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16 dicembre 2024

IL CRISTO VIRTUALE: UN INCUBO DIVENTATO REALTÀ

Prima di diventare il papà di Star Wars, George Lucas iniziò la sua carriera con un film autoriale, che il bambino che ero soprannominò “Ritratto di donna pelata” (citavo questo sceneggiato).

Stiamo parlando di THX 1138 (1971), tradotto in italiano con L’uomo che fuggì dal futuro.

È un capolavoro di rara bellezza, ambientato in una distopia peggiore di “1984”, dove le persone non hanno nome, se non codici alfanumerici (da qui il titolo); per rendere il tutto più ansiogeno, sono costrette a vivere calve, a vestire in un anonimo bianco, a lavori automatici e ripetitivi. Private di identità, sessualità, diritti, vivono nell’alienazione totale, senza respiro, senza speranza, senza passato o presente o futuro.

Stranamente, persiste una parvenza di conforto spirituale: un confessionale trasparente che consente di rivolgersi ad un Gesù digitale, ripetitivo e algido (guardate qui).

Una follia del genere non potrebbe mai accadere nella realtà… tranne che a Lucerna, dove l'installazione Deus in Machina permette di confessarsi con un Gesù virtuale

01 novembre 2024

I FUNERALI CHE CELEBRIAMO

Poche settimane fa, un minorenne è morto schiantandosi contro un muro. A indagini ancora in corso, non ha senso aggiungere altro, come purtroppo hanno fatto alcuni giornalisti, pubblicando persino nome e cognome del disgraziato, quando invece è vietato dalla legge (e dalla deontologia).

Io vorrei parlarvi del funerale, con la sottolineata premessa che le mie parole sembreranno spigoli giudicanti. In realtà, l’ho vissuto con commozione e costernazione, perché una vita così giovane non può diventare cenere così presto. Oltretutto, quello che ho visto era “naturale”, vissuto da ogni possibile ceto sociale con la stessa intensa spontaneità.

Ebbene, quasi tutti i numerosissimi presenti si comportavano come fossero in una diretta social, come se si sentissero costantemente inquadrati: espressioni, gesti, movenze, sguardi, lacrime, sembravano sovrapponibili a quelli che vedo sui video che scrollo ogni tanto pigramente.

Addirittura, c’era chi dal pulpito immortalava con lo smartphone la platea, chi dava il tempo per sganciare in cielo i palloncini bianchi o per accendere i fumogeni con i colori della squadra preferita dal povero defunto. Lenzuola sulla cancellata della chiesa scritte con caratteri runici (quindi, fascisticheggianti) da parte di famiglie notoriamente si sinistra. Disegni sul marciapiede con relativi selfie di gruppo. Magliette distribuite con sopra scritto il motto preferito dal ragazzo. I giovani genitori, abbagliati dal dolore, hanno fatto un discorso con una sequenza di brevi slogan in stile caption da postare; la madre, addirittura, ha proposto una sorta di call to action cui i giovani amici del povero defunto hanno partecipato con entusiasmo.

Non giudico nulla, per carità; né tantomeno mi interessa far finta di sembrare in linea con questa reale realtà di cui tutti facciamo parte, inconsapevolmente e spontaneamente. Del resto, se un primitivo avesse visto un funerale del Medioevo avrebbe espresso qualche grugnito di disappunto.

Il nodo è che la cultura del nostro microquotidiano è ormai così intrisa di queste nuove contaminazioni, così appiccicate ma ancora così poco comprese, che una semplice preghiera, una lacrima nascosta, una citazione poetica, sarebbero sembrate rivoluzionarie… anche per me

24 gennaio 2022

I PERFEZIONISTI di Simon Winchester (Hoepli)

