Parlare di un libro Adelphi,dopo la morte della sua anima, non è facile. E parlare ancora una volta di uno dei miei autori preferiti, Patrick Leigh Fermor, può risultare addirittura stucchevole, me ne rendo conto.
Però questo Rumelia è magico, forse più di Mani, sicuramente più del quasi trittico che ha reso il compianto Paddy un'icona di questi libri di viaggi (che poi è quasi riduttivo catalogarli così).
La Rumelia è quella parte della Grecia del Nord che va dal Bosforo all’Adriatico e dalla Macedonia al golfo di Corinto. Conserva nel suo cuore uno spirito duttile ma antico, in cui convergono tradizioni ataviche e tradizioni assimilate. Forse dovrei scrivere "conservava", visto che lo stesso Fermor è consapevole di quanto sia flebile la luce che lo accompagna dentro questo territorio così saporito e denso di cose da assorbire.
Il suo viaggiare per caso ci porta tra pastori, nomadi e monasteri, o all'inseguimento di un paio di scarpe appartenute a Byron, o dentro le ormai turisticizzate meteore, o fino alla magia di Creta.
Quella di Fermor non è solo una letteratura di viaggio, ma un compendio di digressioni, di considerazioni, di racconti di racconti di racconti, di volti levigati e di donne colorate, di boschi senza confini e di terra aspra e sassosa.
Ci si perde e ci si ritrova, seduti in penombra ad assaporare spezie e yogurt e carne e alcol e voci e suoni, dentro il mistero di una cultura senza tempo, divorando il libro fino alla fine, sperando che non finisca mai.
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17 settembre 2021
26 marzo 2012
il mio #Tabucchi
Sceso da cavallo, in quel della Lunigiana, avevo con me questo suo libro (e il "mio" Byron, ovviamente). Il cavallo mi guardava storto: mi ero appoggiato alla sua schiena, complice una pietra perfettamente levigata a foggia di sedia.
Lessi quel Pereira tutto d'un fiato, sempre avvolto da quel gradevole odore di muschio qual è la pelle ben strigliata di un cavallo giovane. Due ore dritte dritte dentro la meraviglia di una scrittura semplice ma precisa, una trama ovvia ma deliziosa, un modo di scrivere che mi ricordava ovviamente il mio amatissimo Pessoa, ma senza quella forma di piaggiosa imitazione che tanto ammorba la scrittura italiana.
E poi, qualche settimana dopo, comprai anche Notturno indiano. Il film mi era dispiaciuto, ma il libro resta una chicca nella sopravvalutata biblioteca italica odierna. Lo lessi in metropolitana, nei miei andirivieni tra la Rai e Cinecittà: alzavo la testa, e già ero arrivato a destinazione. E lì l'odore era di metallo sgrassato, di aliti mefitici, di aglio e varechina, di noia e quotidianità.
Ecco, di Tabucchi ricordo questi due momenti. E non passa giorno che non mi chieda che fine abbia fatto quel giovane cavallo, che ebbe la delicata accortezza di non scansarsi mai, di accogliere la mia concentrazione, e di liberarsi energicamente solo dopo la chiusura del libro.
Tabucchi. Un cavallo. La metro. E i ricordi.
15 novembre 2007
diverso ad ogni costo
I due principi enunciati qui a destra sono di un uomo di colore e di un omosessuale. La piattaforma che ospita questo blog nasce dall'intuizione di un ebreo. Le prime idee sulla programmazione appartengono a una donna dell'800.
Le mie origini vanno divise in quattro: da parte di mio padre, il cognome può essere riferito o ad antiche origini marrano/spagnole/ebraiche oppure a recondite origini slave; da parte di mia madre, metà è siciliana - con sensibili influssi arabi e svevi, l'altra metà può tranquillamente reputarsi romana.
