel mio testo.
Di una cosa sono certo, e perdonate se mi ripeto: se frasi del genere fossero uscite fuori da una qualsivoglia altra bocca, sarebbe successo un casino che lèvati.
Mi posso consolare giusto con questo post e con questa mail:
Ho letto la sua lettera su Italians e condivido ogni parola! Non sono gay, ma vivo in Danimarca, dove i gay si possono sposare - ne conosco parecchie coppie. La Danimarca è stata il primo paese a legalizzare le unioni gay, e le coppie gay sposare hanno uguali diritti ad adottare figli, proprio come gli eterosessuali.
Tra l'altro mi ero persa la perla di Severgnini sulle unioni gay, grazie per avere scritto. Ogni volta che leggo le 'opinioni' del Corriere mi indigno sempre di più, e la tentazione di cambiare cittadinanza è più forte ogni giorno. In DK un giornalista che scrive una cosa del genere potrebbe essere processato, e sicuramente multato per discriminazione. in ogni caso sto raccogliendo tutte le perle dei vari Ostellino, Polito e Severgnini in materia di donne, trans e gay, e sto preparando un esposto da presentare all'unione europea. Un'eurocandidata danese mi ha dato il riferimento di una parlamentare svedese, a cui mi rivolgerò.
Valeria
update
altro commento civile:
Bravo, hai fatto una figura da somaro con la tua violenza verbale e la tua aggressività. Se non sei gay (ma ci credo poco, vista la passione con cui tratti l'argomento), sei ben strano.
Ti dico una cosa: considero l'omosessualità una anomalia, e sono contraria alle adozioni.
Quindi, secondo il tuo democratico pensiero, poichè mi permetto di pensare così, sono FASCISTA, NAZISTA, CLERICALE. e, ovvio, mai manchi la parolina magica che avete sempre in bocca: OMOFOBA.
Contento?
altra perla:
Tutto va di pari passo, merda in mare, scarichi sotto terra tossici, effetto serra, femminismo del menga dove i maschi fanno i mestieri e le femmine le ministre ma non si può dire, mignotte invece di casalinghe, separazioni femministe dove il maschio va alla caritas, gay che si vogliono sposare e adotttare bambini da madri etero a cui li comprano e cioè si pratica il commercio dei bambini che per me è un crimine!!!
Saluti
Max

18 maggio 2010

chi l'ha scritto?


La “predicazione politica” della Chiesa, dunque, è in larghissima parte centrata sulla morale della vita, della sessualità e del matrimonio e non su virtù – l’onestà, la dedizione, la sincerità, il rispetto, la dignità, il lavoro, l’impegno – che attengono alla dimensione comune della vita e delle relazioni sociali. Se nelle questioni dell’etica pubblica i valori morali, anzi questi specifici valori morali non negoziabili, sono considerati come le vere e indispensabili virtù civili è inevitabile che la “questione antropologica” diventi non solo il principale, ma di fatto l’unico tema qualificante dell’impegno politico dei cattolici. Il risultato è quello di svalutare altre forme di impegno, per cui appare “più cristiano” il politico che si oppone al divorzio breve o al riconoscimento delle unioni gay di chi vive con coerenza di esempio e di testimonianza la propria fede. Sembra diventato più cristiano opporsi ai Pacs che non rubare, non mentire, non mancare ai doveri di giustizia. Da oltre Tevere suscitano più parole di riprovazione e di scandalo i politici che “attentano alla famiglia indissolubile fondata sul matrimonio” di quelli che degradano la vita pubblica fino ai confini - e spesso oltre i confini - del malaffare. Così la Chiesa, ”agenzia morale” per eccellenza nella società italiana, abdica al suo ruolo da protagonista per la crescita di un’etica civile, rispettata e condivisa, volta al bene comune.
[...]
L’occidente libero e liberale ha certo le sue radici culturali e storiche anche nel cristianesimo e nella sua idea di libertà e dignità umana, ma sarebbe storicamente infondato sostenere che quando la società europea si è mossa in direzioni diverse da quelle suggerite e imposte dal Magistero abbia indebolito la propria identità e la propria capacità di coesione e di inclusione. A 150 anni dall’Unità d’Italia, è perfino inutile ricordare che sulle tesi del Sillabo è stata la Chiesa a dovere ricredersi ed emendarsi. Se poi parliamo dell’Occidente libero di oggi – e non di quello delle guerre di religione, dell’inquisizione, della colonizzazione, e della violenza politica totalitaria – penso che esso viva il tempo migliore per la promozione umana e per la libertà cristiana, molto più di quello in cui il “potere” era cristiano e dunque gli individui non erano davvero liberi di esserlo. Per questa libertà e non per la sua immoralità l’Occidente è nel mirino del fanatismo religioso islamista.