Simon Winchester è un autore conosciuto anche dai lettori Adelphi, perché ne rappresenta appieno quell'afflato di bibliotechismo senza confini che tanto caratterizza la creatura del compianto Calasso: basta leggere i suoi "Atlantico" o "Il professore e il pazzo" per rendersene conto.
In questo caso, invece, è stato ospitato dalla prestigiosa Hoepli (quella del "Primo avviamento alla conoscenza della radio" che tanto caratterizzò la mia infanzia), per un motivo implicito, almeno secondo la mia presunzione: questo splendido "I perfezionisti" è molto tecnico, forse troppo. Attenzione: NON è un difetto. Ma se poco poco vi fidate delle mie recensioni, tenete conto che potrebbe avere dei momenti per pochi eletti o comunque per addetti ai lavori. Personalmente, ci sono passato comunque sopra; ma c'è chi, invece, potrebbe restarci impantanato.
Si parla di: John Wilkinson, con il ferro ebbe un rapporto quasi sentimentale; Joseph Bramah, inventore della stilografica, dei bariloni per tenere la birra fresca, dei lucchetti, dei contabanconote; Henry Maudslay, con il suo micrometro arrivò quasi all'accuratezza assoluta; Honoré Blanc, padre del fucile moderno; Joseph Whitworth, introdusse lo standard di misurazione delle viti; Rolss-Royce e Ford, due modi opposti di concepire l'automobile; Frank Whittle, inventore del motore a reazione; Leitz Oskar Barnack, ovvero la Leica, la macchina fotografica più migliore ancora assai; Jim Crocker, "aggiustò" il telescopio Hubble; il GPS; i chip moderni.  
Da leggere più e più volte la prefazione: la differenza tra accuratezza e precisione sono la chiave per comprendere meglio questo libro, ma anche per vivere meglio nel mondo del lavoro e della propria quotidianità.

10 febbraio 2021

LA VALLE OSCURA di Anna Wiener (Adelphi)

Una giovane ragazza con preparazione umanista cerca e trova lavoro in un mondo che nulla a che vedere con la sua attitudine, dove imperano invece ingegneri informatici, carrieristi e sviluppatori, e per ben 306 pagine si lamenta di non trovare empatia, calore umano e parità di genere.
E lo fa con toni lamentosi, autocommiserativi e senza un lampo che fosse uno di curiosità o di accoglienza. Subisce ogni possibile evento - come càpita alla figura dello shlemiel (nitidamente contestualizzata in questo ritaglio del compianto Franco La Polla), senza porsi una domanda iniziale: ma cosa ti aspettavi da questo mondo?
Può anche essere che io stia ragionando per preconcetti, ma mai mi aspetterei da uno sviluppatore rampante e individualista un ragionamento articolato sulla poesia di Rilke. E comunque non lo pretenderei.
Non si capisce, insomma, perché questa personalissima e soggettiva discesa negli inferi di San Francisco - che è più l'inadeguatezza personale di accettare altri mondi, debba essere assoluta e addirittura usata come esempio nobile di denuncia di un sistema. Allora sono molto meglio le durissime parole (ma documentate!) di Shoshana Zuboff.
È vero che stiamo parlando di anni prima rispetto alla ormai diffusa consapevolezza della pericolosità del mondo virtuale, e in fondo quello di Anna Wiener è una sorta di reportage dagli inizi, quando tutto sembrava altro; ma il suo approccio e il battage pubblicitario che l'ha supportata sono decisamente stridenti ed esagerati.
Onestamente, da Adelphi non mi aspettavo un testo simile, così antipatico e infantile, specie dalla collana Fabula, che spesso ospita testi gioiello o comunque da tenere ben stretti.