I miei scrittori preferiti sono un inglese bisessuale (Byron), un alcolizzato fanfarone (Hemingway), un portoghese impotente (Pessoa), un mercenario greco (Senofonte), un giapponese ultranazionalista nonché morto suicida (Mishima), un tossicodipendente uxoricida (Burroughs), un buddista anarchico (Salinger), un fascista convinto (Celine) e un comunista intelligente (Camus)... e altri simpatici amici che ora non ricordo.
Ascolto musiche di vario genere: il rock, strumento del demonio per eccellenza; il jazz, anarchico ed individualista; la classica, il canone ormai per pochi eletti; la contemporanea, la logica dei furbi.
I miei registi preferiti sono o ebrei, o gay o conservatori.
Il mio cellulare è finlandese, il mio pc è taiwanese, la mia macchina fotografica è giapponese con lenti tedesche, le mie scarpe spagnole, il mio cappotto newyorchese, parte dei miei orologi svizzera, magliette cinesi...
La mia donna di servizio moldava, l'operaio di fiducia polacco, il commercialista e l'avvocato romanisti, il cognato napoletano, l'unico amico non gay è laziale... e una moglie femminista, anarchica, in carriera, con un cuore e due occhi verdi grandi così.
Insomma: sono un maschio italiano eterosessuale di sinistra - ahimé persino cresimato - di razza bianca, puramente doc. Qualcosa da ridire?
Italia, culture, Diritti umani, Laicismo, Razzismo, Omosessualità, Politica, Religione, Scrittori, Musica
Le mie origini vanno divise in quattro: da parte di mio padre, il cognome può essere riferito o ad antiche origini marrano/spagnole/ebraiche oppure a recondite origini slave; da parte di mia madre, metà è siciliana - con sensibili influssi arabi e svevi, l'altra metà può tranquillamente reputarsi romana.
I miei scrittori preferiti sono un inglese bisessuale (Byron), un alcolizzato fanfarone (Hemingway), un portoghese impotente (Pessoa), un mercenario greco (Senofonte), un giapponese ultranazionalista nonché morto suicida (Mishima), un tossicodipendente uxoricida (Burroughs), un buddista anarchico (Salinger), un fascista convinto (Celine) e un comunista intelligente (Camus)... e altri simpatici amici che ora non ricordo.
Ascolto musiche di vario genere: il rock, strumento del demonio per eccellenza; il jazz, anarchico ed individualista; la classica, il canone ormai per pochi eletti; la contemporanea, la logica dei furbi.
I miei registi preferiti sono o ebrei, o gay o conservatori.
Il mio cellulare è finlandese, il mio pc è taiwanese, la mia macchina fotografica è giapponese con lenti tedesche, le mie scarpe spagnole, il mio cappotto newyorchese, parte dei miei orologi svizzera, magliette cinesi...
La mia donna di servizio moldava, l'operaio di fiducia polacco, il commercialista e l'avvocato romanisti, il cognato napoletano, l'unico amico non gay è laziale... e una moglie femminista, anarchica, in carriera, con un cuore e due occhi verdi grandi così.
Insomma: sono un maschio italiano eterosessuale di sinistra - ahimé persino cresimato - di razza bianca, puramente doc. Qualcosa da ridire?
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04 settembre 2007
Creta
Non amo il mare, non amo la Grecia e non amo le isole... e quindi sono andato a Creta.
Fortuna vuole che almeno non abbia trascorso quei giorni nel sud dell'isola, notoriamente infestata dai migliori rappresentanti della razza cafona. A Falassarna, infatti, regnano i tedeschi e i francesi, privilegiati spettatori delle migliori spiagge dell'intera isola. Spiagge roseate da ormai consunte barriere coralline, erose da millenni di mareggiate tenui ma decise... che poi tanto tenui non furono, visto che la civiltà minoica fu spazzata da uno tsunami figlio dell'eruzione di Santorini.
Sole e divertimento tanto. Compresi due magnifici nipotini e una compagnia di dignitosi giornalisti, ben lontani dai canonici mascalzoni che leggiamo ogni giorno. Certo è che se stai lì, devi andare a vedere quanto costruì Dedalo in tempi non sospetti.
