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01 aprile 2011

Peter Bogdanovich


Tra i più grandi narratori di cinema, ricordo Peter Bogdanovich, che incidentalmente è anche regista, ma che con le sue interviste ha saputo veramente raccontare il cinema, in ogni sua possibile forma e sostanza. Purtroppo un paio dei migliori libri che abbia mai scritto, sono pressoché introvabili (la casa editrice Pratiche credo sia addirittura fallita): il primo, Il cinema secondo John Ford, è uno straordinario compendio per conoscere meglio il più grande regista americano di tutti i tempi (o giù di lì). Bogdanovich a volte sembra impacciato, ma gli scambi tra i due sono veramente inarrivabili, e densissimi di tante informazioni addirittura necessarie.
Il secondo, Il cinema secondo Fritz Lang, è forse più abbottonato, ma pregevole sotto l'aspetto storico. Su Lang se ne potrebbero scrivere di cose, eccome: riuscire a farlo sembrare sincero è quasi impossibile; e ogni tanto Bogdanovich ci riesce alla grande.
Tra i libri trovabili con una certa facilità, segnalo l'immenso e ben editato (dalla Baldini e Castoldi) Io, Orson Welles, dove i due sciorinano competenza, arguzia, profondità, aneddoti, consigli, rarità e inediti sul cinema, e non solo sul cinema.
Last but not least gli ultimi due pubblicati da Fandango, accomunati però da un (raro) pregio e un (frequente) difetto: la punteggiatura e la traduzione sono pressoché ottime; il corpus tecnico, invece, fa acqua da tutte le parti: nessun indice ragionato, nessun intervento storico del traduttore, e cose simili. È vero che altrimenti i due testi sarebbero costati tanto, ma credo che chiunque sarebbe disposto a spendere due euro in più di fronte a un'accuratezza assoluta.
I titoli? Il primo, Chi c'è in quel film?, è dedicato ai grandi attori di sempre (Stella Adler, Humphrey Bogart, Marlon Brando, James Cagney, John Cassavetes, Charlie Chaplin, Montgomery Clift, Marlene Dietrich, Henry Fonda, Ben Gazzara, Lillian Gish, Cary Grant, Audrey Hepburn, Boris Karloff, Jack Lemmon, Jerry Lewis, Dean Martin, Sal Mineo, Marilyn Monroe, Anthony Perkins, River Phoenix, Sidney Poitier, Frank Sinatra, James Stuart e John Wayne). Onestamente, in alcuni punti l'ho trovato un po' verboso, quasi faticoso: però la Storia del Cinema c'è tutta, e alcuni momenti addirittura commoventi si alternano sapientemente con altri più tecnici.
Il secondo, Chi ha fatto quel film?, è decisamente un capolavoro, nodale direi. Interviste a tutto tondo con Robert Aldrich, George Cukor, Allan Dwan, Howard Hawks (la più intensa), Alfred Hitchcock, Chuck Jones, Fritz Lang, Joseph H. Lewis, Sidney Lumet, Leo McCarey, Otto Preminger, Don Siegel, Josef von Sternberg (la meno interessante in assoluto), Frank Tashlin, Edgar G. Ulmer, Raoul Walsh.

04 aprile 2010

lo straniero

Niente a che vedere con l'omonimo capolavoro letterario di Camus, Lo Straniero racconta la caccia ad un ex criminale nazista (Orson Welles che ne è anche regista, dopo l'obbligato diniego di John Huston, che comunque ne scrisse anonimamente buona parte della sceneggiatura) che vive nel comodo anonimato di una banale cittadina americana. Aggiusta orologi antichi a tempo perso, ed è sposato con un'ottima Loretta Young, qui sempre sul punto di svenire.
Chi lo scopre è il sempre bravissimo Edward G. Robinson (anche se Welles dirà poi che avrebbe preferito una più convincente "zitella", magari interpretata da Agnes "Endora" Moorehead) che per incastrarlo sottopone alla donna la visione di un documentario sui campi di sterminio. Convinta da tanto scempio, aiuterà i buoni a catturare il marito.
Gran finale con la famosissima sequenza degli orologi, il cui perno fobico tornerà nella scena degli specchi della Signora di Shangai (quella citata anche da Woody Allen, per intenderci), per un'opera che va ricordata soprattutto perché è la prima volta che in un film "commerciale" si vedono le immagini della Shoah (nel 1966, poi, partecipando alle riprese di Parigi brucia?, Welles conoscerà di persona alcuni deportati superstiti).

01 aprile 2008

vincitori e vinti (Richard Widmark e Abby Mann)

C'è un soffuso filo rosso che lega la morte del grande Richard Widmark e la serie televisiva Kojak, ed è Abby Mann, anch'egli morto in questi giorni.
Mann, infatti, è stato l'inventore del poliziottone calvo, e anche Premio Oscar per la sceneggiatura di Vincitori e vinti, film corale e magari deliziosamente sin troppo romanzato sul Processo di Norimberga, in cui Widmark interpretava con passione l'accusa, e dove per la prima volta si parlava della Shoah in un film commerciale (in realtà il primo fu Lo Straniero di Orson Welles, ma ebbe meno eco e fortuna).
Io adoro questi antichi attori americani con rughe autostradali e con il viso impregnato dalla vita. Li adoro perché appartengono a un cinema folle e ben strutturato, anche quando puntava direttamente al commerciale. Un bianco nero che è come il buon vino: più invecchia e più è buono.
Sarò vecchio, ma non credo che quando vedremo tra trent'anni il mio sosia (Giorg Cluny, che domande) o Tom Cruise proveremo lo stesso languore.
So long Widmark, so long Mann.


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