31 dicembre 2020

L'INNOMINABILE ATTUALE di Roberto Calasso (Adelphi)

Nono pannello di un'opera tutt'ora in corso, questo breve ma entusiasmante saggio di Roberto Calasso andrebbe forse interpretato come capitolo aggiunto (ma indipendente) del primo pannello. Infatti, questo titolo così folgorante, innominabile attuale, compare come riga isolata tra i paragrafi isolati de La rovina di Kasch, quasi come fosse un avviso, una sentenza, un'analisi, un ossimoro, un'incredibile quantità di significati costretta dentro un articolo determinativo, un aggettivo e un sostantivo che quasi lo contrasta.
Già, solo su questo titolo potremmo discettare per ore, tale è la sua capacità di evocare argomenti, pensieri, suggestioni e filosofie, anche indipendenti dalle intenzioni di Calasso stesso. 
Premesso ciò, il saggio è suddiviso in soli tre capitoli, che suggerisco di leggere singolarmente e senza pause, e che qui racconto partendo dall'ultimo.
Il terzo è una chiosa quasi disarmante, racchiusa in due sole pagine, velatamente allusiva a un momento del sesto pannello, quelle Folie Baudelaire che tanto ci avevano portato nella profondità oscura ma non ombrosa del poeta francese. Chiosa che rimanda al presente, all'attuale insomma, innominabile o no che sia. Non posso certo citarne qualcosa, anche per non rovinarvi la sorpresa insita nella sua conclusione.
Il secondo capitolo è un ordinato quanto devastante elenco di eventi collaterali al lento procedere della Seconda Guerra Mondiale, all'annientamento del popolo ebraico, a una serie di rimandi più o meno concettuali a buona parte dei pannelli più teorici di questa opera incredibile di Calasso.
Letto senza fermarsi mai, è un capitolo che elenca la debolezza insita dell'Homo saecularis, ormai ben lontano da quelle nobili suggestioni che avevamo incontrato negli altri testi di Calasso.
Durante la descrizione delle ignominie tedesche, compare già un ipotetico link tra il precedente Cacciatore Celeste e il prossimo Libro di tutti i libri, quando cioè scrive: "I nazisti erano la tardiva rappresaglia del mondo animale verso la specie che ne aveva violato l'ordine; e gli ebrei erano i rappresentanti eletti di quella specie". È un passaggio che resta fermo su se stesso, perché la sospensione narrativa e quella emotiva sono tali che passa quasi inosservato.
Il primo capitolo è folgorante: non c'è paragrafo, riga, parola, spazio, che non siano condivisibili, che non costringano a una lettura-rilettura, sia per la densità che per l'acume con cui viene raccontato questo momento attuale, questa volta decisamente innominabile: "La sensazione più precisa e più acuta, per chi vive in questo momento, è di non sapere ogni giorno dove sta mettendo i piedi. Il terreno è friabile, le linee si sdoppiano, i tessuti si sfilacciano, le prospettive oscillano. Allora si avverte con maggiore evidenza che ci si trova nell'«innominabile attuale»".
E l'idea di come proceda questo mondo non è decisamente un complimento: "È un mondo frantumato anche per gli scienziati. Non ha un suo stile e li usa tutti".
A forzare la mano, un'affermazione del genere fa venire in mente che in una parte consistente della biblioteca adelphiana, la frantumazione - la quantizzazione, insomma - sia una costante editoriale, e non solo della Biblioteca Scientifica. Come se da sempre Calasso abbia sentito e senta l'esigenza di ricomporre questa frantumazione, di darle un senso, un'origine e un significato.
Altro elemento nodale dell'attuale è il terrorismo: "Fondamento del terrore è l'idea che soltanto l'uccisione offra la garanzia del significato. Tutto il resto appare labile, incerto, inadeguato [...] Come ogni pratica sacrificale, il terrorismo islamico si fonda sul significato. E quel significato concatena ad altri significati, tutti convergenti verso lo stesso motivo: l'odio per la società secolare".
Società secolare che "ha una paura tremenda di quella che è stata la sua più grande scoperta: l'alleggerimento, lo svincolarsi dagli obblighi rituali e confessionali. Invece di apprezzare questa situazione sospesa e prenderla come possibile inizio di nuove mosse, si precipita a ingabbiarsi nelle cause, buone o pessime che siano. E quelle cause sono innanzitutto palliativi".
Cause che sono palliativi. Come questa: "I secolaristi si accorsero che non erano soli. E che non occupavano tutto il mondo. Le procedure si applicavano ovunque, ma i secolaristi vivevano solo in una certa parte del pianeta - e neppure la maggior parte. Si sentirono improvvisamente assediati da stranieri, che chiamavano migranti. I quali volevano usare le loro procedure, ma continuavano a guardarli con l'occhio infido di chi si sente altrove".