Credo che sia fuorviante affermare che divorzio, aborto legale, coppie gay o fecondazione eterologa siano una degenerazione destinata a far perdere di identità, di unità e di forza la società italiana più che l’illegalità diffusa o la mancanza di un sentimento comune di appartenenza civile alla Repubblica, del cui destino siamo tutti artefici.

Nessuna persona libera e ragionevole chiederà mai alla Chiesa, di rinunciare al suo messaggio, alla predicazione, al proselitismo, ma questo uso dei temi bioetici e della morale sessuale possono al più nutrire il neo-confessionalismo politico, non divenire la comune frontiera della moralità civile del Paese.

Peraltro, appare sempre più evidente che la partita dei “valori non negoziabili” si gioca ormai pressoché interamente sul piano politico-legislativo e non su quello pastorale, come se la Chiesa, prendendo atto della sempre più evidente “disobbedienza cristiana” ai principi della morale sessuale e familiare, considerasse necessario ricorrere alla forza cogente della legge per surrogare la scarsa forza persuasiva della predicazione.


Benedetto Della Vedova, uno del Pdl

29 gennaio 2010

a single man

Che Tom Ford sia un figo pazzesco è fuori discussione (come forse direbbe la Soncini). Che sia un uomo baciato dalla fortuna è addirittura riduttivo. Che poi sia anche intelligente e bravo fa quasi morire d'invidia. Eppure le cose stanno così. Punto e basta.
Sono andato a vedere il suo unico/ultimo film A Single Man, e ne sono uscito con due sentimenti letteralmente opposti. Giriamoci un po' intorno, e poi li vedrete sbocciare all'improvviso.
La storia è abbastanza ovvia, e catturata dall'omonimo romanzo che Christopher Isherwood dedicò a Gore Vidal. Devo ammettere che non l'ho letto, ma ho apprezzato altri suoi testi: non ho alcuna difficoltà a dire che ogni tanto Ford riesce a restituire il sapore, lo stile, certe cose impalpabili di Isherwood che proprio perché tali non saprei spiegare meglio se non con frasi sospese e senza senso.
Chi si aspettava una sfilata di moda resterà in parte deluso, ma non perché non ci sia, anzi; semplicemente Ford non ammicca più di tanto. Tutto il film è un continuo rispettare ed esaltare l'estetica, l'eleganza, il saper indossare la vita senza arroganza alcuna.
Certo, Colin Firth è un po' imbolsito, ma riesce benissimo nel personaggio, anche se la sua omosessualità è di maniera; non sentita quindi, ma recitata. Molto più interessante l'insospettabile stile di Matthew Goode (il fidanzato, per intenderci), che lavora molto sul quasi detto, sull'imprecisione, sulla misura.
Voglio dire che generalmente il paradosso di un film è che concentra molto/troppo l'attenzione su tutto. È inevitabile quindi "aspettarsi" qualcosa di preciso quando si presume di conoscere un argomento invece composito come l'omosessualità. E quindi se un attore "scheccheggia" troppo, alla fine fa ridere e diventa stucchevole. I due attori, invece, hanno evitato questo "rischio" antipoetico, e con due strade diverse hanno reso comunque credibili i rispettivi personaggi.
L'ambientazione storica e gli impercettibili cambi di colore e viraggio - a seconda dei contesti narrativi - sono i due aspetti eccellenti dell'operazione (oltre che, permetettemelo, le scarpe, i vestiti e l'incredibile accappatoio che il protagonista indossa durante la sequenza finale).La musica, invece, ammicca troppo a Nyman e Glass.
Il vero problema del film è il ritmo, troppo incoerente e privo di un disegno generale. Sembra più che Ford non abbia girato per 24 frame al secondo, ma per 25. Come se in alcuni momenti avesse titubato nel taglio, lasciandosi andare all'autocompiacimento per cose che poi alla fine erano secondarie.
E mi sfugge come non si sia accorto delle proporzioni di alcune inquadrature: campo con viso a destra, controcampo con viso a sinistra, campo con viso a... sinistra! Roba da pivelli, insomma. Per tacere della sequenza in cui Firth e la semprebbrava Julianne Moore stanno seduti sul divano. La domanda sorge spontanea: quante braccia ha Colin Firth?
Battute a parte, è un film manierato che può essere visto, se non altro per il piacere di gustare la prima ottima mezzora e per godersi poi un po' di sana estetica buttata là con malcelata distrazione.
Unica nota per i nostri omofobici: il film si svolge nel 1962. Ad un certo punto a Colin Firth viene proibita una cosa essenziale, di quelle che non si vietano neanche al proprio nemico. E questo solo perché i due sono gay. Certe cose le possono pensare solo le bestie, ma neanche loro...

