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01 marzo 2016

sbalordirsi con i Dream Theater

Tra i miei "peccati" musicali figurano anche i Dream Theater: adoro quel loro modo così crasso di dimostrarsi superiori al genere umano, con tecniche strabilianti e geometricamente ineccepibili, a volte fredde, spesso calcolate, ma dagli effetti decisamente stupefacenti. 
Certo, non amo la voce patinata di La Brie, con quell'urgenza adolescenziale di terminare la frase prima che finisca il fiato; a pari livello, preferisco la "voce con la patta" di Robert Plant, che invece sapeva di fate e di grotte e di afrore pagano.
Però ho tutti i loro cd, che conservo e ascolto ciclicamente almeno una volta l'anno.
Ebbene, questo loro ultimo lavoro è forse la cosa migliore che abbiano mai fatto; ve lo dice uno che preferisce masticare altri generi. THE ASTONISHING, insomma, dovrebbe essere ascoltato anche da chi non ama il metal progressive o comunque mal digerisce le raffiche di note quasi-gratuite-ma-spettacolari.
È un concept album che 20 anni fa avremmo definito quadruplo LP, ma che oggi possiamo limitarci a misurarlo come doppio CD. 
La storia è molto banana e prevedibile (la trovate riassunta qui); ma è il modo con cui viene narrata che trovo credibile.
Innanzitutto, non soffre della sindrome da quarto lato (tipo The Wall, che alla fine la fa troppo per le lunghe). 
Poi, non ha punti mediocri usati come mero passaggio per altri punti più eccellenti: la struttura è convincente dall'inizio alla fine, ed è godibile e credibile sotto ogni punto di vista.
Quindi, vede tutti i musicisti lavorare insieme per l'"idea": sì, ci sono terrificanti momenti solistici, ma sono coerenti e ben incastonati; non la solita accozzaglia di tecnicismi buttati là.
Infine, si sente che Jordan Rudess ha contribuito all'insieme in maniera quasi determinante: le partiture, cioè, sono tutte ben orchestrate e complete; Petrucci, si sa, tendeva sempre a esagerare pur di mettere in risalto la sua mitragliatrice a forma di chitarra.
È vero, non mancano momenti "simili" ad altri complessi/specialisti: ci sono molte cose in stile Yes, Queen, Jethro Tull, persino Cat Stevens, Pink Floyd e alla Satriani... e anche un chiaro omaggio a Jesus Christ Superstar (e a 007, se vogliamo). 
E poi, a volte trovo fastidioso il missaggio del drumming pustoloso di Mangini. 
Però è un signor lavoro.
E a voi che non amate il genere, soprattutto a voi, ne consiglio caldamente l'acquisto. 

 

06 febbraio 2014

frammenti di Dream Theater

Certo, penserete, questo è matto: ama il jazz, la bella musica, ma poi si spara anche i Dream Theater nelle orecchie. Sarà... ma non ne colgo la differenza. Ufficialmente, il loro si chiama metal progressive; io, affettuosamente (e romanamente) la chiamo musica cafona; anche se dubito che i cafoni sappiano andar oltre l'apparente casino della chitarra di Petrucci e delle tastiere di Rudess.
Eppure, fossi in voi, una capatina dalle loro parti la farei; specie se siete ex/già appassionati di Yes, King Crimson e Queen.
Per lustri, il gruppo ha girato intorno a un batterista prodigioso quale solo sa essere Mike Portnoy; da due uscite discografiche, però, gli è subentrato Mike Mangini. Nella prima (A Dramatic Turn of Events) si sente che pativa cotanta eredità: il suo batterismo è di mestiere (e che mestiere, ovviamente), e molto attento a non strafare.
In questo nuovo lavoro (che, guarda caso, porta il nome del complesso), Mangini dice la sua in maniera veramente interessante, con un'identità e una verve che anche il meno esperto di drumming saprebbe percepire con un superficiale ascolto.
Intendiamoci, Dream Theater non è la migliore opera del complesso (siamo a dodici): sa molto di già sentito, e in più di una circostanza risulta stancante e faticoso. Però è su Mangini che vi consiglierei di concentrarvi, perché fa un lavoro eccellente e probante di rara qualità.
Certo, si capisce quanto Rudess soffra l'assenza di Pornoy (notoriamente tastierista e batterista hanno un'intesa quasi simbiotica), tanto che i suoi solismi sono poco indaginosi e a ridosso delle partiture di Petrucci. Però il gruppo c'è, e potrebbe dire ancora qualcosa.
Se non volete acquistarlo integralmente, vi consiglio di provare la lunga suite Illumination Theory. Per i fan puri è poca cosa (l'incipit ricorda Sheer Heart Attack dei Queen, e il resto si divincola tra Octavarium e Six Degrees of Inner Turbulence), però funziona. 
Specie per i due minuti abbondanti della parte III (quella centrale) dal titolo The Embracing Circle: si apre con effetti synth sovrapposti a un didgeridoo con un leggero delay, e poi...