Non resta che rivolgersi alla religione, alle chiese, alla Chiesa: "Homo saecularis applica precetti di eredità cristiana, ammorbiditi e edulcorati. Soluzione tiepida e pavida, si combina, in senso inverso, con il movimento in corso nella Chiesa stessa, che cerca sempre più di assimilarsi ad un ente assistenziale. Il risultato è che i secolaristi parlano con una compunzione da ecclesiastici e gli ecclesiasti ambiscono a farsi passare da professori di sociologia".
Il pensiero della società secolare, insomma, "è ciò che rimane dopo un processo di svuotamento progressivo, operante da un certo numero di millenni".
Non se la passa bene neanche la democrazia: "Rispetto a tutti gli altri regimi, la democrazia non è un pensiero specifico, ma un insieme di procedure, che si pretendono capaci di accogliere in sé qualsiasi pensiero, eccetto quello che si propone di rovesciare la democrazia stessa. Ed è questo il suo punto vulnerabile, come si dimostrò in Germania nel gennaio 1933 [...] La democrazia formale è senz'altro la più perfetta versione della democrazia, ma anche la più inapplicabile. Soprattutto quanto è stato superato un certo meridiano della Storia e le pressioni demografiche, etniche, psichiche diventano sopraffacenti. Allora risorge la chimera della democrazia diretta. Suo fondamento è l'odio per la mediazione, che facilmente diventa odio per il pensiero in sé, indissolubilmente legato alla mediazione".
L'innominabile attuale è anche (nella) tecnologia: "All'inizio del nuovo millennio, quando si stabilizzò l'impero digitale, divenne chiaro che controllo significava innanzitutto controllo dei dati. E la situazione si rovesciò. Quei dati non venivano più estratti a forza dall'alto, ma spontaneamente offerti dal basso, da innumerevoli individui. Ed erano la materia stessa su cui esercitare il controllo". Chissà se abbiamo capito quello che ho appena trascritto, perché è esattamente quello che andrebbe detto.
Bellissimo l'apologo sugli hacker, che ho citato anche in questa puntata di WikiRadio, andata in onda su Rai Radio3 l'11 novembre 2020: "La traduzione di hacker come «pirata informatico» è imprecisa e sviante perché ignora l’aspetto di operazione sulla forma che è insito nel termine inglese. Hacker è qualcuno che taglia, intacca, e - eventualmente - smonta, ricompone, frantuma una forma. Senza questa azione sulla forma non si dà hacking; la pirateria invece è un puro atto di aggressione e sottrazione […] Ogni software richiede operazioni di codifica universale e onnilaterale, Ogni codifica è una sostituzione. Ma anche la codifica può essere sostituita. E magari da un «codice maligno», come si usa dire nel gergo informatico. È questo il karman della digitalità. Chi di sostituzione ferisce, di sostituzione può facilmente perire".
Potrei scrivere decine e decine di citazioni vere e attuali; ma preferisco congedarmi con quelle due che ci riguardano da vicino, a noi pionieri della tecnologia, ma soprattutto ai ragazzi che sono cresciuti e cresceranno circondati da questo impalpabile attuale: "Un immane sconvolgimento psichico, che nessuno sarebbe in grado di circoscrivere, è stato provocato - e continua ad esserlo - dalla confluenza fra il digitale e il digitabile. Il sapere assume la forma di una singola enciclopedia, in perenne, proliferante espansione e in linea di principio digitabile. Enciclopedia che giustappone informazioni impeccabilmente veritiere e informazioni infondate, ugualmente accessibili e sullo stesso piano. Ciò che è digitabile appartiene a ciò che è famigliare, perché trattabile con affettuosa noncuranza. Il sapere perde prestigio e appare come fatto di voci - nel senso di voci di un'enciclopedia e di voci vaganti, incontrollabili".
L'affondo finale è disarmante (che poi spettacolizzare questa citazione con una premessa simile, conferma il postulato della citazione stessa): "C'è poi un altro aspetto, non meno dissestante, della disponibilità informatica. Chiunque si è trovato a poter produrre, senza alcun vincolo, parole e immagini, virtualmente divulgabili ovunque, per un pubblico illimitato. Tanto è bastato per suscitare un diffuso delirio di onnipotenza, ma non più come fenomeno clinico. Al contrario, come arricchimento della normalità. La mitomania è entrata a far parte del buon senso".