Per andare da Falassarna a Cnosso bisogna ripassare dal via, percorrendo 150 km in linea d'aria che si trasformano in un inferno di finta autostrada che non puoi certo percorrere sotto le tre ore; circondato peraltro da assassini armati di volante, da un asfalto peggiore di quello veltroniano (il che è tutto dire) e da un rispetto del codice della strada da quarto mondo.
Indicazioni per le rovine di Minosse non ci sono, escludendo ovviamente un bisunto fogliettino formato biglietto da visita, seminascosto da sciatto fogliame sporco di incuria.
Però Cnosso ne vale la pena. Si respira aria di possenza.
C'è un nonsoché di eterno tra quelle mura, sotto un caldo cocente e un continuo vociare di gruppi armati di guida e macchinetta; c'è un nonsoché di austero, istigato dal piccolo Simone che mi indica foto da scattare perché le mie sono belle e gli faranno fare bella figura a scuola; c'è un qualcosa che richiama le mie radici, mentre mi volgo indietro cercando il mio io di 30 anni fa, quando leggevo le Civiltà sepolte di Ceram o i poemi di Byron; c'è un delicato suono che persiste tra quei rovi e quelle mura, ispirato come sono a rendermi conto che ancora una volta sono nella Storia, che nessuno potrà mai cancellare, nessuno potrà mai improvvisare.
Ero partito col muso storto, perché non amo il mare, non amo la Grecia e non amo le isole. Ma son tornato compiaciuto, con il rocchetto di Arianna tra le mani.
Creta, Grecia, Viaggi, Cnosso
Fortuna vuole che almeno non abbia trascorso quei giorni nel sud dell'isola, notoriamente infestata dai migliori rappresentanti della razza cafona. A Falassarna, infatti, regnano i tedeschi e i francesi, privilegiati spettatori delle migliori spiagge dell'intera isola. Spiagge roseate da ormai consunte barriere coralline, erose da millenni di mareggiate tenui ma decise... che poi tanto tenui non furono, visto che la civiltà minoica fu spazzata da uno tsunami figlio dell'eruzione di Santorini.
Sole e divertimento tanto. Compresi due magnifici nipotini e una compagnia di dignitosi giornalisti, ben lontani dai canonici mascalzoni che leggiamo ogni giorno. Certo è che se stai lì, devi andare a vedere quanto costruì Dedalo in tempi non sospetti.
Per andare da Falassarna a Cnosso bisogna ripassare dal via, percorrendo 150 km in linea d'aria che si trasformano in un inferno di finta autostrada che non puoi certo percorrere sotto le tre ore; circondato peraltro da assassini armati di volante, da un asfalto peggiore di quello veltroniano (il che è tutto dire) e da un rispetto del codice della strada da quarto mondo.
Indicazioni per le rovine di Minosse non ci sono, escludendo ovviamente un bisunto fogliettino formato biglietto da visita, seminascosto da sciatto fogliame sporco di incuria.
Però Cnosso ne vale la pena. Si respira aria di possenza.
C'è un nonsoché di eterno tra quelle mura, sotto un caldo cocente e un continuo vociare di gruppi armati di guida e macchinetta; c'è un nonsoché di austero, istigato dal piccolo Simone che mi indica foto da scattare perché le mie sono belle e gli faranno fare bella figura a scuola; c'è un qualcosa che richiama le mie radici, mentre mi volgo indietro cercando il mio io di 30 anni fa, quando leggevo le Civiltà sepolte di Ceram o i poemi di Byron; c'è un delicato suono che persiste tra quei rovi e quelle mura, ispirato come sono a rendermi conto che ancora una volta sono nella Storia, che nessuno potrà mai cancellare, nessuno potrà mai improvvisare.
Ero partito col muso storto, perché non amo il mare, non amo la Grecia e non amo le isole. Ma son tornato compiaciuto, con il rocchetto di Arianna tra le mani.
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