16 dicembre 2009

ateismo è libertà

Mi sfugge come sia sfuggito il 10 dicembre scorso il lungo intervento di Vito Mancuso su Repubblica. Scritto a ridosso di un convegno internazionale promosso dal Progetto Culturale della Cei con il patrocinio del Comune di Roma, ripassa la lezione del difficile rapporto che la Chiesa ha con il progresso.
Tra le premesse della lunga prolusione, il compagno di libri di Augias scrive:
La sfida della postmodernità alla fede in Dio non è più l'ateismo materialista. Tale era l'impresa della modernità, caratterizzata dal porre l'assoluto nello stato-partito o nel positivismo scientista, ma questi ideali sono crollati e oggi gli uomini sono sempre più lontani dall'ateismo teoreticamente impegnato. Gli odierni alfieri dell'ateismo vogliono distruggere la religione proprio mentre si connota il presente come "rivincita di Dio", anzi la vogliono distruggere proprio perché ne percepiscono il ritorno, ma i loro stessi libri anti-religiosi, trattando a piene mani di religione, finiscono per alimentare la rivincita di Dio.
Non immaginavo si potessero scrivere tante sciocchezze in così poche righe, credetemi.
Andiamo per brevi punti:
  • confondere l'ateismo materialista tipico del sovietismo con le ragioni di chi non crede in dio, è un'operazione furba e maliziosa, che relega le antiche motivazioni degli atei solo dentro al ristretto fulcro della dittatura stalinista
  • confondere la modernità con l'afflato negativo del sovietismo materialista è un'altra scorrettezza dialettica e storica. Ateismo e stalinismo e modernità si saranno pure incontrati, ma ridurre tutti e tre nella stessa stanza, in spazi storici limitati e limitanti, è addirittura ipocrita
  • a latere: modernità e modernismo (brechtianamente parlando) sono due cose diverse. La confusione di Mancuso è sinonimo o di povertà di argomenti o di scorrettezza in nuce, voluta e ricercata (e quindi dialetticamente o giornalisticamente immorale, fate voi)
  • l'"ateismo teoricamente impegnato" NON è l'ateismo vero e proprio che il signor Mancuso butta in caciara alla grande. L'ateismo se è "impegnato" non può essere ateismo, perché l'ateo non si impegna ad imporre niente a nessuno, e vuole/pretende/ha-diritto che anche le religioni facciano lo stesso (cioè che non entrino nelle nostre case a giudicarci di continuo)
  • "Impegnarsi" significherebbe, insomma, il voler stabilire dei parametri di idoneità e priorità morale che l'ateo non può praticare: sconfesserebbe il suo non voler vivere sotto credenze (o non credenze) e di conseguenza il suo non volerle imporre
  • "Gli odierni alfieri dell'ateismo" NON vogliono "distruggere la religione", caro il nostro Mancuso. La religione è cosa nobile e rispettabile: il cattolicesimo, invece, è un'ipocrisia che di religioso ha ben poco, anzi (e di popoli ne ha distrutti, haivoglia)
  • e comunque l'ateo non vuole neanche "distruggere" il cattolicesimo. Riportiamo l'Italia ai tempi sociali di Federico II, e Mancuso vedrà come sia possibile una civile convivenza tra le varie religioni, e anche con atei, sufisti e agnostici. L'ateismo è una scelta privata come privata dovrebbe essere la scelta religiosa. Solo che i religiosi s'impongono al mondo; gli atei non fanno nient'altro che difendere i propri spazi (peraltro in ordine sparso e senza fare i furbetti con l'otto per mille dei cittadini)