05 agosto 2020

STEVE JOBS NON ABITA PIÙ QUI di Michele Masneri (Adelphi)

Parafrasando un noto titolo di Hrabal, mi viene da dire che Masneri abbia scritto una sorta di "Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare" in versione americana: lì l'editore era Einaudi, qui è una sua costola (Adelphi).
San Francisco, la California tutta, sono nati già miti prim'ancora di diventarlo sul serio - e l'autore presenta un reportage smitizzante senza mai buttarla in caciara; senza, cioè, andare alla ricerca delle ipocrisie e della decadenza, perché in realtà sono già lì alla portata di tutti: basta solo saperle raccontare.
Idiosincrasie, bipolarismi, nevrosi, una contraddittoria corsa verso il futuro ma guardando alla tradizione, molto moltissimo workaholicismo senza requie e pause, un paesaggio a volte amico ma spesso indifferente... un racconto che si beve tutto d'un fiato, alla pigra ricerca di una fine, quando si sa già dall'inizio che il fine dell'autore sta proprio nel non volerla ricercare.
Il periodare di Masneri è molto in linea con quello de ilFoglio, con il quale collabora costruttivamente: a volte inciampa sulla propria sapienza ma poi si sa riprendere immediatamente con quello humor un po' italico e un po' anglosassone che va di moda da qualche lustro.
Mi sono divertito, spesso mi sono fermato a rileggere, a volte sono andato alla ricerca di un punto di riferimento, per poi trovarlo in tutt'altra pagina.
Non è un testo estivo, da spiaggia e sdraio insomma; ma credo che sia un'ottima bussola per chi ama capire la tecnologia e il futuro passando anche per gli ambienti e le menti di chi li sta programmando.  

06 maggio 2020

due libri "tecnologici" editi da Adelphi

Il primo libro sembra meno specialistico dei precedenti, forse più simile a un racconto: Andrew O’Hagan, “La vita segreta (Tre storie vere dell’èra digitale)”, Adelphi. 
Uscito tre anni fa, resta comunque attuale: si parla di Julian Assange, Satoshi Nakamoto (papà dei bitcoin) e Ronnie Pinn, un utente… inesistente.
Comunque la pensiate su certi personaggi, è un agile reportage scritto con quello stile impalpabile ma riconoscibile che rende unica l’elegante casa editrice milanese. Godibile e documentato, ridimensiona la cornice epica delle figure trattate, ma senza cinismo o sciatteria; a giudizio mio insindacabile, il capitolo su Pinn è il più avvincente.
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Gli appassionati di musica conosceranno Ray Kurzweil, ingegnere, pensatore, piccolo grande genio in molti campi della Scienza e dell’Arte.
Classe 1948, tra le tante intuizioni fondò la Xerox, insieme a Stevie Wonder sviluppò un sistema di lettura/scrittura per ciechi, elaborò un sintetizzatore musicale tra i primi a campionare suoni originali (cfr Stevie Wonder in “Talking Book”; Peter Gabriel in “IV” e “So”; Lyle Mays con il Pat Metheny Group…).
Nella sua seconda vita ha proposto una lettura “umanista” della tecnologia, ma non in maniera ascetica o trascendentale: ha ricomposto, cioè, il concetto di Singolarità Tecnologica perché “rappresenterà il culmine della fusione fra il nostro pensiero e la nostra esistenza biologica con la nostra tecnologia, che darà luogo a un mondo ancora umano ma che trascenderà le nostre radici biologiche. Dopo la Singolarità non ci sarà distinzione fra umano e macchina o tra realtà fisica e virtuale”.  
Di questo personaggio - e di molto altro, parla Mark O’Connell, “Essere una macchina”, Adelphi: criogenia, Elon Musk, Steve Wozniak, transumanesimo, Aubrey de Grey.
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No, non sono pagato da Adelphi: è che i due titoli che ho consigliato in queste settimane sono un esempio di come si possano coniugare Umanesimo e Tecnologia, rendendo comprensibili entrambi, pur mantenendone integre complessità e differenze.

