Narra la leggenda che nei credit di Trio figuri anche Bill Bruford nonostante non vi abbia suonato, proprio perché Robert Fripp gli riconobbe l'idea di non aver mosso percussione alcuna. Che sia vero o no, è tipicamente da Robert Fripp, e non solo sul piano della mera provocazione tipicamente british.
Fatto sta che passare da questa sorniona visione artistica (del 1974) al tirar fuori ben tre batterie (in questo 2016), ne passa.
A livello emotivo, il concerto di Roma ha smosso il freddo calcolatore che è in me: non nascondo che ascoltando cose come The Letters (una delle mie preferite insieme a Book of Saturday, purtroppo e invece non eseguita) o Epitaph, il mio cuore si è commosso all'inverosimile, solcando qualche lacrimuccia nella guancia ormai cinquantenne.
Però bisogna anche avere il coraggio di astrarsi, di uscire fuori da se stessi: splendidi tecnicismi, impressionanti controtempi su controtempi, ma troppi tom e troppe casse gratuite.
Mia moglie ed io avevamo due posti eccellenti, ma Mel Collins ce lo siamo persi spesso e volentieri... per tacer dei (rari, stranamente) solismi di Fripp, umiliati da fracassoni rullanti.
Per carità: Vroom riletta tipo Peter Gunn Theme ha avuto un suo fascino; Schizoid Man interrotta da un drum solo di quasi dieci minuti, è già diventato un mo(nu)mento di rara eternità; Talking Drum sembrava uscita due giorni fa... però c'è qualcosa che non torna in questa operazione.
Fripp mi ha insegnato - ci ha insegnato - a lavorare per sottrazione. Ricordiamo cose tipo Islands: la Les Paul del nostro idolo quasi non si sente. Ricordiamo The Night Watch: Fripp esegue un solo di rara nitidezza senza "petrucciare" mai. Ogni brano dei King Crimson, insomma, è sempre stato caratterizzato dall'incantevole incontro tra grazia e matematica, tra calcolo e improvvisazione, tra algoritmo e pause. Sottrazione, sottrazione, sottrazione.
Nel concerto di Roma, invece, si è persa totalmente questa attitudine, questo sapore, questa lezione di vita (come l'ha definita anche Bollani, presentando proprio Fripp e Zappa come suoi unici esempi di come ci si debba avvicinare alla composizione).
Qualcuno potrebbe farmi notare come nel dvd Radical Action to Unseat the Hold of Monkey Mind che racconta questo Elements Tour non ci siano gli echi della pessima acustica della Conciliazione, e che si possono apprezzare serenamente le tre batterie.
Ma non mi basta, e non posso accettare di dover ragionare con questi distinguo: quelle tre batterie sono diventate troppe. Una scelta artistica che francamente non riesco proprio a comprendere.
È vero, i King Crimson degli anni '90 ne avevano due: ma una era di Bill Bruford, delicato e perfetto come pochi. È vero anche che il Miles Davis elettrico di batteristi ne usò addirittura tre: ma erano misurati e ben calibrati.
Qui abbiamo avuto: Pat Mastellotto, che da sempre picchia troppo e senza fantasia; Gavin Harrison - anche direttore musicale - che ha usato il rullante come la carta sulla lingua; Jeremy Stacey, che notoriamente ha un'eccellente anima jazz, soffocata però dai due comprimari.
Tra le curiosità: girava voce che non avremmo mai ascoltato qualcosa del primo periodo con Adrian Belew. Leggenda vuole infatti, che lui e Fripp abbiano litigato di brutto. E proprio mentre mi stavo rassegnando a subire la censura sul trittico degli anni '80, parte Indiscipline in una mirabile versione "lirica 2.0"... le cui parole, guarda caso, non sono di Adrian, ma della moglie, Margaret.
Una volta, quando Fripp si ritirò temporaneamente dalle scene, scrissi che era finita un'èra. Ma non l'era del prog, cui solo gli ignoranti assimilano i King Crimson; semmai era finita l'èra della musica rispettosa di se stessa.
Sabato sera, i King Crimson hanno rispettato il passato, hanno dimostrato che ha ancora molto da dire, che è "attuale" e originale all'inverosimile... ma hanno dimenticato la musica.
Tornando al me romanticone, invece, questo è stato l'ultimo concerto rock cui ho assistito. Mi piace averlo fatto insieme ai miei amici di sempre.