  • questa religione cattolica non è certo la "rivincita di dio", anzi: la chiesa è in crisi, il Vaticano è in crisi. Non solo per questioni pedofile (che sarebbe facile tirare in ballo), ma per un'incongruenza visibilissima tra ciò che esiste e ciò che dovrebbe esistere: in mezzo c'è un papa troppo dotto per capire la quotidianità, troppo chiuso per saperla interpretare, troppo arrogante per capire che sarebbe ora di dare spazio alle diversità (non solo quelle omosessuali, s'intende)
  • e se Mancuso vuole vedere invece tra i soli credenti la presunta "rivincita di dio", sbaglia della grossa: politicamente, eticamente e geopoliticamente i paesi con il più alto tasso di credenti dichiarati, sono anche i più retrogadi scientificamente, socialmente e legislativamente... e poco attenti alla moralità (vere e necessarie, s'intende) dei propri governanti
  • gli atei vorrebbero "distruggere la rivincita di dio" proprio perché ne percepiscono il ritorno? E quando mai! L'ateo spera anche nella spiritualità e nella religione, perché l'ateismo è una forma di sperimentazione continua, di viaggiare infinito, di porsi continuamente dubbi, di approfondire ogni singolo atomo delle cose esistenti e di quelle che potranno esistere. Più religiosità c'è nel mondo, e più sarà possibile frequentare i cuori e le menti di chi non conosciamo; più invece i granitici monoteismi continueranno la loro strada verso l'arroganza e la protervia, e con più facilità la povertà spirituale spargerà il proprio sale tra le menti delle persone
  • i "libri anti-religiosi, trattando a piene mani di religione, finiscono per alimentare la rivincita di dio"?!? Vorrei scomodare Bombolo, se premettete (tanto è la profondità dell'argomentare di Mancuso): se mi documento me meni, se non mi documento mi meni; allora menami e la facciamo finita. La prima sciocchezza che mi dicono le persone quando scoprono che sono ateo è "prima devi leggere la Bibbia; poi dopo puoi dire di essere ateo". Al che ci si chiede se loro l'abbiano già fatto... In realtà a me sembra che i libri usciti in questi anni non abbiamo mai attaccato la religione ma gli abusi e l'arroganza del Vaticano (c'è un libretto sui rapporti tra Mafia e chiesa, tra Nazismo e chiesa, tra speculazioni finanziarie (e non solo) e chiesa, tra Berlusconi e chiesa). La domanda è: dov'è l'"attacco" alla religione? Dov'è la "rivincita di dio"? Eppoi: quantunque e qualora fossero veri i deliri di Mancuso, se dio è forte, se una religione è forte, se i suoi credenti sono forti, perché scomodarsi a denunciare un attacco che non potrebbe sortire effetto alcuno? 
  • al di là di queste considerazioni, Mancuso crede che parlare di qualcosa significhi attribuirle una "rivincita"? E allora gli ebrei che parlano della Shoah fanno "rivincere" Hitler? Ma che razza di argomentazioni di partenza usa, signor Mancuso?
Il resto del testo lo trovate qui. Vivaddio (è il caso di dirlo) ci sono meno fesserie di queste di partenza. Ma se questa è la profondità delle persone che devono parlare di fede e ateismo, siamo veramente messi male. Certo, c'è il citato equivoco che per farlo bisogna esserne competenti. Due allora sono le considerazioni: Mancuso non conosce l'"altra sponda"; l'"altra sponda" sa perfettamente che la stretta competenza, il teologismo bibliotecario, la polverosità della dottrina, non hanno lo stesso sapore delle strade e delle genti.
A volte le istruzioni pr l'uso della spiritualità sono così strumentalmente complesse e complicate, che viene voglia di ridere in chiesa durante la funzione.
Ancora una volta Repubblica ha dato fiato a chi poteva dire la sua: avessi scritto io certe cose, o voi, Ezio Mauro ci avrebbe sbattuto la porta in faccia.
E se dio esistesse, in questo preciso istante farebbe saltare la corrente per qualche minuto a casa di Vito Mancuso. Così s'impara.