28 gennaio 2020

panpsichismo e dintorni in VIVERE CON I ROBOT, SAGGIO SULL'EMPATIA ARTIFICIALE

Di fronte alle ennemila incognite che si sviluppano intorno alle nuove tecnologie, la Filosofia non sta certo a guardare; per esempio, cercando conforto vicino a ricorrenti concezioni trasversali come lo panpsichismo
Che cosa è diventato? Ce lo spiega il giovane filosofo Philip Goff ne La coscienza pervade l'Universo?”, un’intervista rilasciata a Scientific American (qui la traduzione dozzinale in italiano), di cui riporto un breve passaggio: «Nella nostra visione, la coscienza esiste solo nel cervello di organismi altamente evoluti, e quindi la coscienza esiste solo in una piccola parte dell'Universo e solo nella storia molto recente. Secondo lo panpsichismo, al contrario, la coscienza pervade l'Universo ed è una sua caratteristica fondamentale. Ciò non significa che letteralmente tutto sia cosciente. L'impegno di base è che i costituenti fondamentali della realtà - forse elettroni e quark - abbiano forme di esperienza incredibilmente semplici. E l'esperienza molto complessa del cervello umano o animale deriva in qualche modo dall'esperienza delle parti più elementari del cervello […] Attenzione, quando uso la parola coscienza, intendo semplicemente esperienza: piacere, dolore, esperienza visiva o uditiva, eccetera».
E allora: prima o poi esisterà una coscienza dentro o intorno alle Intelligenze Artificiali?
Forzando in parte le intenzioni dei due autori, credo che il seguente saggio possa fornire qualche risposta: “Vivere con i robot. Saggio sull'empatia artificiale” di Paul Dumouchel e Luisa Damilano, Raffaello Cortina Editore.
Già nelle prime pagine, quando cioè vengono introdotti metodo e tesi, scopriamo alcuni concetti che crediamo ovvi ma che si trasformano in ben altro: cosa è veramente un robot? Come mai i robot arrivano a somigliarci, restando però dietro a una sorta di confine psicologico? Che tipo di robot svilupperemo? Quanto e come dovrà essere autonomo il robot del futuro? Cosa è la robotica sociale e perché va studiata? E, per finire, il robot può provare un'emozione?
È un saggio che va oltre il terreno specifico della sociologia, e che in fondo crea timori più strutturati e complessi rispetto alle distopiche speculazioni di Matrix o di Terminator (per semplificare con una reductio comprensibile a chiunque).
Lo sto leggendo e rileggendo più e più volte, e ogni volta scopro degli angoli del nostro Futuro "spaventosi" e affascinanti; anche perché questo tipo di Futuro, perlomeno per come lo racconta il libro, lo stiamo costruendo solo noi.