La scaletta
Tuning Up
Larks’ Tongues in Aspic (Part I)
Pictures of a City
Cirkus
The Letters
Sailor’s Tale
Epitaph
Hell Hounds of Krim
Easy Money
Vroom
Peace: An End
Fairy Dust
Meltdown
The Talking Drum
Larks’ Tongues in Aspic (Part II)
----
Magic Sprinkles
Lizard
Indiscipline
The Court of the Crimson King
Red
The ConstruKction of Light
A Scarcity of Miracles
Radical Action II
Level 5
Starless
----
Devil Dogs of Tessellation Row
21st Century Schizoid Man
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14 novembre 2016
The elements of King Crimson tour 2016 - Il concerto di Roma
20 gennaio 2015
King Crimson "Live At The Orpheum", una recensione contrastante
Fatto sta che le motivazioni del suo ex ritiro (un'apocalittica causa contro una major musicale), secondo me malcelavano anche una sorta di consapevolezza che le idee ormai erano venute meno... addirittura sin dai tempi dell'ep Vroom (1994), prodromo del grossolano THRAK (1995), da cui avrei salvato solo Dinosaur, noto j'accuse contro chi ha forzatamente catalogato come progressive la musica e la filosofia dei King Crimson (anche se qualcuno non l'ha mai capito).
Ebbene, neanche il tempo di piangere tali dichiarazioni, che a metà del 2013 scopriamo che i King Crimson sono tornati. Va detto che ci sono state delle formazioni interlocutorie prima di quella che andiamo a leggere. Però non vi voglio tediare.
Ben tre batteristi davanti agli altri musicisti: Gavin Harrison - già coi Porcupine Tree; Bill Rieflin - ex R.E.M., ma anche sperimentatore appassionato; Pat Mastelotto - banale rockettaro dell'ultimo ventennio frippiano (più pesante e prevedibile dell'Alan White degli Yes; il che è tutto dire).
Dietro questa messe di rullanti, tom, piatti e grancasse, troviamo: il fidato Tony Levin (basso e stick), l'affidabile Mel Collins (ance e ottoni), l'incompleto Jakko Jakszyk (voce e chitarra), e ovviamente il nostro Robert Fripp.
La prima cosa che balza all'occhio è la nuova grafica: molto tavola periodica, molto Breaking Bad (!), ma anche indizio di una lettura frippiana di questa nuova line-up. Sembra quasi voler dire: questa formazione rappresenta la base alchemica di tutto ciò che ho creduto fossero i King Crimson, gli elementi basilari della chimica creativa di questi otto lustri di grandissima musica.
Lettura forzata, lo so. Ma mi piace raccontarla così.
La seconda è il repertorio proposto in questo Live At The Orpheum: One More Red Nightmare e Starless (da Red - 1974, ultimo lavoro del secondo periodo crimsoniano), The ConstruKction of Light (dall'opera omonima - 2000, penultima del penultimo periodo crimsoniano), The Letters e Sailor's Tale (da Islands - 1971, ultimo lavoro dal primo periodo crimsoniano, anche se in molti la considerano un'opera a parte).
Da tutto il vastissimo repertorio, insomma, Fripp è andato a sfrugugliare titoli da seconda linea, quasi per addetti ai lavori. A parte Starless, insomma, siamo di fronte a materiale rischiosissimo, per almeno due motivi: poteva sembrare "datato", merita un'accuratezza tecnica decisamente probante. The Letters, poi, è quella che più esige un approccio filologico.
Eppure, e alla fine, le cose sono andate bene. Con un paio di "però" che vanno raccontati.
Il primo è che le tre batterie lavorano troppo all'unisono, perdendo la sacra opportunità di lavorare sui contrappunti (come capitò al duo Bruford-Mastellotto, per esempio). Giusto su Starless ci scappa qualcosa, ma per il resto non si percepisce (nel senso letterale del termine) alcun lavoro di completamento e/o di provocazione.
Il secondo "però" è la voce di Jakszyk: pura acqua cheta. Già nel progetto Scarcity Of Miracles si capiva che il tipo non si attagliava col crimsonismo. Qui, poi, siamo addirittura caduti nel suicidio ricercato, accidenti!
Però, signore e signori, che meraviglia di modernità: tutte le canzoni sembrano composte due minuti fa. In alcuni momenti si arriva a un riuscitissimo connubio tra la "serialità metal" di Fripp e certe idee jazz raffinatissime (questa versione di The ConstruKction non avrebbe sfigurato in una qualsiasi edizione di Umbria Jazz, per dire).
Mel Collins è in raro stato di grazia, Tony Levin gioca con tutti (tranne che con le tre batterie, per fortuna) sbagliandomi pure un passaggio nodale su Starless (ma va bene così), Fripp è sempre più essenziale.
È, insomma, un signor cd che finisce troppo presto e che lascia intravedere una voglia di scommettere su qualcosa. Paradossalmente, spero si evolva in un progetto di cover piuttosto che di inediti. Staremo a vedere.
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