19 maggio 2009

così le SS uccidevano i gay

A morte col triangolo rosa così le SS uccidevano i gay

«Cognome : Herbst. Nome: Otto. Nato: l' 8 luglio 1897. Località: Chemnitz. Lingua: tedesca. Religione: evangelica. Campo di concentramento: Buchenwald. Condotto il 27 maggio 1944 dalla Polizia criminale. Motivo: omosessuale. Precedenti penali:3 volte criminale». Descrizione personale: «Forma: debole. Viso: lungo. Naso: arcuato. Bocca: labbra spesse. Orecchie:a sventola. Dentatura: con buchi». La scheda del detenuto emerge da un dossier polveroso al secondo piano dell' archivio nazista di Bad Arolsen, in Assia. È un certificato di morte. Il segno a matita che ricorda la svastica, e il colore blu scuro apposto a mano che ne segna la data, 24.8.44, attestano il decesso dell' internato. Nemmeno3 mesi dopo essere stato portato nel Lager, Otto Herbst, un uomo di 47 anni del quale non è neanche scritta la professione, muore. L' intestazione del KL, cioè del Konzentrations Lager di Weimar-Buchenwald, riporta burocraticamente solo la firma dell' ispettore, il numero del detenuto (13.305), e il marchio infamante: homos. Omosessuale, stampato su un triangolo con la punta in giù. Sul bavero della sua giacca il simbolo era di colore rosa. I corposi dossier del grande archivio nazista aperto un anno e mezzo faa storicie ricercatori non riportano solo le schede dei deportati accusati di omosessualità. Ci sono anche delle vere e proprie liste. La sezione politica del Lager di Buchenwald il 9 giugno 1944 riporta ad esempio con precisione un lungo elenco di Neuzugaenge, ossia di nuovi arrivi. E più esattamente: «lavoratori civili russi», «internati politici belgi», «senza cittadinanza», «fannulloni» e infine si legge « Homosexuellen». Friedrich-Paul von Groszheim, nato il 27.4.1906 a Lubecca e rinchiuso nel Konzentrations Lager di Neuengamme, deve a un certo punto scegliere fra la castrazione e trasferimento al campo di Sachsenhausen: decide per la prima. Questi documenti sui detenuti accusati di «deviazione sessuale», che escono per la prima volta pubblicamente mentre domani si celebra la Giornata mondiale contro l' omofobia, raccontano una delle pagine più nascoste del regime nazista: la persecuzione contro gli omosessuali. Come raccontava fino a qualche anno fa Pierre Seel, l' ultimo gay sopravvissuto alle atrocità, morto nel 2005 nella nativa Alsazia, «anche all' interno dei Lager c' era una gerarchia, c' erano i più forti e i più deboli: e non c' è dubbio che all' ultimo gradino, in fondo, stessero gli omosessuali». Le «deviazioni» di carattere personale furono una delle fissazioni di Adolf Hitler. La maggior parte dei tedeschi non conosceva il famigerato «Paragrafo 175», la legge antisodomia stilata nel 1871, che prevedeva incriminazioni e arresti. Il regime però si propose di ripulire il Paese dall' omosessualità e la ripristinò. Finirono in carcere quasi 100 mila persone. Oggi, le liste dell' archivio nazista ci dicono che furono tra le 10 e le 15 mila a essere inviate nei campi di concentramento. Non erano ebrei. La religione in questo caso non contava. In maggioranza erano, come mostra la scheda citata sopra riguardante un cittadino di religione evangelica, cristiani cattolici. Un dirigente delle SS, Ernst Roehm, vicinissimo al nuovo leader, era noto a tutti come omosessuale. Molti pensarono che non gli sarebbe successo niente. Ma pure Roehm venne eliminato l' anno dopo, durante la cosiddetta «purga di sangue», la ' Notte dei lunghi coltelli' del 30 giugno 1944. Per il reato di omosessualità la Gestapo creò un settore speciale. Mentre l' omosessualità femminile veniva considerata una deviazione temporanea curabile, quindi non una minaccia, quella maschile fu ritenuta invece una malattia infettiva capace di minare le basi della gioventù tedesca. L' archivio di Bad Arolsen lo dimostra: sono solo 5 i casi di lesbiche inviate nei Lager; ma decine di migliaia furono i gay. Nel toccante documentario chiamato proprio «Paragrafo 175», Orso d' oro a Berlino nel 2000 e miglior filmato al Sundance festival, raccontava un sopravvissuto, Heinz Doermer: «C' era un posto vicino a un Lager, chiamato ' il bosco che canta' . Là veniva la pelle d' oca a tutti. Quelli che erano in attesa di sentenza erano legati a dei pali in modo che i loro piedi non toccassero terra. Gli ebrei venivano fatti girare su sé stessi. Le urla e i lamenti erano disumani. Questo era il bosco che canta. Tutto ciò non si può spiegare: va oltre la comprensione umana. E molto di ciò che accadeva è ancora segreto». - MARCO ANSALDO BAD AROLSEN

