08 dicembre 2023

THE CROWN, la sesta

Ho visto la prima tranche della sesta e ultima stagione di The Crown.
Al di là dei gusti personali, di Lady Diana viene fuori una figura complessa e compressa da meccanismi maschili e maschilisti, in cui anche il pettegolismo nazional popolare ha giocato un ruolo nodale sulla sua morte prematura.
In passato, non avevo approfondito il fenomeno che si cela(va) dietro tale figura. Avevo però trovavo la sua nota intervista televisiva una scelta provinciale e priva di stile (sembra ottenuta con l’inganno): prima di accettare quelle nozze, Lady Diana poteva non sapere che avrebbe vissuto in quel mondo e in quel modo?
È vero anche che quel mondo era in crisi, forse grazie anche alla modernità che si stava radicalizzando proprio in quegli anni: lo racconta molto bene Stephen Frears nel suo The Queen (2006).
E quindi, Lady Diana - inconsapevolmente, immagino - ne è stata il Rubicone, il diaframma tra un prima e un dopo.
Sicuramente, la facies della Regina viene resa come una macchietta (non la sua voce, incredibilmente identica all’originale); mentre, invece, il rapporto tra Dodi e Lady Diana sembra più edipico che di coppia.
Buone le scelte musicali, soprattutto l’uso misurato di Bach (e di Gabriel Yared durante la scena della cena).
Eccellenti le location, meno gli esterni. Dipende anche dalla direzione della fotografia: così sublime in tutte le stagioni precedenti, in questa si perde per strada dalla seconda puntata in poi. Le luci, finora così studiate e raffinatissime, sembrano quelle di un ring light dozzinale; le inquadrature rasentano il didascalico.
La scrittura funziona quel tanto da rendere evidente il veleno del maschio prepotente e arrogante, di una società perversa che sbava per un pettegolezzo e poi ipocritamente si dispera se questo pettegolezzo uccide… tutto questo viene fuori con credibilità, in maniera ansiogena, generando rabbia e frustrazione.
In sintesi, la serie va comunque vista anche e solo per “sentire” il panorama miserabile che noi maschi usiamo generare da sempre, anche in contesti così fascinosamente artefatti

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