20 gennaio 2020

gli scenari de IL GIORNO IN CUI TUTTO FINISCE

Le sorti reali della Corona Inglese hanno sempre più il sapore sottilmente distopico della pregevole serie The Crown, tanto che per molti osservatori dopo Elisabetta II si concluderà questa romantica istituzione.
Ma ci sono altri probabili scenari su cui speculare non è solo divertente ma anche necessario per prepararsi al futuro prossimo venturo: appurato che il doping è sempre più subdolo e raffinato, avrà ancora senso combatterlo? È possibile diventare veramente immortali? L’uso massivo degli antibiotici avrà conseguenze disastrose? Cosa accadrà quando non ci saranno più animali negli oceani? Come reagiremo il giorno in cui arriverà un segnale dagli alieni? Ma è poi vero che se la caldera del Parco di Yellowstone dovesse svegliarsi, sarebbero guai seri per tutto il Pianeta?
Sintetizzate in questo modo, sembrano più le domande del Guzzanti di rieduchescional ciannel; ma poste dalla giusta prospettiva, diventano le basi per una seria e approfondita analisi, come quella di Mike Pearl, nota firma di Vice, autore de “Il giorno in cui tutto finisce”, Il Saggiatore.
La tecnica narrativa è scorrevole e intrigante: si apre sempre con uno schema di probabilità (e/o di necessità); si sviluppa con un breve racconto dal futuro ipotizzato; si chiude con una sorta di lucida analisi di tutti gli scenari possibili derivanti dall'ipotesi di partenza.
Va detto che il titolo originale, The Day It Finally Happens, ristabilisce le originali intenzioni di questo saggio, preciso, profondo, scritto con leggerezza e competenza, ma soprattutto con una documentazione di qualità.
I capitoli più interessanti sono dedicati allo scenario di un quasi improbabile crollo di internet e… agli schiavi: a tutt’oggi, in tutto il Pianeta se ne contano oltre 40 milioni, soprattutto donne e bambini.

23 settembre 2013

unità di crisi medievale

Appena letto dell'attentato di Nairobi, mi è venuto il sangue al cervello: una delle mie sorelle stava proprio lì. 
Ho provato a contattarla, ma ho sbattuto contro il muro della segreteria telefonica. 
Ho provato a contattare la Farnesina, e dopo alcuni tentativi mi ha risposto una signora decisamente scocciata che mi ha bruscamente invitato a telefonare direttamente al responsabile dell'ambasciata italiana in Kenya. 
Per evitare le solite chiacchiere sulla privacy, le ho chiesto di lavorare per sottrazione, confortandomi almeno sul fatto che tra gli italiani coinvolti non ci fosse mia sorella. Macché... 
Fortuna ha voluto che proprio mentre mi stavo decidendo a fare un fido per telefonare in Kenya, arriva l'sms di mia sorella: stava bene, ed era andata via da Nairobi qualche giorno prima. 
Ora, io capisco tutto il comprensibile, ma la tecnologia ci consente di andare oltre simili labirinti inutilmente apprensivi. E mi sfugge come in una situazione simile, l'Unità di Crisi obblighi così goffamente l'utente a muoversi privatamente. 
L'unico strumento all'avanguardia usato dalla Farnesina è il registrarsi online quando si va in zone così potenzialmente pericolose. Ma è ad uso del Ministero. 
Dico... ma un DM su Twitter? Lo usa persino la TIM!

11 ottobre 2010

una mail avanti, l'Italia indietro

I dati qui sotto (dal blog di Alexander Stille) fanno impressione; l'analisi che ne segue (e che potete trovare qui) un po' meno.
Qual è la nuova tecnologia più importante della nostra epoca? La tecnologia con più capacità di cambiare il nostro modo di comunicare, di divertirci, di fare commercio, di organizzarci politicamente? Sicuramente quasi tutti risponderebbero la rete Internet. Eppure nell’uso di questa tecnologia cruciale per lo sviluppo moderno, l’Italia è verso la fine della lista nella diffusione di Internet, rispetto ad altri paesi avanzati. La Germania è al 79.1%, l’Olanda al 88,6%, il Regno Unito all’82,5%, per non parlare dei paesi scandinavi come la Svezia al 92,5%, la Norvegia al 94,8% e l’Islanda al 97,6%. L’Italia è al 51,7%, molto sotto la Lettonia al 67,8% la Cecoslovacchia al 64,3%, la Slovenia al 64,8 ed è in compagnia di un paese dittatoriale come la Bielorussia al 46,2%, della Bulgaria al 47,5 , della Croazia al 50%.