05 dicembre 2008

Luxuria è

Caro Ale,
come sai ho sempre pensato che hai un cervello fuori dal comune, ho sempre apprezzato ciò che dici e ciò che fai anche se non sempre le nostre visioni coincidono e ho un enorme rispetto e gratitudine per la tua lotta contro le discriminazioni, quelle verso i gay in particolare. Lotte che molti gay neanche si sognano di fare e cui tu invece, etero, dedichi tempo ed energie.
Ma stavolta mi sembra che chi non abbia colto il senso della vittoria di Vladimir e i salti di gioia dei gay (non solo romani) sia proprio tu.
Da sempre contro certo tipo di tv, lo dici tu stesso che sei partito prevenuto, non apprezzando il fatto che un ex parlamentare si sia prestato ad un simile spettacolo.
Ma non dimentichiamo che Vladimir è dal mondo dello spettacolo che proviene; avresti dovuto opporti allora anche alla sua scesa in campo politico. Ma anche allora ti avrei ricordato che Vladimir a suo modo aveva già fatto politica, in anni e anni di movimento gay. Il fatto è che se uniti in modo intelligente, politica e spettacolo possono andare d'accordo.
Ricordo ancora, ad un Pride di tanti anni fa, il discorso più forte dal palco: era di Vladimir e indossava un vestito da torta con tanto di candeline! D'altronde anche il Pride, cui tu hai partecipato più volte, unisce l'anima della festa a quella della rivendicazione politica.
Tornando a Vladimir e all'esultanza dei gay per la sua vittoria, posso assicurarti che il popolo GLBT tutto non si è mai sognato di vedere finalmente terminate le varie forme di discriminazione cui è soggetto con la vittoria in uno show tv.
Se realmente credi questo, ci fai veramente stupidi.
Esultiamo non perché una transgender abbia vinto, ma perché una transgender che ha sempre lottato con noi ha vinto. E Vladimir ha continuato a "fare politica" anche all'interno dello show. Ha banalizzato? Certo, ma ha anche reso il transgenderismo (e in generale l'omosessualità) più "normale", avvicinando forse il favore della gente comune ad un personaggio atipico come Vladimir.
Nota bene, ho detto "personaggio" e non "persona": il gay vicino di casa magari rimarrà sempre il "frocione del secondo piano", perché quello non è uno della tv, quello rimane il depravato che è, quello contro cui Ratzy continua ad inveire.
O magari invece no, mi sbaglio, e la signora quando lo incontrerà in ascensore gli farà pure i complimenti per la vittoria di Vladimir (è successo).
È vero, certa tv è pessima e omologa e banalizza tutto. Ma combatterla così com'è è impossibile, credo. La mia idea è invece che la si possa adattare ai propri scopi e renderla più "intelligente" o più "utile" lavorandoci dal'interno.
È quello che ad esempio fa "Blob", programma a te vicino, da anni: fa denuncia, satira e politica utilizzando nient'altro che la stessa tv. Non dico che Vladimir abbia raggiunto i livelli di Blob, per carità. Però qualcosa ha fatto, se tanta gente per la strada ne parla e sempre in toni entusiasti. E non credo sia un caso ad esempio che l'altra sera su RaiDue abbiano dato "Transamerica".
Il problema, Alessandro mio, non siamo noi gay che siamo contenti che una transgender dichiarata (è la prima volta) abbia vinto un programma tv, ma al contrario i politici che il giorno dopo l'hanno chiamata per presentarla alle elezioni europee. Quello sì che è avvilente e che dà un quadro squallido della politica italiana.
Un'ultima osservazione: tu dici "personalmente non vedo alcuna differenza tra te e me, perché a me quello che fai dentro la camera da letto m'interessa nulla, niente, non mi riguarda. A me interessa la tua probità, la tua correttezza, il tuo senso civico. Se ci dovessimo mettere lì a stabilire le qualità di una persona in base alle sue scelte sessuali, saremmo veramente messi male"
Bellissime parole. Ma sono i pochi a pensarla così.
I problemi dei gay sono dovuti proprio al fatto che la gente dice "gay" e pensa a come e con chi scopi.
Perché credi che fare coming out sia così difficile?
Anche per questo: essere giudicato in base ad una parte così intima di te.
Un abbraccio
Luca

