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29 agosto 2022

la RECHERCHE di PROUST

Provate ad ascoltare i primi minuti del Titano di Gustav Mahler. Lo so, non c'entra nulla con la Recherche, ma i due incipit si somigliano in maniera prodigiosa, quasi fossero uno la traduzione dell'altro. 
Perché questo è l'inizio voluto da Proust: una sottile, elegantissima, soffusa tensione, che prima si tende, poi si ferma, poi riprende a tirare, poi torna indietro, senza soluzione di continuità. E dura quanto deve durare, forse anche qualcosa in più, perché quando sorseggi un buon tè non ti chiedi quando finirà, ma quali altri sapori riuscirai a gustare prima che l'aridità del freddo spegnerà gli ennetanti languori di quella bevanda.
Poi, ad un certo punto, la Recherche esplode, esattamente come ad un certo punto il Titano di Mahler deflagra.
E il vortice proustiano ti prende alla gola, ti percuote lo sterno, entra nello stomaco, nell'anima, e non ti molla più per almeno mille pagine. Un boato, un flutto, un lampo di luce, un buco nero nell'universo, un sorriso, una penombra, e di nuovo tensione e pause e cadute e ritorni.
Sento dire spesso che non è un libro facile né tantomeno agile. Personalmente, l'ho trovato adattissimo a un pubblico giovane, più di quanto si creda. C'è trama, c'è intreccio, ci sono dubbi, tensioni e una gioventù che cerca se stessa in ogni piccola minuzia.
Purtroppo la pochezza dei nostri insegnanti - e di una certa sinistra boriosa, lo colloca tra le cose "impegnative", "da capire". Invece, il bellissimo testo di Proust è una lunga, lunghissima storia che racchiude tutte le storie, ognuna ricca di tante cose, solari e profonde, oscure e superficiali.
Letta la Recherche potete anche smettere di leggere qualsiasi altro romanzo, perché li ha preceduti tutti, li prevede tutti, li contiene tutti.
E già, la magia di Proust si percepisce anche nel suo saper incastonare altre storie nella trama principale: storie avvincenti, leggere, spesso divertenti, a volte inutilmente pettegole.
E dirò un'eresia: che con le sontuose analisi psicologiche, i meravigliosi aforismi, le dettagliate descrizioni del genere umano, quelli dei Baci Perugina ci camperebbero cent'anni.
Personalmente, ho amato il primo volume (Dalla parte di Swann con il corollario sulla sua storia d'amore con Odette), il secondo (All'ombra delle fanciulle in fiore), poi il quinto (La prigioniera, quasi tutto), il sesto (La fuggitiva, le cui prime due parti sono meravigliose), il settimo e ultimo (Il tempo ritrovato, da brividi).
Confesso che I Guermantes e Sodoma e Gomorra mi hanno colpito pochissimo. Non lo dirò in giro.
Ho bevuto la Recherche nella traduzione di Giovanni Raboni, eccellente poeta di cui si parla sempre poco. Esiste anche una celebre versione Einaudi in cui ogni libro è tradotto da un nome di spicco diverso.
Ripeto ai giovani: leggetelo adesso!

27 marzo 2008

ta ta ta tà
tta taaaaaa (il libro di Clapton)

Ci sono artisti cui vuon bene d'istinto, anche quando non li frequenti o non ami totalmente quello che fanno. Uno di questi è Eric Clapton. Che poi, per la sua tecnica apparentemente immediata, mi sono sempre allenato seguendo le sue parti soliste: poche note, ma di quelle giuste; magari non sempre innovative, ma comunque intriganti e che si fanno ascoltare.
Ricordo quando una volta, seguendo l'amico Pennacchini (già cantante dei romanissimi Occhei Pears) sulle note della Cocaine di J. J. Cale, gli sparai la tipica claptonata copiata da un live. In maniera così precisa che ne restai impressionato anch'io, tanto che subito dopo il plettro mi cadde nel foro della cassa acustica della mia Alhambra.
Clapton ha suonato con tutti, tranne che con Miles Davis: fatevi venire in mente un nome di un qualsiasi musicista dagli anni '60 fino a ieri, e lui c'ha suonato (Hendrix, Joplin, Rolling Stones, Dylan, Roger Waters, Yvonne Ellimann...). E ha pure composto materiale veramente immortale, di quelli che canticchi senza magari neanche sapere da dove venga. Del resto, in quel del mio viaggio in Belgio vi proposi un video amatoriale in cui un vecchietto senza età suonava una Layla da paura.
In questi giorni Slowhand ha pubblicato la sua autobiografia. Io le leggo sempre le autobiografie. Non lo so perché lo faccio, ma è il genere che amo di più insieme ai diari e alle lettere. Che magari son sparsi di pagine inutili e ridondanti. Ma è come far parte di nuove famiglie, senza l'onere della quotidianità o l'impegno di un sorriso alle 11 di sera quando sei stanco.
Intendiamoci, Clapton non è Proust (altrimenti Sunshine of your love tramonterebbe dopo due mesi), però è onesto, lineare, limpido, semplice e con un spirito (auto)critico molto acuto ma mai autocommiserativo.
Una lettura piacevole, insomma, che ci fa vedere un mondo - quello musicale di quel periodo - che purtroppo non c'è più, e una spiritualità che vorremmo incontrare più spesso.



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