01 dicembre 2008

Luxuria non è gay

Caro Luca,
sono rimasto profondamente stupito ed amareggiato nel constatare che la comunità gay romana abbia applaudito pressoché all'unisono la vittoria di Luxuria all'Isola dei Famosi.
Già il fatto che un ex parlamentare si sia prestato a una simile amenità la dice lunga su come vengano intese le istituzioni dagli italiani. Certo, dall'altra parte abbiamo i cucù di Berlusconi o il silenziosismo degli ultimi assenti presidenti della Repubblica.
Ma il vero e unico problema riguarda il vostro intendere (male, malissimo) l'oscura potenza del mezzo televisivo.
La tivù banalizza, de facto. Qualsiasi problema/bellezza espressi dal mezzo televisivo addormentano la sensibilità di chi assiste. Qualsiasi oggetto inquadrato rientrerà nella banalità del quotidiano e perderà di potenza e di valore.
Ma soprattutto diventa.
E cioè nell'animo dello spettatore quel modo di rappresentare una qualsivoglia forma di realtà diventa quella realtà, e quella realtà viene assunta come LA realtà.
Conosco quintali di omosessuali lontanissimi dal pallettismo di Luxuria, e dubito fortemente che si sentano rappresentati dalla banalizzazione che Luxuria ha dato dell'omosessualità.
Pensate forse che la gente accetterà l'omosessualità dopo questo squallido evento televisivo, o invece si limiterà a quello che la tivvù l'ha fatta diventare?
Per carità, il momento stesso in cui si decide che l'omosessualità vada accettata si fa un bel passone indietro. Io personalmente non vedo alcuna differenza tra te e me, perché a me quello che fai dentro la camera da letto m'interessa nulla, niente, non mi riguarda.
A me interessa la tua probità, la tua correttezza, il tuo senso civico. Se ci dovessimo mettere lì a stabilire le qualità di una persona in base alle sue scelte sessuali, saremmo veramente messi male. Io ho il terrore che si possa usare un metro di giudizio in base alle performance in camera da letto, perché ci ridurremo a un carfagnismo di maniera, o meglio perpetueremmo lo stesso metro di giudizio abusato contro la Carfagna: non ha rigore perché ha fatto i calendari. In realtà il limite della Carfagna è stato l'opposto, così come è opposto quello di Luxuria.
E cioè: è questa l'affermazione dell'omosessualità, oppure ha vinto una persona qualsiasi incidentalmente anche gay?
Io ho la vaga impressione che Luxuria sia stata strumentalizzata, e che voi scioccamente abbiate favorito questa strumentalizzazione nel nome di una fame di affermazione dei vostri diritti frettolosa quanto sciocca.
Obama vi ha insegnato ben poco: lui, sul suo colore della pelle non ci ha mai neanche fatto il furbo. Anzi, come dicono autorevoli osservatori americani per lui quasi era quasi un fastidio, perché avrebbe mascherato le sue qualità reali. Obama è riuscito nella valorosa impresa di evitare totalmente ogni giochetto sulla propria pelle.
In più, ammettiamolo una volta per tutte: Luxuria sapeva che avrebbe vinto, perché il sistema televisivo deve far diventare qualcuno come un qualcosa su cui quietare ogni animo.
Perché non si vedono in giro quegli omosessuali senza lustrini che io e te conosciamo bene? Perché non diventano, perché non sono televisivi.
Ricordo il tuo cinismo in alcune circostanze della nostra breve frequentazione, quando per esempio deridevi il mio non voler risolutamente lavorare per Berlusconi (e per cose più profonde), e non me la sono mai presa, perché ognuno è libero di crearsi i propri confini etici e morali.
Ma questo vostro giocare con l'omosessualità altrui e darle un credito televisivo attraverso chi ha perso ogni credito sociale, mi è sembrata una bassa operazione commerciale, triste perché televisiva, avvilente perché è accaduta.
Ti voglio bene comunque,
Alessandro